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Scritto da nel Itaca, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

XVIII – Tre ragazzi e un cane





Capitolo Diciottesimo

Dove ha luogo una scena di suspance

Allora ecco a pranzo Zenone e lo scriba con il divino Laerte – come lo chiamavano. E con Palamede e il piccolo Telemaco.

Quando il re …ahem… – non poteva chiamare Odisseo 'il re', Palamede, senza sentire un raschino alla gola – …ahem… quando è partito per la guerra è stata circa l'ultima volta che ti abbiamo visto da queste parti, Zenone; e adesso la guerra è finita e tu torni e il …ahem: tu torni e Odisseo non torna, come ce lo spieghi? – Zenone non sapeva bene che cosa dire. Si aspettava in verità di trovarlo lì, Odisseo, a Itaca come gli altri. Gli è forse successo qualcosa – continua Palamede – al nostro… a Odisseo, mica che gl'è successo qualcosa…come dire? qualcosa di brutto, ecco.

Non è quindi tornato, Odisseo? …è proprio come dicono? …sono vere le storie che raccontano di lui? – Zenone era tutto in ascolto, mentre Laerte aveva già finto il suo piatto di orecchie di maiale*, e Palamede si fregava le mani non potendo contenere un'eccitazione improvvisa che gli drizzava fino i capelli. Telemaco era uscito a vedere come proseguiva la fortuna delle formiche su cui aveva versato la sua saliva per tutta la mattina.

Difatti, Zenone – Palamede era troppo in fiamme per tacersi – difatti ci stiamo dando da fare qui nell'isola per un nuovo re… non sei passato dalla città?

- No

- E allora ti spiego: ci sono almeno venti o trenta in attesa che si sappia qualcosa di più certo sulla fine Odisseo, e quando si sarà sicuri… quando si sarà sicuri che la fortuna non lo farà mai più tornare…

- E l'aspettate con ansia, questa notizia.

- Molta.

- E tu Laerte che dici?

Laerte era già alla metà della sua seconda orecchia di maiale, perchè era abituato a mangiarne sei in una mezzora: Io, dici? – gli fa Laerte a Zenone – io come vedi, qui dove il nostro re mi ha messo, qui sto, io – e con la bocca spalancata Laerte pronuncia uno dei rutti più clamorosi della Storia.

Tu eri qui a Itaca quando Odisseo ha preso il comando, Zenone – gli fa Palamede – e so bene come la pensavi allora, e immagino non ti sorprenderai se la gente qui, nell'intimità delle loro case, si fa delle grandi risate al pensiero che Odisseo, che non è ancora tornato,… – Palamede, per distrazione, s'era messo in bocca un'oliva cruda staccata dal rametto con un morso, e nemmeno masticando e inghiottendo il succo agrissimo s'era accorto di niente. Non s'era mai sentito così contento, così pieno di speranze. Era stato il mare, quindi, a finire la sua opera di tutta una vita – un'opera che faceva scolorire anche l'invenzione dei numeri e di alcune lettere dell'alfabeto. E il calcolo delle distanze coi triangoli, e la scoperta delle costellazioni, tutto questo non valeva quanto l'aver mandato a morte Odisseo: il suo capolavoro.

Quello che ha rovinato quest'isola – dice alla fine Laerte – …quest'isola ch'era così bella, si stava così bene… ti ricordi Zenone com'era bella quest'isola?, come si stava bene? …piena di gente semplice, sconosciuta e libera da tutti gli stranieri che oggi camminano per la città come fosse loro, e le mogli che vivono del lavoro per gli stranieri nelle le taverne, …e la baia, là…

La baia delle baccanti esiste ancora? – Zenone s'era riempito di nostalgia per i bei vecchi tempi.

- …sì, la baia delle baccanti, che attira gli Achei del Peloponneso, che sono i più insopportabili di tutti,… ma una volta era bella, Itaca… e quando si partiva per mare, poi era dolce il pensiero di tornar qui, ma adesso non ci sarebbe più nemmeno un'Itaca per desiderare il ritorno… adesso non c'è più niente – diceva Laerte pieno di lacrime di rabbia che gli rimanevano negli occhi – …beh insomma quello che volevo dire: quel che ha rovinato quest'isola erano tre ragazzi e un cane – dice Laerte – uno ho avuto il piacere di spaccare le sue ossa con le mie mani, l'altro se l'è preso Poseidone nella sua infinita bontà, …e questo vorrei dire che mi rallegra, non fosse che quest'ultimo bastardo è figlio mio, e certe volte mi ricordo ch'è figlio mio e mi taglerei le palle, mi taglierei… ma le palle non le ho tagliate quand'era il momento e le palle hanno fatto il loro lavoro di palle – dice – ed eccoci qui… ma dei tre che sono la rovina di Itaca, due ce li siamo tolti, dalle palle …sto dicendo forse troppe volte 'palle',…

- No-no, continua, continua

- Eh, ben, lo so che ripetere la stessa parola troppe volte in una sola frase non è ben educato…

- Divino Laerte…

- …e mi scuso, ma, …insomma: ho detto – e pronuncia Laerte un secondo rutto, come a metter la punteggiatura.

Dei tre – dice Palamede a Zenone, più serio che mai – …dei tre col cane – dice – due sono morti, il cane è vecchio… beh - dice a Zenone che aveva già cambiato colore tre volte – …tu Zenone a quale Itaca volevi tornare, hai detto?

Un attimo, un attimo – grida Laerte, per la sorpresa di tutti – …guarda bene con attenzione questo rametto, prima di rispondere – e con una candela gli dà fuoco – …guarda bene… – fa girare il rametto con dei movimenti su e giù per non bruciarsi le dita e mantenerlo diritto, Adesso gli avvolgo intorno il fumo – dice – tiro e guarda, guarda! – e Zac!, lo stecco si rompe in due misteriosamente, come già quella mattina davanti allo scriba, che non capisce niente di quel che si dice e sorride come un babbeo.

Allora Zenone – dice Palamede – a quale Itaca volevi tornare?

(continua…)




* L'orecchia di maiale era uno dei piatti tipici di Itaca. Ben apprezzato dai turisti spartani quando le mogli degli uomini in guerra si sono rimboccate le maniche e hanno aperto delle taverne a piatto unico (spesso le orecchie di maiale) e da ogni parte del mediterraneo la cucina itacense era conosciuta per le sue ristoratrici e per le sue orecchie di maiale.

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