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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

Numeri, fatti e conseguenze dell'ecomafia nel Nord Italia

“Giovane, forse non hai capito cosa abbiamo sotto i piedi! L'Italia galleggia sopra un mare tossico di rifiuti!”. Mi fece uno strano effetto sentire questa frase, lucidamente cosciente ma in qualche modo anche perdutamente rassegnata, da un navigato Comandante del Comando dei Carabinieri per la Tutela Ambientale con cui ebbi modo di lavorare in una piccola città del Nord Italia. In realtà un'idea della gravità della situazione italiana ce l'avevo già, ma sentirmelo dire così, in quel modo brusco da un'autorità in materia, mi illuminò improvvisamente la vista. E il quadro si fece più chiaro: le ultime rivelazioni dei pentiti sulle “navi a perdere”, fatte affondare cariche di rifiuti radioattivi; il legame oscuro che si potrebbe delineare tra l'omicidio di Ilaria Alpi e Mauro Rostagno sulla pista del traffico internazionale di rifiuti; il pericoloso tentativo di abolire le intercettazioni anche per i reati ambientali; lo scandalo della situazione campana e siciliana ma anche le devastanti conseguenze, in Abruzzo e a Messina, della speculazione nel campo delle costruzioni; sono tutti recentissimi segnali di come il “capitale ambientale” sia per la criminalità organizzata una gallina delle uova d'oro. Enormi fette di territorio, boschi, coste, campi, corsi d'acqua, parchi, laghi e mari devastati, intossicati, distrutti irreparabilmente per il profitto. I numeri e i casi eclatanti che in tutti questi anni hanno divorato il capitale naturale italiano dimostrano che il peso dell'ecomafia è cresciuto nel tempo fino a diventare, al di là delle piccole violazioni di singoli e “sprovveduti” privati, una fitta e sistematica rete di depredazione del territorio incentrata su alcune figure chiave: politici, clan, professionisti, imprenditori e faccendieri. A chi non avesse in mente ancora le dimensioni economiche del potentato eco-mafioso, una cifra da sola sarebbe sufficiente per capire: 20 Miliardi di euro. Ovvero il fatturato della criminalità ambientale italiana soltanto nel 2008, che comprende profitti del mercato illegale e intercettazione di denaro pubblico tramite appalti. Se poi volessimo aggiungere che si tratta di 27 mila reati in media ogni anno, che sotto il cemento è rimasto sepolto un pezzo di territorio vergine grande quanto Lazio ed Abruzzo messi insieme in 10 anni e il 45% della Liguria in 15 anni, o che ogni anno spariscono decine di milioni di tonnellate di rifiuti speciali, l'immagine di ciò che abbiamo attorno e sotto i piedi si farebbe più limpida. Una questione che coinvolge il Sud quanto il Nord, in zone comunemente considerate “immuni”, laddove, però, le DDA si sono imbattute in veri e propri piani strategici criminali legati soprattutto al “ciclo” del cemento, dei rifiuti, agli incendi dolosi e al racket degli animali. Le Regioni del Centro-Nord risultano così “centri nevralgici per i traffici illeciti industriali” (Grasso, 2009) e luoghi perfetti per le speculazioni edilizie grazie alla possibilità per i capitali sporchi di scomparire nel marasma dell'economia regolare, così dinamica ed accessibile1. A confermare ciò, oltre ai documenti istituzionali2, sono soprattutto i fatti tangibili di infiltrazione criminale ambientale al Nord scoperti dalle forze di polizia (Ciconte, 1998, 2005; Rapporti Ecomafia), che hanno fatto emergere inquietanti tentativi di controllo degli appalti per grandi e piccole opere, casi di avvelenamento di ettari ed ettari di terreni e persino la disponibilità degli imprenditori settentrionali a fare business con una criminalità organizzata dalle risorse infinite3.
Per tali motivi, complice anche l'evoluzione degli apparati investigativi che ha permesso di svelare movimenti prima ignorati, si può affermare che anche le Regioni settentrionali sono profondamente affette dal morbo dell'eco-criminalità. Stando alle semplici cifre, un esempio illuminante può essere la sorprendente situazione del Veneto, del Piemonte e della Lombardia, emersa negli ultimi Rapporti Ecomafia pubblicati da Legambiente. Il Veneto nel 2007 figurava come la seconda regione italiana per numero di reati nel comparto dei rifiuti, dopo la Campania; il Piemonte nel 2008 risulta la prima regione italiana del Nord per numero di illeciti riscontrati nel ciclo dei rifiuti; la Lombardia viene invece segnalata per la vastità, la “qualità delle inchieste e il coinvolgimento di esponenti di spicco della 'ndrangheta” (Grasso, 2009). I fatti allora rompono l'incantesimo. Le rotte tradizionali dei rifiuti (produzione al Nord e smaltimento al Sud), per esempio, sono ormai affiancate stabilmente da circuiti tossici di “filiera corta”, che nascono e si consumano direttamente nei territori del Nord. Un caso simbolico è quello della Corte d'Appello di Brescia. Qui i procedimenti per reati ambientali sono passati dai 475 del 2007 ai 2477 del 2008. Più che quintuplicati. Al Nord, dunque, si aprono spazi e si intessono traffici e attività eco-criminali con ritmo incalzante. Non solo organizzate da clan riferibili alle regioni meridionali (si vedano per esempio le recenti Operazioni Star Wars4 sul traffico dei rifiuti tossici o Isola sul controllo del cemento da parte della 'ndrangheta in Lombardia, le indagini su Cosa Nostra nei lavori per la TAV in Piemonte o ancora gli interessi dei clan casertani nel comparto dei rifiuti nel Lazio), ma anche da imprenditori d'assalto e faccendieri senza scrupoli senza un diretto coinvolgimento delle mafie. Sebbene, spesso, la potenza e la violenza devastatrice, i metodi di intimidazione e i meccanismi di infiltrazione capillare nelle maglie delle amministrazioni e delle professioni siano pressoché identici alle condotte mafiose. Si veda per esempio l'esperienza laziale di indagini come “Longa Manus”, “Sabbie Mobili” o “Girotondo”, che hanno messo in luce come le organizzazioni smaltivano tonnellate di rifiuti tossici e metalli pesanti nelle campagne di tutta Italia, guadagnando decine di milioni di euro grazie alla complicità di sindaci, assessori e consiglieri vari, funzionari pubblici, società pubblico-private, aziende agricole e ispettori dell'ARPA.
Menzione a parte merita l'Emilia Romagna, considerata su più fronti (Rapporto SOS Impresa, relazioni annuali DIA, Rapporti annuali Ecomafia) vera e propria “terra di conquista” di tutte e tre le principali organizzazioni mafiose: “sta diventando la Gomorra del Nord”, avverte la DIA negli ultimi suoi due Rapporti. E mentre nel campo dei rifiuti, nel solo 2008, le indagini della magistratura e le 26 inchieste giudiziarie sullo specifico art. 260 del Dlgs 152/06 “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (circa il 22% del totale nazionale) hanno mostrato soprattutto reti di trafficanti provenienti da tutta Italia senza una particolare concentrazione regionale (si vedano le operazioni “Ecofarsa”, “Pseudo Compost”, “Iron” o “Cambronne”) e numerose discariche abusive di matrice imprenditoriale locale (amianto nella valle del Reno, cloruro di vinile a Forlì, rifiuti pericolosi diffusi su tutto il territorio), nel settore delle costruzioni e delle speculazioni, compresi appalti pubblici e comparto immobiliare, la presenza della criminalità organizzata è tutt'altro che impalpabile. Qui il ciclo del cemento risulta pienamente inserito nella “sfera di azione affaristico-criminale di organizzazioni mafiose di origine calabrese, siciliana e soprattutto campana” (Relazione DNA 2009). Premesso ciò, allora, non dovrebbero affatto stupire i casi di gambizzazione degli imprenditori edili concorrenti ai casalesi a Castelfranco Emilia, o le estorsioni nei confronti di aziende modenesi, o il pizzo della riviera, o l'imposizione di forniture e ditte subappaltatrici “legate ai gruppi criminali campani”, o ancora le pericolose truffe sulla quantità di calcestruzzo nei lavori dell'Alta Velocità Milano-Bologna con lo zampino della criminalità organizzata.
La situazione dell'Emilia Romagna diventa così emblematica per comprendere al meglio la silenziosa diversificazione e la vastità delle conseguenze dell'ecomafia anche al Nord. Sbaglia di grosso chi si crede di fronte ad un corpo estraneo, che rimane ben lontano dal proprio portafoglio, dai propri neuroni, dalle proprie giornate. La riduzione qualitativa e quantitativa del capitale naturale, o dal punto di vista economico di Turner, la “sottrazione di utilità non compensata nei confronti del cittadino” operata dall'ecomafia, si ripercuote prepotentemente seguendo tre linee direttrici: la qualità della vita, attraverso la contaminazione della catena alimentare, i pericoli legati alla salute e il degrado della funzione di svago e di sostegno alla vita dell'ambiente; il tessuto economico, tramite l'azione di zavorra nei confronti dello sviluppo economico (costi maggiori per proteggersi dal mercato monopolistico, costi di riparazione, distorsione della concorrenza, perdita secca di consumatori e produttori, pratiche diffuse del massimo ribasso, danneggiamento del “capitale imprenditoriale” e dell'ecoattrattività, maggiori uscite e minori entrate per la finanza locale, influenza sul Pil); il sistema sociale, in termini di disuguaglianza, clientelismo, formazione, prospettive di vita, fiducia e lavoro.
E' chiaro che una tale forza tentacolare può essere contrastata solo attraverso un approccio multidimensionale, che comprenda oltre a politiche ambientali di “prevenzione alla radice”, anche un quadro normativo adeguato improntato sulla tutela penale dell'ambiente, così come ci obbligherebbe a fare l'Europa, conformando entro breve le norme nazionali alla Direttiva 2008/99/CE. Ma vista la scarsissima volontà politica di quanti hanno in mano le redini della decisione, non stupiscono più di tanto i sentimenti di rassegnazione di quel navigato Comandante dei Carabinieri. La scadenza è il 26 Dicembre 2010.
1 Procura Nazionale Antimafia, Piero Grasso, 2008.
2 Si vedano i rapporti DIA e DDA 2006, 2007, 2008 e le Relazioni delle Commissione Parlamentare Antimafia degli ultimi anni, in cui viene fatta un'analisi approfondita della penetrazione della criminalità organizzata al Nord.
3 Un esempio eclatante è il rapporto d'affari stretto tra il boss camorrista Zagaria e il consigliere dell'ex Ministro Lunardi Bernini a Parma, nell'ambito di una serie di infrastrutture previste dal Governo Berlusconi sin dal 2001. Fabrizio, F. (2007), La camorra alla conquista di Parma, L'Espresso, giugno 2007.
4 Si tratta di 2700 tonnellate di rifiuti tossici, come residui plastici contenenti cromo e piombo, smaltiti illegalmente in 65.000 metri quadrati di terreni agricoli, ormai destinati ad essere contaminati per secoli. La strategia di lucro comprendeva anche una denuncia di smaltimento illegale contro ignoti da parte dei criminali stessi, proprietari dei terreni: ne veniva in questo modo cambiata la destinazione d'uso che permetteva loro di acquisire valore poiché divenuti edificabili a fini bonificatori.

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