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Scritto da nel Itaca, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

XV – Agamennone





Capitolo Quindicesimo

Dove si cammina via dalla città di Atene

e si raccontano storie diverse

E qui, lettore carissimo, siamo al punto che Zenone e lo scriba a furia di remare e a furia di feroci anchilòsi arrivano al porto di Atene e si mettono a passeggio. Gli fa bisogno, a questo punto, d'attraversare terre montagnose fino a nuovi porti, fino poi al bel porto di Itaca, uno dei più nuovi e moderni porti achei costruiti a quel tempo, quando laboriosamente si usciva dalla preistoria. Per via che giusto giusto prima della guerra per la conquista d'Oriente, che malgrado la (tardiva) vittoria ha stremato la buona volontà achea per le opere edilizie degne di tal nome, e che quel poco che di volontà e risorse rimane è per la ricostruzione della città di Troia, poco prima della guerra è stato messo in piedi, il porto di Itaca, e perciò: il più nuovo e moderno porto, perciò. E per via dell'ingegno di Palamede, filosofo naturista, l'inventore dei numeri e di alcune lettere dell'alfabeto, cittadino dell'isola. E per via della potenza di Agamennone, re di tutti i re.

Era l'idea fissa di Odisseo, prim'ancora di essere a tutti gli effetti re di Itaca, questa del porto e delle navi. Itaca, come s'è già più e più volte detto e ripetuto nelle pagine di questo romanzo a episodi mensili (mensili e per cui soggetti a dimenticanza) come s'è detto era fornita di un buon porto naturale. Quel porto naturale dove Odisseo piccin piccino aveva visto ripartire Sisifo travestito da mendicante, una volta tagliata la testa al vaccaro Autòlico per via ch'era un ladrone della peggior specie. Ti ricordi, buon lettore ? Eh: erano bei tempi, là, quei capitoli. O, per dirne un'altra, quel porto dove ci si tuffava in mare e si raggiungeva a nuoto la baia delle baccanti, poco lontana. Del baccanale in questione ben poco s'è detto, è vero, mi prometto, però, e ti prometto, buon lettore, lettore curioso, prometto di approfondire la pruriginosa questione, presto o tardi in qualche capitolo dove non saprò ben che dire e mi verrà perciò ben utile una digressione di queste che risvegliano l'euforia fin dall'indentro delle mutande. Bene. Ora dicevamo: una volta organizzato il porto, questo di tuffarsi e nuotare alla baia, beh: ti vedono tutti. Mai un momento tranquillo, d'allora in avanti, al porto. Sempre un brulicare di gente operosa e commerciante di più variegati commerci e imbrogli d'ogni genere e fattura.

Un buon porto naturale, quello di Itaca, ma nemmeno una nave concava, nemmeno una di quelle navi tanto in voga all'epoca. Pensamenti e visioni meno arretrati e provinciali che la sua gente coltiva Odisseo; nelle profondità del suo cervello di grande megalomane egolatra coltiva d'ogni coltivo ben poco salutare: importare, esportare, commerciare, trafficare, contrabbandare, arricchire l'isola per mezzo di un porto ben attrezzato, e più navi concave che nessuno nell'altre isole – questa l'impresa delirante del re di Itaca, che un tempo fu buon selvaggio abitante del bosco e della montagna, questa l'impresa. Questa l'impresa, la grande impresa, possibile per i mezzi achei di una federazione donnegiata dal re Agamennone, il re più potente di tutti i re, e il più furioso omicida mai conosciuto fin'allora.

Prima di Agamennone, soltanto si ricordava un ominide che ancora non aveva conquistato la postura eretta, ma che sapeva maneggiare dei grossi bastoni e rompere più ossa umane in un solo giorno che se ne fossero mai rotte fin'allora.

Prima di quest'ominide, soltanto si ricorda un rettile gigantesco, simile a una lucertola ma molto molto più grande e con vari artigli sulle dita e zanne per ogni dente; un mostro spaventoso, piuttosto famelico tra l'altre cose, che poteva mangiare più carne umana in un solo giorno che se ne fosse mai mangiata fin'allora.

Prima di questo rettile non s'ha memoria; infatti i pochi che gli sono sopravvissuti, impegnati nella faticosa rigenerazione della specie umana, raccontano solo di un rettile gigantesco simile a una lucertola e la scrittura non era ancora stata inventata, a parte alcune forme geroglifiche che rappresentano per la maggior parte rettili, miniaturizzati ma giganteschi, simili a lucertole.

E poi è stato il momento di Agamennone, come più grande rappresentante della furia omicida. Era il suo momento di gloria, per così dire. Solo a guardarlo muori – dicevano. È chiaro, sono esagerazioni fabbricate da una popolazione ben sottomessa. Gigantografie, per dir così; ma che ci posso fare io? E quindi, dicevamo: Agamennone solo a guardarlo muori. Sia per la ragione che sia. Può essere di sua mano, può essere per malasorte, non si sa. Fatto è che all'incontrare Agamennone: chi evita lo sguardo, chi si gratta la rogna.

Non così Odisseo, che di certe credenze proverbiali non era al corrente. C'è stato quindi l'incontro occhi negli occhi tra il principe di Itaca (che in quel caso era Odisseo, per chi s'è distratto o chi ha saltato qualche riga) e il re dei re (Agamennone, Agamennone…) e pure il fratello del re dei re, Menelao che avrebbe sposato Elena e comparire nella storia dell'umanità come grandissimo cervo cornuto, nei secoli dei secoli, e che parlava sempre con la bocca piena. E che faceva sempre 'sshhwwrwrwr' quando mangiava la zuppa. E che non abbassava mai la botola della fossa nel bosco dopo aver sgombrato i suoi intestini. E che scorreggiava anche con le ascelle, e senza usare le mani. E mangiava la coscia di pollo con tutta la pelle. E che accarezzava i capelli di sua moglie seduta a tavola, con le dita unte. E così Elena cerca un po' d'aria fresca fuori dal palazzo reale. Da lì, dalla cornutaggine di Menelao, sorge la credenza, nata come storiella buffa, che per i piaceri di Venere di sua moglie fosse scoppiata la guerra di dieci anni per conquistare il Mediterraneo orientale. Una parabola che contiene ogni fondo di verità, è chiaro. Perchè, come si dice, non c'è fumo senza il fuoco. Beh insomma, si tratta di un banchetto dove Odisseo ci si trova dentro tra polli arrosto e formaggi e vino, fronte a fronte con Agamennone il re dei re a negoziare di porto e navi, facendo quindi poi parte della grande federazione achea che si stava organizzando per creare vincoli difficilmente solubili e costringere alla guerra e alla conquista ogni suo partigiano. Eh ben: una bella fregatura.

E così fu. Già il porto era bell'e costruito, bell'e riempito di navi concave, quando giunge all'orecchio di Odisseo il re di itaca che gli Achei ci stiamo preparandio alla guerra e uno per uno passa Agamennone a reclutare le flotte. Vabbè: non tutti tutti, nell'Acaia. Solo chi può. Certe isole, sarebbe perder tempo: contadini o pastori talmente arretrati e poco forniti di mezzi, che cosa vuoi: lasciamoli dove stanno. Bisognava per esempio avere qualche nave, questo è importante; altrimenti come ci si arriva, a Troia? Odisseo, a sentire tutto ciò cambia colore tre volte, gli prude la ferita del cinghiale, No no no no no – dice.

No no no …guarda! – e si tira su il vestito, a mostrare la cicatrice. No no no – ma senza considerare l'inclinazione all'omicidio che caratterizza Agamennone, il re dei re. Arriva quindi un bel mattino Agamennone a Itaca. Tutte le navi dell'isola sono vuote, nessuno è pronto alla partenza, contrariamente a quel che ci s'aspettava arrivando.

Accompagnatemi dal vostro re – dice Agamennone tutto fiero con gran camorrìa, sdegnoso, ma è con grande imbarazzo dei cittadini che si sente rispondere che il re…beh: il re è in spiaggia.

In spiaggia? – non capiva Agamennone dov'è il problema: se il re è in spiaggia allora si va alla spiaggia – pensa.

…è in spiaggia…con l'aratro – gli dicono – …parla da solo, continua all'avanti e indietro a solcare il bagnasciuga, non vuol sentir nessuno, guarda nel vuoto, va avanti così da giorni…da settimane! – ed eccolo là in effetti, Odisseo, una volta salito e disceso un monte per raggiungere una baia poco distante il porto per andare a vedere, eccolo là Odisseo tutto indaffarato ad arare la sabbia, col flusso e riflusso dell'onde a cancellare ogni sforzo, e ricominciare e ricominciare il lavoro all'infinito, inutilmente.

Davvero Odisseo s'è imminchionito per completo – dice Agamennone – …la follia l'ha preso… sarà il caso allora che troviate un nuovo comandante entro domani, e prima del mezzogiorno ci s'imbarca.

Dal gruppo di cittadini ne viene allora fuori uno: Palamede, lo scienziato naturalista, inventore dei numeri e di certe lettere dell'alfabeto. Macchè follia e follia! – dice – quello è un furbastro; adesso ve lo dimostro, come finge – strappa Telemaco dalle braccia della nutrice il figlio del re, e lo accompagna fino a riva, lo appoggia al suolo giustamente a pochi metri dall'aratro, lì al suolo in traiettoria catastrofica, poi guarda Agamennone, questa volta fissamente, negli occhi.

Odisseo allora ferma i buoi, ferma l'aratro, si toglie le mutande dalla testa e scoppia in lacrime come un vitello, reso a partire.

(continua…)

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