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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

La mafia tra finzione e realtà

La mafia ormai è un'istituzione nel nostro paese. Più antica della stessa repubblica. Il prodotto made in Italy più conosciuto all'estero, secondo solo alla pasta e alla pizza. Spesso protetto dai governi molto più della magistratura o del sistema sanitario.
Ogni italiano, prima o poi, arriva a doversi confrontare con il concetto di mafia e deve definirla, farle un identikit mentale, per poterla riconoscere ogni volta che la incontra. È un'azione involontaria, inevitabile, scritta ormai nel nostro essere. E come con tutte le cose, c'è chi questo identikit riesce a comporlo meglio, perché la osserva da vicino ogni giorno, e chi invece riesce a formarsi solo un'immagine sbiadita, basata su ipotesi remote e esempi indiretti, come quelli offerti da libri e film. Meglio di niente.

Ma spesso l'immagine del mafioso che ci viene presentata in molti libri e film è tutt'altro che un'immagine fedele alla realtà, un'immagine che possa aiutarci a delineare il nostro identikit. Il mafioso del romanzo e del cinema è spesso un uomo d'onore, sveglio, se non bello e forte, almeno premuroso e leale, con un profondo senso della famiglia.
Chi può dimenticare l'epopea della famiglia Corleone descritta da Mario Puzo nel suo celeberrimo romanzo, Il Padrino? Bellissimo libro, dal quale poi sono stati tratti tre film altrettanto (se non più) belli, diretti da Francis Ford Coppola e interpretati da attori del calibro di Robert De Niro, Marlon Brando, Al Pacino e Robert Duvall. Qui i mafiosi protagonisti sono dei perfetti esempi di virtù moderne, che commettono crimini solo per il bene della propria famiglia e agiscono secondo un codice d'onore rigido e rispettato da tutti. I loro nemici sono avversari negli affari, senza scrupoli né pietà, pronti ad uccidere chiunque si pari loro davanti. Don Vito Corleone, invece, non uccide mai nessuno se può evitarlo. Il Don è un uomo ragionevole, che cerca con il dialogo di far ragionare anche i suoi avversari. Solo se questi ultimi si rifiutano di farlo scatta la vendetta. Rapida, esemplare e raffinata. Il figlio Michael, nel romanzo, rifiuta categoricamente di immischiarsi nel traffico di droga, non solo per questioni di immagine, ma anche per questioni etiche, reputando la droga dannosa e immorale, perdendo però così un racket molto redditizio. La salute della Famiglia viene prima di tutto. I personaggi di Puzo sono sicuramente criminali, ma grandi uomini, giusti e virtuosi, nei limiti imposti dal loro mestiere. Ma sono pur sempre personaggi di un romanzo inventato, seppur basato su una ricostruzione storica fedele degli States degli anni '30. Questa famiglia di mafiosi non pretende di rappresentare la realtà effettiva, è solo una rivisitazione romantica di un'epoca storica.

Epopee mafiose sono state però realizzate anche più di recente, basate questa volta su personaggi e fatti reali e presentate come ricostruzioni fedeli alla storia. La Rai e Mediaset, ad esempio, hanno mandato in onda tre film a puntate che riassumono e presentano l'ascesa al potere di tre dei più famosi e crudeli boss mafiosi della storia italiana: Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Li ho visti. Alla fine ero terrorizzato. Non per i contenuti, che fanno parte della storia ormai, ma perché alla fine ci si ritrova a tifare per i protagonisti. I boss che vengono rappresentati sono padri di famiglia, figli devoti e mariti premurosi che lottano contro il sistema per proteggere la propria famiglia. Un'epica moderna. Niente di più sbagliato e nocivo.

Le statistiche parlano chiaro, gli italiani leggono poco e si fidano molto di quello che vedono in televisione. E per quegli italiani che non hanno letto libri come Cose di cosa nostra di Giovanni Falcone o Gomorra di Roberto Saviano o che non sono andati a verificare ciò che hanno visto, quei personaggi sono reali. Ma non lo sono. I veri mafiosi non hanno nulla di romantico, di eroico, non seguono un codice morale, non sono ne giusti ne magnanimi. Non combattono per amore della famiglia, come il Tony Montana di Scarface, ma solamente per il denaro. Per sete di denaro non guardano in faccia nessuno. Chi da fastidio va eliminato. Graziella Campagna, a soli diciassette anni, è stata crivellata di colpi solo per aver riconosciuto il nipote di un boss. Il carabiniere Emanuele Basile è stato freddato spietatamente davanti agli occhi della figlia di quattro anni mentre tornava da una festa di paese, solo perché si ostinava a svolgere il suo lavoro. In via dei Georgofili, a Firenze, persero la vita due bambine e tre ragazzi per un attentato architettato da Riina in risposta all'applicazione del carcere duro per i mafiosi. Giuseppe di Matteo, tredici anni, figlio di un collaboratore di giustizia, è stato rapito e tenuto prigioniero per oltre due anni prima di essere ucciso e sciolto nell'acido, solo per impedire al padre di parlare dei traffici di cui era a conoscenza. Per non parlare di uomini come Don Peppino Diana, Peppino Impastato, Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, forse le più celebri vittime della mafia (e della camorra), che hanno perso la vita nella lotta contro queste organizzazioni spietate e senza scrupoli. E molti, moltissimi altri. Tutti uomini innocenti, colpevoli solo di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato o di aver voluto svolgere al meglio il proprio lavoro.

Bisogna informare per lottare contro la mafia, ma bisogna informare bene e soprattutto saper distinguere ciò che è informazione e ciò che non lo è. Molti romanzi non sono informazione, sono romanzi e basta. Quei film sui corleonesi non sono corretta informazione, anche se pretenderebbero di esserlo. La vera informazione è fatta dalla testimonianza di tutte le persone che hanno studiato i meccanismi di queste organizzazioni, che vi sono venute in contatto, che le hanno combattute e le combattono. Non sono affatto poche. Basta fare una breve ricerca in internet e se va male se ne trovano minimo una ventina. Libri ben scritti e illuminanti che ogni persona dovrebbe leggere. Libri che spesso sono costati ai loro autori la libertà o la vita stessa, e già solo per questo meritano di essere letti.

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