XIX – Il satiro e la quercia
Capitolo Diciannovesimo
Dove si racconta finalmente del satiro di Atene e della quercia secolare
Ci s'è lasciati nel capitolo diciottesimo con una situazione di suspance e con la domanda: Quindi Zenone a quale Itaca volevi tornare? – o qualcosa del genere. Qualcuno si chiederà cosa significa. Che cosa significa 'A quale Itaca'? Si chiederà qualcuno. Ci sono forse più isole con questo nome? Più isole che si chiamano Itaca? Zenone ha sbagliato posto? E allora – ci si continua a chiedere – allora cosa ci fanno Laerte e Palamede nell'isola sbagliata anche loro? Forse Odisseo li ha messi al confino, una volta re? Li ha esiliati? Li ha esiliati in una Itaca-2?
Niente di tutto questo.
Il fatto è che c'erano, come s'è già detto, tre ragazzi e un cane. I tre ragazzi erano Odisseo, Zenone, un satiro: uno due tre; il cane era un cane che Zenone l'aveva portato da un'isola poco lontana ch'è l'isola dei lupi, per l'appunto piena di lupi, e poi anche piena di cani. E il cane s'era chiamato Argo, per via della storia di Argo.
Et voilà.
Allora c'erano tre ragazzi e un cane. Uno dei tre ragazzi, un satiro di Atene, aveva cominciato a dirne una dopo l'altra, nella piazza sotto la quercia secolare, finchè non s'è messo a speculare sugli anni della quercia e sugli anni della fondazione di Itaca, per cui ci si domanda: e quelli che c'erano prima? dove sono finiti? chi ha piantato la quercia, che non fa parte della flora locale? eh? beccati questa – solo che Laerte, il re a quei tempi, l'ha presa male, questa della quercia. Allora alla quercia c'ha attaccato il satiro con delle corde e con dei chiodi, l'ha lasciato lì appeso.
Odisseo e Zenone erano sui rami più bassi della quercia, arrampicati. Laerte se ne stava con un bastone giù di sotto, davanti al satiro. Odisseo con l'arco teso conto Laerte. Ecco la profezia… – dice Zenone.
Aspetta aspetta: quale profezia dici? – Odisseo lo guardava con l'angolo dell'occhio, sempre con l'arco puntato alla gola di Laerte – …quale profezia, Zeno?
La profezia di Delfi – dice Zenone – che ucciderai tuo padre e questa sarà la rovina tua e della tua famiglia per le generazioni a venire e nessuno si scamperà e la gente a vedervi passare si gratterà e seminerete grano e cresceranno ortiche e brucerete d'orticaria e le cavallette mangeranno il raccolto e le falene mangeranno i vestiti nell'armadio e le formiche mangeranno il vostro pane, e i ragni faranno la tela nelle vostre scarpe quando le lasciate fuori la notte.
E le blatte faranno il nido nelle vostre cucine, i sacerdoti vi sodomizzeranno, il mare inghiottirà le vostre navi e berrete vino mescolato con la cocacola nella piazza quando fa freddo e la polizia ve lo proibirà e dalle finestre vi lanceranno le uova e vi cadranno i capelli e vi farete il trapianto.
Ah, l'oracolo di Delfi… – dice Odisseo abbassando l'arco – mi ricordo… beh sai cosa ti dico? per questa volta l'oracolo s'è sbagliato perchè io mio padre non l'uccido – e nello stesso tempo Laerte comincia a rompere tutte le ossa una dopo l'altra al satiro, un'osso dopo l'altro a furia di bastonate, ed ecco fatto per il satiro.
Per cui Odisseo, da quel giorno, si mette in testa di scacciare Laerte dalla città e prendere il suo posto. Per fare questo, aveva pensato per prima cosa di avere la gente dalla sua parte. Così che, con la lira che ha imparato a suonare in gioventù, si mette a cantare nella piazza e a raccontare storie di propaganda per sè e convincendo dell'estrema vecchiezza di suo padre Laerte, e ritirando fuori la vecchia storia di Sisifo, il re di Corinto, che starebbe secondo lui preparando la distruzione di Itaca per via di una vendetta che l'ha portato già all'assassinio – racconta Odisseo – all'assassinio del vaccaro Autòlico, e chissà mai che non arrivi un bel giorno con la sua bella nave e chi si ritrova a fermarlo? il vecchio Laerte – tutti erano ormai convinti: ci voleva qualcuno di forte, qualcuno di giovane, qualcuno che li difendesse – e il gioco è fatto.
Perchè Odisseo era una specie di Maciste forzuto, però greco.
E poi c'era la questione del porto e delle navi. Ma più avanti, quando Odisseo è già re bell'e fatto e incoronato. Prima c'era una formalità da risolvere: per essere il re di Itaca c'è bisogno d'esserci una regina di Itaca. Solo che la regina di Itaca, non si sapeva bene a chi pensare. Finchè una mattina che il mare è burrascoso, una mattina arriva alla spiaggia una donna pelosa di un pelo ramato, alla spiaggia con un lupo al fianco, ma un lupo docile, dalle maniere feline tipiche di un lupo.
Quel cane che porti con te – dice a Odisseo, prendendolo per la gola con una stretta che nemmeno lui, nemmeno Odisseo, il nostro grande eroe, il nostro Maciste forzuto, nemmeno Odisseo riesce a liberarsi – quel cane è mio – dice, la donna dell'isola dei lupi.
(continua…)
Nei prossimi capitoli
Succederà di tutto: la donna dell'isola dei lupi arriva a Itaca (come s'è accennato), Zenone e Palamede s'incontreranno in una taverna mentre Odisseo prepara la sua ascesa al potere, Telemaco scopre l'alfabeto e poco lontano un ciclope innamorato e non ricambiato, per dimenticare le pene d'amore si dedica alla poesia, alla pastorizia e all'antropofagia.