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Scritto da nel Numero 66 - 1 Febbraio 2010, Politica | 5 commenti

La calda ospitalità del sud

Stranieri gambizzati, pestati con spranghe o investiti da auto.
 Non si placa la protesta della società civile.
[www.spinoza.it]

Si è già scritto tanto sui cosiddetti fatti di Rosarno. Sono state formulate diverse interpretazioni un po’ da tutti. Tra queste mi piace sottolineare quella di Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata a Roma Tre, che in un’intervista  a «Il Fatto Quotidiano» sostiene che per andare alla radice della rivolta sia utile «analizzare i mutamenti economici della zona».Se infatti «un tempo gli extracomunitari erano necessari per la raccolta degli agrumi […] da un paio di anni a questa parte, grazie ai finanziamenti della Comunità europea, conviene lasciarli sugli alberi, e poi farli marcire a terra. Tanto i soldi arrivano ugualmente». Inoltre il professore calabrese attribuisce un ruolo fondamentale alle ’ndrine nella contro-reazione di Rosarno: queste avrebbero mandato così un segnale: «qui comandiamo noi, il territorio è nostro». Gli africani invece avrebbero reagito perché si era sparsa la voce dell’uccisione di quattro di loro. Di tale notizia ne ho indirettamente la conferma in prima persona chiacchierando in un quartiere di Crotone con diversi «ospiti» del Centro di Permanenza Temporanea di Isola Capo Rizzuto; questi, citando come fonte alcuni immigrati che vivevano a Rosarno (e in seguito «trasferiti» al Cpt), dopo una settimana erano ancora decisamente convinti della morte di alcuni extracomunitari nell’assurda battaglia del 7-8 gennaio.

Ma qui ora vorrei trattare dal punto di vista umano la vicenda, visto che di diritti umani (in questo caso violati) si parla in questo numero de L’Arengo. Lo voglio fare seguendo tre direttive: la questione razziale in Italia, il pensiero del comune cittadino calabrese, il punto di vista degli immigrati.

La guerriglia di Rosarno e le reazioni di una buona parte della popolazione italiana hanno ulteriormente dimostrato l’effettiva esistenza di una questione razziale nel nostro Paese. Non ce ne era bisogno. Considerare l’immigrato  semplicemente un problema è un atteggiamento ormai divenuto tipico dell’italiano medio, dalla  famosa casalinga di Voghera al ragazzo mediamente istruito del meridione.  
Una prova ad esempio è costituita dal largo consenso avuto dalle dichiarazioni di Maroni all’indomani della rivolta suddetta, secondo il ministro leghista causata da un eccesso di tolleranza in questi anni verso l’immigrazione clandestina. Egli dimentica, come ha fatto giustamente notare il segretario del Partito Democratico Bersani, che questa è regolata dal 2002 dalla legge Bossi-Fini, di cui tutto si può dire tranne che sia tollerante. Questo provvedimento lega il permesso di soggiorno ad un contratto di lavoro o ad un reddito sufficiente per il mantenimento economico e accelera le procedure di espulsione per gli immigrati privi di documenti d’identità. E’ facile intuire come tale legge favorisca piuttosto che impedire il ricorso degli immigrati al lavoro nero, aprendo possibilità enormi alla criminalità organizzata, agli sfruttatori: gli immigrati irregolari vittime di soprusi non possono denunciare la loro condizione perché altrimenti sarebbero espulsi subito dopo. Si può affermare che questa legge non voglia cacciare i clandestini (come la propaganda leghista vuole far credere) ma mantenerli in una costante condizione di ricatto. Pare infatti che capiti sovente agli irregolari che dopo intere giornate a raccogliere frutta nei campi i loro «datori di lavoro» si rifiutano di versare la (misera) paga pattuita minacciando di chiamare le forze dell’ordine e quindi costringendoli alla fuga.

L’equazione immigrato-criminale rappresenta il più grave e diretto sintomo del razzismo che ha contagiato una grossa fetta della popolazione italiana. Credo sarebbe utile che chi ancora è immune a questa assurda deriva cominci con l’ammettere chiaramente l’esistenza di tale situazione; per provare a combatterla. Purtroppo bisogna ancora una volta registrare la grossa responsabilità dei media in questo senso, in particolar modo la televisione, che tendono ad occuparsi degli stranieri solo quando qualcuno è protagonista di azioni violente contro italiani.

Evidentemente le condizioni degradanti in cui vivono tanti (troppi) immigrati nel nostro Paese non fanno notizia. Non interessano. Addirittura qualche calabrese sostiene che sono loro a decidere di vivere così, che possono tranquillamente rimanere nei rispettivi Paesi, evitando di venire qui a rubare il lavoro ai figli o agli amici (che già non ce n’è). Penso di non esagerare affermando che l’ospitalità del sud, in questo caso della Calabria, sia una grossolana bufala. O meglio, magari esiste, ma è caratterizzata da una severa selezione. Dopo la consueta premessa in cui affermano di non essere razzisti, molti calabresi (secondo la mia esperienza non penso di sbagliare scrivendo la maggior parte) attribuiscono agli immigrati le più svariate colpe e crimini, dall’essere per natura violenti o semplicemente musulmani (!) al voler affermare la loro cultura a scapito della nostra.
Forti con i deboli, deboli con i forti. Piegati ed in silenzio di fronte all’imperversare della ‘ndrangheta (banalmente basta seguire quotidianamente il tg regionale della Calabria per capire quanto la criminalità organizzata domini la mia regione), ma aggressivi o comunque intolleranti quando anche solo si chiacchiera di gente disperata.

Si, perché di gente senza speranza si tratta. Lo dicono i loro occhi, ma soprattutto lo affermano loro stessi. Nella mezza giornata che ho passato a conversare con gli immigrati a Crotone c’è chi (la maggior parte) ha un posto dove dormire e mangiare: il Cpt per l’appunto. Altri, dormono per strada. Uno solo ha un lavoro: 40 euro per 12 ore in un’impresa di costruzioni.
La gente con cui ho parlato proviene principalmente dall’Africa. I più hanno un permesso di soggiorno di 6 mesi, quello che si rilascia ai richiedenti asilo politico, ma i tempi della burocrazia del Mezzogiorno fanno sì che l’attesa per il rinnovo del documento sia lunghissima e in ogni caso tale condizione giuridica complica parecchio la ricerca di un lavoro. A ciò si aggiunge il problema della lingua: questi immigrati parlano tutti bene l’inglese o il francese o persino entrambe, ma molti italiani, specie da queste parti, non conoscono lingue straniere e mi fa sorridere e riflettere un nigeriano che per questo motivo definisce il bel Paese un popolo di incivili!
In queste conversazioni, molto serene, emerge l’assoluta impotenza di queste persone, spesso giovani. Senza soldi, senza lavoro e con minime possibilità di trovarlo, hanno alle spalle enormi sofferenze nei Paesi che hanno lasciato. E poi tutti mi chiedono perché agli italiani non piacciono le persone di colore, perché sono razzisti. Mi riferiscono del particolare trattamento che ricevono nel centro di Isola Capo Rizzuto, dove si recano per fare la spesa al supermercato Lidl. Sono presi di mira da giovani «bulli» che non lesinano insulti, sputi, pietre, a volte persino botte. Così preferiscono andare in compagnia, da soli è rischioso.

Ripensando alle condizioni in cui viveva la comunità di immigrati-schiavi a Rosarno mi chiedo il perché non debba essere lecito ribellarsi quando vengono così calpestati i diritti fondamentali di cui ogni essere umano deve godere. Come si può predicare tolleranza a persone che non hanno nulla? Allora bisognerebbe imparare, per dirla con De Andrè, a considerare «un delitto il non rubare quando si ha fame».

Chiedo ad un ragazzo della
Guinea se tornerebbe nella sua Terra d’origine se ne avesse le possibilità economiche. «Non lo so», mi dice, «ma sicuramente andrei a vivere in un Paese dove il colore della pelle non rappresenti un problema».

5 Commenti

  1. Grande articolo fratello…ma che tristezza.

  2. bell'articolo…

  3. caro Dario,
    il fatto che l'arengo, grazie al tuo contributo, sia riuscito ad arrivare fino a Rosarno dando voce agli ultimi è cosa importante e di valore.
    nelle tue parole critiche trovo un sentimento di rabbia, rancore, non solo per i fatti di rosarno, ma in generale per la tua terra e la tua gente, inospitale, incivile, razzista, come scrivi. mi chiedo quanto sia colpa loro di questa situazione in cui la mancanza di prospettive ed opportunità crei odio e diffidenza, invece di invitare alla solidarietà.
    secondo me, l'origine è nel sistema familiaristico meridionale, in cui ci si può solo fidare dei propri cari, che inevitabilmente comporta il mancato sfruttamento di capitale sociale, come qui in emilia romagna (pensa all'associazionismo). ma questo tesstuto sociale è forse una reazione all'assenza delle istituzioni. dove sta la colpa originaria quindi?
    spero solo che prosegua il contatto con il nostro inviato speciale da crotone e che la condizione sociale difficile che stai respirando non ti porti a un eccesso di rancore e disperazione, quel sentimento di sfiducia verso la propria gente che si ritrova anche nelle pagine di gomorra
    un saluto
    stefano

  4. Grazie Stefano,
    più che di rancore o rabbia si tratta di profonda delusione. La Calabria è terra bellissima, i calabresi siamo gente bizzarra. Il sistema familiaristico che si perpetua direi spontaneamente e si pone al di qua e al di là della legalità è sicuramente all'origine dei mali che attanagliano la mia regione. Potrebbe forse essere una degenerazione ante litteram dell'individualismo di stampo capitalista. Per quel che riguarda le istituzioni, l'analisi è semplice: funzionano col medesimo sistema familiaristico, ne più ne meno.
    Secondo me dalla storia dell'unità d'Italia si possono ricavare risposte sulla diffusa illegalità e ostilità verso le istituzioni statali. Ecco, sull'inciviltà temo che trovare risposte sia un po più complicato.
    saluti

  5. complimenti Mac, molto bello.

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