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Scritto da nel Itaca, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

XVII – Laerte nel frutteto





Capitolo Diciassettesimo

Dove lo scriba e Zenone si svegliano in una capanna

e Zenone fa volar via i colombi

La mattina Zenone e lo scriba si svegliano con i piedi gelati, tutt'e due nello stesso momento. Sono in un letto di paglia, nella capanna sulla collina vicino al frutteto, lassù dove da anni Laerte passa le sue giornate senza più mescolarsi con nessuno, senza parlare con nessuno, fatta eccezione per il nipote Telemaco dai boccoli biondi, e fatta eccezione per il suo vecchio amico Palamede lo scienziato, quello che ha inventato i numeri.

I numeri e anche qualche lettera del'alfabeto.

Allora lo scriba guarda Zenone (che si rigira sull'altro fianco, riprende a roncare, dà fiato tre volte alla trombetta), si mette in piedi e fa due passi. E Telemaco è già lì: Non si cammina nel frutteto coi piedi nudi – dice allo scriba.

E tua madre, cammina a piedi nudi? – gli risponde. Lo scriba, i ragazzini non c'ha pazienza. Soprattutto quelli piccoli e merdosi. Laerte riammassava nel mentre le foglie al suolo con un rastrello fai-da-te. Guardate, bambini, guardate! – dice, indistintamente allo scriba e al nipote suo, e tira fuori uno stecchino di legno, gli fa prendere fuoco con dei movimenti su e giù per non bruciarsi le dita e mantenerlo diritto, Adesso gli avvolgo intorno il fumo – dice, come avvolgendoglielo davvero con l'altra mano – tiro e guarda, guarda! – e Zac!, lo stecco si rompe in due, misteriosamente.

È il fumo – dice – che io ce lo arrotolo intorno e poi tiro e Zac! – dice. Nientemeno. Lo scriba era a bocca aperta. Laerte, con un gesto farfallino del braccio al cielo e gli occhi semichiusi, ritorna a rastrellare e ramassare le foglie al suolo.

Forse ci arrotoli un capello e poi… – dice lo scriba.

Mmmm, sarebbe un buon metodo, ma… – Laerte guardava ormai solo le foglie. Telemaco, già del tutto disinteressato, sputava della saliva spessa, colante dalle sue labbra, sull'ingresso di un formicaio. Zenone continuava a dar fiato alla trombetta. E lo si sentiva fin da fuori. E la sua trombetta era policromatica, con estensione di quattro ottave.

E faceva volar via i colombi dal tetto della capanna.

E i colombi avrebbero volato d'un volo armonico all'orizzonte, e da lontano avrebbero portato dei rametti d'ulivo, pieni di olive. E con quelle olive Laerte ci avrebbe fatto del buon olio extravergine di oliva. E ci avrebbe condito l'insalata di frutta del suo frutteto, senza invitare nessuno alla sua tavola. E la sua tavola sarebbe stata vuota. E avrebbe mangiato da solo – meno che questa volta, che a tavola c'erano Zenone e lo scriba, e Palamede e Telemaco.

Ma tornando a noi: c'è ancora qualche vicenda in sospeso, prima di prender comincio a tacersi una buona volta, chiudere questo libro e passare a miglior vita – passeggiare in campagna, per dirne una. E scavalcare i fili spinati dei campi a vacche. E andar là dove la chiesetta sulla collina. Anche se piove. Là dove l'attardarsi è dolce. Mancano diverse storie, da raccontare.

Dopo pranzo, però.

(continua)

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