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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 66 - 1 Febbraio 2010 | 0 commenti

Scrivere in un ascensore senza confini

Amara Lakhous, scrittore algerino, in un'intervista ha usato un'interessante metafora per parlare dell'Italia e del suo futuro: quella dell'ascensore. L'Italia del futuro sarà, e in parte già è, uno spazio stretto, chiuso, in cui le persone sono chiamate ad incontrarsi. E' un'Italia multietnica costretta ad incontrare l'altro per via dei flussi migratori.

Quest'incontro può diventare dialogo e aiutarci a plasmare il nostro essere nel mondo, a conoscerci e a crescere. In un mondo in cui i confini sono sempre più labili diventa impossibile contenere i flussi di persone. Favorire gli scambi non significa annullare la propria identità, ma rinegoziarla ricordandosi che le realtà sociali sono dei cantieri sempre aperti, in cui noi costruiamo noi stessi interagendo con gli altri.
Si interagisce con gli altri attraverso la lingua, che si fa tramite di culture diverse, che appartengono a chi ha scelto di adottarla per ridefinire il proprio essere al mondo. Chi arriva in Italia dai vari angoli del globo e si mette a scrivere in italiano, deve prima fare i conti con le proprie origini.
Si trova a doversi sdoppiare fra ciò che era, ed è ancora, e ciò che diventerà: tra un luogo in cui nasce e uno in cui abita.

Elias Canetti diceva: non si abita un paese, si abita una lingua. Rendere abitabile una lingua vuol dire ricreare nella lingua straniera la memoria della propria terra, della migrazione. E per chi migra comunicare, e ancor più scrivere, può diventare un'esigenza imprescindibile, necessaria per tenersi insieme laddove è facile perdersi.
Dal 1998, si parla di “letteratura italiana della migrazione” per riferirsi agli scritti di migranti venuti in Italia da ogni parte del mondo, che hanno deciso di comunicarci le loro emozioni ed elaborare le loro opere non nella loro lingua madre, ma in quella di “approdo”, quella italiana appunto.
Scegliere di scrivere in italiano, tradendo la propria lingua d'origine, è una scelta difficile, considerata una perdita e una sofferenza da alcuni, un interscambio da altri.
Scrivere in italiano può far temere di usare una lingua senza radici: una lingua di serra.
Può significare scegliere una lingua artificiale, che però può diventare una patria per chi ha adottato lo stato di apolide. Può diventare un ormeggio a cui aggrapparsi per non perdersi.

La migrazione linguistica richiede uno sforzo notevole per impadronirsi di un vocabolario nuovo e cercare di dare un significato alle varie parole.
Il linguaggio non ha mai un'identità permanente e nel campo del letterario esiste sempre una mancata immediatezza delle parole nella lingua.
Si apprendono parole sconosciute, che devono essere rivestite di senso, per esprimere le proprie opinioni ed emozioni e riempire il vuoto che si sente dentro.

Come scrive Taddeo nel saggio “La letteratura nascente”, non è la migrazione in sé, ma l'assenza che essa comporta a determinare l'esigenza di scrivere per raccontarsi e raccontare. Queste nuove esperienze di scrittura possono essere una ricchezza per tutti e favorire l'integrazione che come l'amore, si fa in due.

Sta a chi viene in Italia comunicare e farsi conoscere, e sta a noi ascoltare e condividere.

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