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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 66 - 1 Febbraio 2010 | 0 commenti

La pena irreversibile

Ascoltate la voce della giustizia e della ragione;

essa grida che mai il giudizio dell'uomo è tanto certo

da far sì che la società possa dare la morte a un uomo

condannato da altri uomini soggetti a sbagliare.

(M. Robespierre, “Discorso Contro la Pena di Morte”)

La pena di morte è prevista dall'ordinamento in 46 paesi al mondo, sancendo così il diritto, per lo Stato, di togliere la vita a seguito di un crimine commesso da un individuo. Nel corso degli anni un numero crescente di Paesi ha smesso di praticare la pena di morte, così che attualmente i Paesi in cui non è praticata sono 151, di cui 96 totalmente abolizionisti, e i restanti “abolizionisti di fatto” o per crimini ordinari. L'Europa, ad eccezione della Bielorussia, è completamente libera dalla pena capitale.

Gli argomenti a favore di questa soluzione estrema al problema della criminalità sono molti e, spesso, basati su convinzioni oggettivamente sbagliate.

Si sostiene che la pena di morte abbia un effetto deterrente: la paura di perdere la vita a seguito del crimine commesso dovrebbe ridurre la propensione degli individui a compiere i delitti più gravi, in particolare l'omicidio. E' stato dimostrato, tuttavia, che questa convinzione non è supportata dai dati. Nel 2004, ad esempio, negli Stati USA in cui la pena capitale è prevista dall'ordinamento, il tasso di omicidi in rapporto alla popolazione è stato maggiore rispetto a quello degli Stati che non la prevedono.

E' certamente difficile stabilire un nesso causale tra il tasso di criminalità e la presenza o meno della pena di morte nell'ordinamento di un Paese: molti sono i fattori che influenzano il numero di crimini compiuti – la condizione socio-economica, il numero di agenti presenti sul territorio, la presenza di organizzazioni criminali, per fare alcuni esempi – e, da questo punto di vista, confrontare due Paesi diversi è sempre un problema. Dall'altro lato, è anche probabile che gli Stati che, storicamente, hanno avuto un tasso di criminalità maggiore tendano a prevedere delle pene più estreme. Tuttavia, ci sono diversi motivi per cui l'idea che la pena capitale sia un deterrente maggiore rispetto al carcere non appare difendibile: innanzitutto, molto spesso gli omicidi sono compiuti in modo impulsivo; in secondo luogo, è difficile condividere la tesi secondo cui un criminale decida come agire sulla base del fatto che dovrà rendere conto delle proprie azioni con la vita piuttosto che con il carcere (ad esempio, l'ergastolo); infine, il rischio della pena di morte è la creazione di un effetto perverso, per cui i criminali abituali potrebbero non avere più nulla da perdere ed essere così indotti a commettere delitti più efferati.

Molto spesso, anche in Italia, incauti commentatori sostengono che “a sentire certe notizie, viene voglia di reintrodurre la pena di morte, almeno per alcuni reati”. I reati a cui fanno riferimento sono, generalmente, i crimini più odiosi e, in particolare, quelli che hanno ottenuto un maggiore risalto sui mezzi d'informazione. Secondo alcuni, anzi, sarebbe una sorta di giustizia che viene resa alla famiglia della vittima. Il ruolo dello Stato, tuttavia, non è quello di seguire l'umore del popolo e di assecondarlo (per quanto, purtroppo, abbiamo avuto prova che il legislatore tenda sempre più frequentemente a muoversi sulla base di sondaggi d'opinione più o meno affidabili), ma di porsi al di sopra dei sentimenti collettivi, che, per loro natura, sono mutevoli e incostanti, in modo da offrire una soluzione ai problemi della società che sia al contempo efficace e rispettosa dei diritti di tutti. Anche la schiavitù, la tortura, le guerre più cruente hanno ricevuto, storicamente, il sostegno dell'opinione pubblica. E' questo un motivo sufficiente a giudicarle delle pratiche accettabili da una società moderna? A chi spetta decidere quando un crimine diventa “estremamente grave”? Introdurre giudizi di merito come questi inevitabilmente espone il sistema giuridico al rischio di arbitrarietà.

Lo stesso discorso vale per la vita dei detenuti all'interno del carcere: non è accettabile, qualunque sia il reato da essi commesso, che rischino la vita all'interno di una struttura pubblica.

Così come la tortura, la pena di morte è una pratica crudele e, in qualche modo, sadica. In tutte le forme in cui è praticata – impiccagione, iniezione letale, fucilazione, gas, elettrocuzione, lapidazione – essa è un atto che viola il diritto alla vita e si pone allo stesso livello del crimine che intende punire; in molti casi la morte non è immediata (possono passare anche venti minuti di sofferenze atroci) e, cosa ancor più assurda, l'iniezione letale, che oggi dilaga negli USA in quanto ritenuta “meno invasiva”, è vietata sugli animali in quanto considerata inumana.

Infine, e forse questo è il punto più importante, la pena di morte è l'unica pena irreversibile: è sempre possibile che un innocente sia condannato; una volta che la condanna viene eseguita, nulla può riportare in vita un innocente erroneamente assassinato. E, purtroppo, la storia racconta di molte condanne a morte che hanno lasciato più di un dubbio.

Il fatto che il numero di paesi abolizionisti sia in costante crescita e che, al contrario, è molto raro che la pena di morte venga reintrodotta una volta che è stata abolita, dovrebbe essere già di per sé una prova del fatto che essa sia una pratica inutile e deprecabile.

Il 18 dicembre 2007 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è pronunciata a favore di una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali; in quell'occasione 106 paesi votarono a favore, 46 contro e 34 si astennero. La Moratoria Universale è un atto di indirizzo politico, non vincolante, ma di forte valore morale che è stato approvato, dopo molti tentativi andati a vuoto, anche grazie all'impegno della diplomazia italiana. Nonostante questa risoluzione, nel 2008 sono state eseguite almeno 5.727 condanne a morte (è ignoto il numero di condanne mantenute segrete), di cui circa 5.000 in Cina. Lo Stato continua a togliere la vita per “reati” che vanno ben oltre l'omicidio: spaccio di droga, crimini contro la castità, omosessualità, sono altre ragioni per giustificare la condanna a morte.

Successi come quello del 2007 non possono, dunque, far dimenticare che in una parte consistente del mondo lo Stato continua ad uccidere per legge, e che la strada da fare è ancora molto lunga.

Fonti:

Rapporto 2009, Nessuno Tocchi Caino - www.nessunotocchicaino.it

La Pena di Morte – L'Ultima Punizione, Amnesty International - www.amnesty.it


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