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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

Devianza e illegalità alle origini dello Stato Italiano

“Tutto deve cambiare affinché nulla cambi” questa citazione tratta dal Gattopardo, opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è emblematica della situazione meridionale in quel processo definito come “piemontesizzazione” verificatosi a partire dal 1861 con l'annessione delle province italiane al Regno di Sardegna.

Con “piemontesizzazione” si vuole indicare appunto l'azione del Regno Sabaudo ad imporre le proprie leggi a tutto il territorio italiano, non tenendo conto delle enormi differenze economiche e sociali che caratterizzavano il Regno delle due Sicilie. Lo stato Sabaudo, infatti, al fine di ottenere l'appoggio delle classi dirigenti del paese, non tenne minimamente in considerazione le richieste di riforma agraria provenienti dal ceto contadino, aumentando così il dislivello economico tra essi e i ceti più abbienti.

La reazione del popolo meridionale alla colonizzazione di Casa Savoia fu durissima; nel 1860 gruppi di ex braccianti, ex soldati , disertori e diseredati, diedero vita ad una guerriglia che, diffusasi nella parte continentale del Regno, aveva come obiettivo depredare i ricchi proprietari terrieri e scontrarsi militarmente con l'esercito sabaudo.
La guerriglia tra ” brigantaggio meridionale” ed esercito piemontese assunse, tra il 1860 e il 1865, le forme di una vera e propria guerra civile cui lo stato cercò di porre rimedio con la legge Pica, 1863, secondo cui le zone di maggiore attività del brigatismo dovevano essere sottoposte ad un rigido controllo militare.

Tuttavia il brigantaggio non era una presenza nuova nella penisola italiana; fin dal Medioevo l'agire nell'illegalità era stato l'unico mezzo di sopravvivenza per i ceti contadini oppressi dalle corveès feudali, per esuli e “banditi”, ovvero criminali,ma anche avversari politici che, attraverso la promulgazione del bando, venivano cacciati dalla città dopo essere stati privati dei propri patrimoni.
L'unica fonte di salvezza e denaro di questi reietti della società era quindi quella formare dei gruppi per attaccare violentemente mercanti e viaggiatori.
Anche alle soglie dell'unità nazionale vediamo, quindi, il sorgere di questi gruppi fuorilegge, portavoce di un malcontento sociale, oppositori di uno Stato rimasto indifferente dinnanzi alle loro richieste; è quindi una gestione inadeguata dello stato da parte del governo a scatenare lo sviluppo di forme di organizzazione illegale.

Difatti il passaggio repentino da un modello feudale ad uno liberale sullo stampo del Regno Sabaudo provoca nei territori meridionali la trasformazione di quella forma di dipendenza personale che aveva caratterizzato l' assetto feudale nel corso del Medioevo. Tale rapporto viene quindi a delinearsi secondo i canoni del clientelismo: attraverso la protezione dei ceti meno abbienti, il signore locale si assicurava il controllo dell'iniziativa economica sul suo territorio. È questa l'origine dell'organizzazione mafiosa, contraltare della legalità statale e alternativa dei ceti inferiori ad uno stato indifferente al loro disagio.

Con la compresenza e la commistione di elementi legali ed illegali, come il legame di fedeltà di briganti e banditi verso il signore locale, il clientelismo comincia ad assumere le forme dell'organizzazione criminale come oggi la concepiamo. In questo connubio tra istituzioni e gruppi di fuorilegge, l'organizzazione si sviluppa attraverso una solida struttura gerarchica e l'utilizzo di regole e rituali particolari, come l' omertà e l' attaccamento verso il proprio gruppo, la propria “Famiglia”.

Nei 150 anni successivi all'unificazione italiana le organizzazioni mafiose hanno accresciuto sempre più il proprio potere, diffondendosi e radicalizzandosi nei settori politico-economici della penisola, rendendo il confine tra legale ed illegale, lecito ed illecito, sempre più labile.

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