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Scritto da nel Numero 66 - 1 Febbraio 2010, Politica | 3 commenti

Difendere Craxi dai suoi difensori

Come nelle aule di tribunale, anche per la storia il primo passo per un uomo chiamato a giudizio collettivo è scegliersi un buon avvocato. Nel caso di Bettino Craxi, si può legittimamente sospettare che gli sia stato assegnato d’ufficio, come ai derelitti.

Con un editoriale kamikaze, il direttore del TG1 Minzolini ha aperto l’attacco dei telebani berlusconiani alla conquista definitiva della memoria politica craxiana. Il profluvio di dichiarazioni di ex-socialisti pentiti e riabilitati al potere passando per Arcore ha surclassato la riflessione fra i legittimi eredi del PSI craxiano, i socialisti e gli appartenenti al defunto Partito Socialista Europeo. Nel perseguimento di rozzi obiettivi anti-giudiziari, l’attuale classe dirigente ha fatto proprio un personaggio le cui scelte politiche rientrerebbero a pieno titolo nella bersaniana ricerca del “senso a questa storia”. Della sinistra italiana, non della destra.

E’ probabile che Craxi non meriti la santificazione esattamente quanto la criminalizzazione: di sicuro non si merita questi avvocati difensori. Tolta la polemica contro la magistratura, da contestualizzare peraltro nella fase di declino politico del personaggio, ben poco condividono i berlusconiani della politica del Craxi nel periodo di ascesa e consolidamento del potere, quello per cui merita senz’altro di essere dibattuto. Persino l’anti-comunismo, tratto solo apparentemente comune, in Craxi nasce all’interno di uno storico dualismo tra socialismo e comunismo per l’egemonia culturale della sinistra. Soprattutto, come ricorda Luca Telese in “Qualcuno era comunista”, cresce nella profonda conoscenza – critica – della dottrina marxista.

Sicuramente hanno poco a che spartire i forza-italioti in termini di politica estera. Il saldo ancoramento di Craxi terzo-mondismo solidale con la lotta palestinese e con i movimenti sudamericani di liberazione da dittature autoritarie – Cile, in primis; la collocazione geopolitica dell’Italia come ponte tra Europa e Medio Oriente e l’autonomia dai diktat americani a riguardo; la realpolitik scevra da servilismi verso il Vaticano non sono certo nel patrimonio genetico dell’Italia berlusconiana, che ne ha anzi brutalmente dissipato l’eredità. Molto più vicino sembra al contrario il D’Alema della missione in Libano. Infine, il Craxi che sbatte i pugni sul tavolo di fronte a Margaret Thatcher per l’approvazione dell’Atto Unico Europeo è quanto di più lontano dall’europeismo opportunista e sensazionalista dei governi Berlusconi.

Molto più controversa è invece la spinta di Craxi verso un’economia di crescita modernizzatrice, in contrasto con i sindacati e con le ‘politiche dei redditi’ degli anni ’70, come la scala mobile. I facili paragoni col presunto liberalismo berlusconiano sono però tutti da soppesare. In pochi potrebbero negare un contesto di profonda crisi dei sindacati al momento dell’entrata di Craxi al governo nel 1983, fiaccati dall’autonomismo, dalle spaccature interne, dai ritardi economici e sociali dell’Italia e dall’inflazione. Il governo Craxi lasciò maggiore spazio al libero sviluppo della prima consistente terziarizzazione dell'economia e all’allentamento delle asfissie di un mercato del lavoro iper-regolato e in rapido cambiamento. Dall’altra parte, il massiccio ricorso alla spesa statale per i prepensionamenti e l’uso dell’amministrazione pubblica come datore di lavoro da ultima spiaggia distinsero Craxi dall’iper-liberismo Reaganiano e Thatcheriano, in quel momento dominanti. Le conseguenze di quel dissennato periodo le paghiamo oggi con l’enorme debito pubblico che grava sulle spalle dell’Italia: ci si può d’altronde chiedere quali fossero le alternative al tempo e che effetto avrebbe avuto la continuazione dello schema degli anni ’70, da cui CGIL e PCI sembravano irremovibili.

E’ stato però l’appoggiare la propria ascesa politica nelle mani di rampanti gruppi sociali a costituire il punto di raccordo tra Craxi e l’Italia contemporanea di cui Berlusconi è massima espressione. Nel Paese del clientelismo partitico viscerale, la copia nostrana del capitalismo speculativo – dunque a corto raggio strategico – e crudo esercizio del potere non poteva che generare un mostro di corruzione sistematica e disastro economico nazionale. A prescindere dalle responsabilità giudiziarie personali, il sistema di cui Craxi è stato autorevole – ma non solitario – rappresentante può essere giudicato dagli effetti. Sarebbe utile ricordare che il periodo 1991-93 è stato uno dei più angoscianti della storia italiana non tanto per Tangentopoli quanto per l’incapacità del Pentapartito di far fronte a svalutazione record della lira, disoccupazione alle stelle e debito pubblico incontrollato – oltre alla guerra della Mafia allo Stato.

Quando i telebani berlusconiani denunciano il “colpo di stato” dei magistrati di Mani Pulite dimenticano volontariamente questi fatti. E fanno anche a meno di chiedersi sia se un uomo e la sua classe politica non fossero già arrivate ad un punto morto ben prima di Mario Chiesa, sia perché Craxi abbia pagato più di tutti mentre i fratelli coltelli DC siano ancora tutti lì. In sostanza, se quella di Bettino Craxi non sia la fine che accomuna i tanti Cesare della storia: tanto il potere esercitato con ostentata autorità, altrettanto crudele la fine quando indeboliti, soprattutto se privi di radicati legami Oltretevere. Una congiura peraltro condotta fianco a fianco dagli ex-comunisti e dai Missini dell’hotel Raphael e dalla Lega Nord del cappio in Parlamento. Tutti parecchio silenziosi in questi giorni.

Insomma, il più grande peccato nel lasciare a Minzolini, Bondi, Cicchitto e Brunetta il ricordo di Craxi come campione della persecuzione giudiziaria è quello di non parlare delle radici della scomposta modernizzazione in Italia. La pavidità della classe dirigente PD, per parte sua, ha accuratamente evitato di rilanciare il dibattito pubblico su temi essenziali per una sinistra di governo e non più di sola, comoda opposizione: un punto su cui Craxi – ci piaccia o no – anticipò i comunisti, prendendosene le responsabilità, nel bene e nel male. Il socialismo italiano faticherà ancora a superare i dilemmi del mondo incarnato da Craxi. Per superare Minzolini e Brunetta, invece, basterà un saltino senza rincorsa.

3 Commenti

  1. a mio parere, questo è un articolo importante e coraggioso, capace di un esame autocritico proiettato verso un cambiamento e un riformismo che non h paura di affrontare la storia ammettendo gli errori passati ma recuperando ciò che ha avuto di buono.

    l'autore crede che la sinistra di un BErsani pronto a cercare facili alleanze con Dipietro (o casini) sia disposta a fare questo saltino senza rincorsa??
    e saprà l'opnione pubblica di sinistra, capitanata da Scalfari e La Repubblica delle campagne mediatiche e giustizialiste contro Berlusconi, compiere questo cambiamento epocale che partirebbe proprio dal riconoscere gli errori interni e accusatori commessi in passato?

    grazie e complimenti, molto interessante

  2. Se la sinistra degli ultimi 10 anni si è appiattita sul berlusconismo senza sviluppare troppo d'altro, lo deve in buona parte proprio all'aver preso Repubblica come riferimento culturale.

    In realtà, credo che senza far rumore l'eredità craxiana sia percolata in molte posizioni dei DS prima e del PD poi. I quali però hanno preso ben poco sul serio sia le “conversioni di massa” di molti ex-socialisti (perché sono andati con Berlusconi? non credo che sia solo viscidume e arrivismo) sia la questione dei gruppi sociali di sostegno (ex. le amicizie di D'Alema).

    La questione delle alleanze però rientra in tutto e per tutto nell'eredità craxiana. La sinistra socialista in Italia rimarrà sempre una minoranza politica, cospicua ma necessariamente bisognosa di puntelli. Craxi senza DC non avrebbe potuto fare niente, nel bene e nel male. L'Unione era una coalizione MINIMA vincente per governare. Il PD crede di poter fare maggioranza da solo? Può cercare di dettare il ritmo dell'agenda politica nelle alleanze, ma da qualche parte il compromesso porterà sempre scontento.

    Mi fermo qui. Ringraziando per gli apprezzamenti, non vorrei dare l'impressione di sapere che pesci pigliare.

  3. Al netto dei periodi storici, e della diversa statura umana e culturale dei personaggi, io invece qualche analogia tra Craxi e Berlusconi la vedo.

    Intanto l'atlantismo, problematico ma granitico e sincero. Craxi non fu solo Sigonella. Craxi fu quello che rinsaldò la presenza italiana nella NATO e fece installare gli euromissili, contro il PCI inetto e inconcludente che belava di improbabili scelte pacifiste contro le rampe missilistiche di Breznev. Nelle proprie memorie, sia Reagan che la Thatcher ricordano Craxi come l'interlocutore italiano più leale ed affidabile (molto più degli ambigui democristiani italiani, dei socialisti terzisti francesi, e persino dei tetragoni tedeschi della CDU). Sigonella resta una parentesi, e non un leit motiv.

    Poi l'apertura a destra. Craxi sdoganò la destra (post)missina molto prima di Berlusconi, e contro le retoriche forse un po' datate dell'arco costituzionale. D'altra parte, il suo socialismo “nazionale” trovò molti estimatori anche da quella parte (gli studi sui flussi elettorali di allora stimarono che il PSI pescasse non poco persino nell'ex elettorato del MSI. Il che, in fondo, è curioso: molto prima che molti socialisti svoltassero a destra, molti uomini di destra avevano iniziato il percorso inverso. E chissà mai che il problema del perchè ex socialisti oggi stiano con Berlusconi e Fini, non possa essere riletto e reinterpretato anche a rovescio, e viceversa).

    Infine, i nemici. Gi stessi e identici di Craxi, e di Berlusconi. La sinistra cattolica, i (o gli ex) comunisti “legalisti”, il gruppo editoriale Scalfari-De Benedetti-Espresso- Repubblica. Transitivamente, c'è il sospetto che l'establishment detestasse nell'uno, e a suo modo anche dell'altro, l'irruenza dell'homo novus che scompagina le carte, e che rovescia (o tenta di farlo) qualche consolidato assetto di potere editorial-finanziario, e la sua pretesa di esercitare (non solo a sinistra) la guida del paese. A cui in limine si è aggiunto (allora come ora) il partito delle procure. Col quale, ora come allora, la lotta resta feroce, e senza quartiere.

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