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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

Ridicolizzare per indebolire: una via alternativa di lotta alla mafia

Quando si parla di mafia non si può che porre la questione fondamentale di quali possano essere i modi e le tecniche per indebolire e sconfiggere questo tipo di fenomeno. E' necessario partire dall'analisi delle sue caratteristiche, al fine di poter individuare gli elementi su cui è possibile agire. Tra i tanti aspetti che si potrebbero indagare vorrei soffermarmi, senza pretesa di esaustività, sul modo in cui la mafia influenza la vita di coloro la cui quotidianità è vissuta in realtà pervase della sua presenza . E' necessaria, a questo punto, una piccola digressione in “economese”.

Una norma sociale (social norm) è un comportamento abituale che permette di coordinare o regolamentare l'interazione reciproca degli individui. Quando una data modalità comportamentale assume la forma di regola, essa sarà destinata a persistere nel tempo, poiché gli individui, anticipando il comportamento degli altri agenti facenti parte della stessa comunità, preferiranno conformarsi. Le social norms svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione dell'ordine sociale: modellano il nostro senso di appartenenza ad una famiglia o ad una comunità, determinano il significato attribuito a certi comportamenti, a certe parole… La loro persistenza nel tempo è determinata da necessità di coordinamento tra individui che vivono nella stessa collettività; dalla disapprovazione sociale, la paura di essere stigmatizzati ed esclusi nel caso di comportamento deviante; dal fatto che una certa condotta è stata internalizzata a tal punto da indurre l'individuo ad agire sempre in un determinato modo. Le norme sociali sono in grado di regolamentare la vita degli individui almeno quanto la legge e, secondo alcuni autori (Robert Ellickson 1991 ), anche in maniera più efficace. Impongono dei vincoli attraverso l'enforcement della comunità di appartenenza ed operano attraverso di essa. Sono tanto più forti quanto più il vincolo da esse imposto viene considerato come soggettivo, cioè come qualcosa che l'individuo, consciamente o meno, ritiene come vincolante perché lo ha pienamente internalizzato, fatto proprio. Date le loro caratteristiche, tali norme impongono un controllo sociale che potremmo definire informale.

La mafia è un fenomeno principalmente di costume, che si sviluppa in una società con determinate caratteristiche, nella quale si è sviluppata e sopravvive “egregiamente” da molto tempo . Le dinamiche comportamentali che caratterizzano le comunità in cui la presenza della mafia è forte sono chiari esempi di norme sociali internalizzate dagli individui e continuamente implementate nella quotidianità, in quanto vengono percepite come vincolanti. L'omertà non è imposta per legge (anzi!) ma è un comportamento “socialmente dovuto”; l'accondiscendenza verso le gerarchie mafiose è qualcosa che non viene messo in discussione; l'accettazione del clientelismo come una delle principali dinamiche del mercato del lavoro e del funzionamento della vita politica è pienamente accettato, e così via. Le norme sociali a cui la presenza della criminalità organizzata ha dato vita e che perpetua nel tempo sono, a mio avviso, una (ma, ovviamente, non l'unica) delle ragioni della persistenza nel tempo del fenomeno mafioso.

Ciò detto, partendo dalle considerazioni precedenti, si può affermare che un mezzo molto efficace per combattere la mafia è individuabile nel cambiamento dei costumi, attraverso un intervento diretto sulle norme sociali. Per indebolire il sistema mafioso bisogna colpirlo alla base, minando il sistema di vincoli informali che ha messo in atto all'interno delle comunità in cui è presente, e che ne garantiscono la persistenza. E' necessario, perciò, trasformare le stesse norme sociali, affinché si generi una diversa percezione di quello che si può o non si può, si deve o non si deve fare.
Facile a dirsi… tra il dire ed il fare c'è sempre e comunque di mezzo il mare. E allora, una proposta potrebbe essere la seguente: poiché la questione è tanto spinosa, sdrammatizziamo e prendiamola in ridere! Se poi, a sostenere questa stessa modalità di approccio a problemi di grande complessità, vi è anche l'onorevole tradizione della commedia greca di Aristofane o di quella latina di Ennio e – per avvicinarci ai giorni nostri – anche l'attività di un uomo come Peppino Impastato, si potrebbe quasi prendere seriamente tale proposta.
Modificare le norme sociali non è affatto banale, perché implica che si debba operare sui comportamenti che sostengono una certa collettività e che, in un certo senso – indipendentemente dal fatto che siano pienamente condivisi o meno – possono dare stabilità e sicurezza agli individui. Perché non provare, allora, ad attuare una strategia “ad ossimoro”? Per agire sulla complessità utilizziamo, attraverso la satira, uno strumento semplice ed immediato come la risata.
La satira politica e sociale propone punti di vista alternativi rispetto a quelli dominanti e, attraverso la risata, veicola delle piccole verità, semina dubbi, smaschera ipocrisie, attacca i pregiudizi e mette in discussione alcune convinzioni ritenute immodificabili. E' insomma possibile, in questo modo, pizzicare le coscienze con il riso, tentando di decostruire le strutture esistenti senza destabilizzare in maniera eccessiva.

Giuseppe (Peppino) Impastato, nato a Cinisi nel 1948, cresce in una famiglia ben inserita negli ambienti mafiosi locali, ed è perciò soggetto alla “pressione” di determinate norme sociali, come si evince dalle sue stesse parole: “Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale” . Peppino, però, non solo decide di non farle proprie, ma si impegna a combatterle, cercando di colpire il sistema mafioso anche attraverso la costituzione, nel 1977, di Radio Aut , un'emittente radiofonica autofinanziata, che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nella trasmissione satirica «Onda Pazza», Peppino usa l'arma dell'ironia e dello “sfottò”, mettendo a nudo ciò che tutti vedono ma che nessuno ha il coraggio di denunciare. Denuncia sfacciatamente le infiltrazioni mafiose nel comune di Cinisi – «Mafiopoli», come lui la rinomina – e nei retroscena dell'ampliamento dell'aeroporto di Palermo, fa nomi e cognomi di mafiosi e politici coinvolti e, soprattutto, di Tano Badalamenti, o «Tano Seduto», come lui lo chiama beffardamente. Peppino Impastato è stato definito, per questa sua nuova modalità di lotta alla criminalità organizzata, un giullare contro la mafia che ha usato la ridicolizzazione come strumento di indebolimento dell' istituzione mafiosa.
Peppino Impastato è morto il 9 maggio 1978, in un omicidio il cui mandante fu Gaetano Badalamenti. La via di lotta e di ribellione scelta da Peppino era, evidentemente, ritenuta efficace da coloro che non volevano vedere messa in discussione l'organizzazione reticolare fatta di comportamenti e prassi attraverso le quali esercitavano (ed esercitano) la loro influenza ed il loro potere.
La st
rada è impervia e l'obiettivo importante. Il riso può aiutare, soprattutto perché è in grado di arrivare, senza troppa fatica, alla gente comune che forse, in maniera più o meno inconsapevole, sostiene coi propri comportamenti la persistenza della mafia. Attraverso la ridicolizzazione si potrebbe riuscire a togliere forza e credibilità alla criminalità organizzata. Si potrebbe attuare una lotta dal basso, una rivoluzione che parta dall'azione congiunta dei singoli individui che, modificando anche minimamente la loro visione del fenomeno mafioso e, quindi, il loro agire quotidiano, possano indurre grandi cambiamenti a livello sociale.

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