Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 66 - 1 Febbraio 2010 | 0 commenti

Un economista per i diritti umani: Amartya Sen

Il concetto di diritti umani universali è senza dubbio una delle costruzioni etiche di maggior successo degli ultimi secoli. Esso ha preso forma giuridica attraverso la Costituzione degli Stati Uniti e quella francese, e quindi con la Dichiarazione Universale del 1948. Eppure accanto al grande successo del concetto etico-filosofico, si è sviluppata presto una schiera di scettici o di aperti detrattori. Tra essi, vi sono stati e vi sono tuttora molti economisti.

L'economia ha spesso visto con diffidenza la costruzione teorica dei diritti umani: è comprensibile, visto che le differenze tra approccio economico ed approccio dei diritti umani sono molteplici e profonde. La principale sta nell'idea stessa di ciò che è bene e ciò che è male. Secondo l'approccio dei diritti umani ogni individuo è dotato di un patrimonio di diritti di cui può beneficiare e doveri che è tenuto a rispettare. Le azioni individuali e collettive devono essere giudicate sulla base di questo set di diritti e doveri. L'approccio economico standard è invece molto diverso: si definisce welfarista perchè si basa sul concetto di benessere (welfare). Il principio alla base del welfarismo è che tutte le politiche (intese nel senso più ampio di azioni che hanno conseguenze sugli altri) devono essere valutate sulla base dei loro effetti sulla soddisfazione delle persone (utilità). Tale soddisfazione deve essere valutata sulla base delle scelte che gli individui compiono (si dice che le preferenze individuali sono rivelate dalle azioni compiute). Ora, la maggior parte delle politiche non migliorano la soddisfazione di tutti: per qualcuno che ci guadagna c'è spesso qualcuno che ci perde. Gli economisti hanno risolto questo problema elaborando il concetto dell'efficienza paretiana: una politica va scelta se lascia almeno una persona maggiormente soddisfatta di prima e le altre in una situazione non peggiore a quella in cui sarebbero incorsi se fosse stata fatta una scelta diversa.

Gli economisti hanno per lungo tempo ritenuto il loro un approccio migliore di quello dei diritti umani: è più scientifico, e più liberale, perchè si basa su ciò che le persone effettivamente scelgono, piuttosto che su dei principi universali che sono facilmente attaccabili o addirittura arbitrari. Era forse naturale che a criticare questa idea fosse proprio un economista: Amartya Sen, che per la sua critica del welfarismo ha conseguito il Nobel per l'Economia nel 1998.

In un memorabile articolo del 1970,1 Sen ha mostrato come liberalismo ed efficienza paretiana non possano essere perseguiti contemporaneamente: vi saranno situazioni in cui una scelta liberale porterà ha soluzioni non efficienti, e viceversa. Possiamo capire il perchè di ciò con un esempio fatto dallo stesso Sen. Immaginiamo che la società sia composta da due persone, un puritano ed un libertino, e che si debba decidere se far leggere una rivista che contiene del materiale “licenzioso”. Ci sono tre possibilità disponibili: 1) solo il puritano legge la rivista, 2) solo il libertino legge la rivista, 3) la rivista viene distrutta. Il puritano preferirebbe che la rivista venisse distrutta, o in alternativa che la leggesse lui: egli preferisce dunque la scelta 3 alla 1 e la 1 alla 2. Il libertino, invece, preferirebbe che la rivista licenziosa fosse letta dal puritano, o alla peggio che la leggesse lui, mentre ha come alternativa peggiore la distruzione della rivista. Secondo l'approccio economico si dovrebbe preferire la scelta 1 alla 2, e la 2 alla 3, con il risultato che la cosa migliore sarebbe far leggere il libro al puritano. Secondo l'approccio liberale invece, la scelta migliore è la 2: far leggere il libro al libertino. Infatti, per il principio liberale non si può imporre la lettura a chi non la vuole, mentre è diritto del libertino leggere la rivista ed impedirne la distruzione.

Mostrando che il concetto economico di efficienza paretiana non è in grado di ottenere risultati ottimi per il principio liberale, egli individua una delle fondamentali falle della teoria dominante. Negli anni successivi arriva ad elaborare una teoria alternativa che si lega al concetto di diritto umano.2 Per Sen il diritto umano è prima di tutto l'articolazione di una domanda di libertà individuale. Tale domanda si basa su di un'etica che individua in tali libertà delle caratteristiche di importanza che le rendono fondamentali ed inalienabili. L'etica è universale nel senso che “sopravvivrebbe ad una discussione critica, aperta ed informata”, svolta tra tutte le società e le culture esistenti. Proprio in questa idea che l'universalità dei diritti umani si basa su di un processo di continua ed ampia critica sta la chiave di volta della teoria di Sen dei diritti umani.

Una delle principali critiche al concetto di diritti umani universali, infatti, è quella secondo cui essi sono prodotti economici e sociali di un contesto prettamente occidentale, e che dunque non vi è niente di “universale” in essi. La risposta di Sen è che tali diritti devono necessariamente sopravvivere ad una aperta discussione che impegni continuamente la società civile e gli attori sociali aldilà dei confini degli stati o delle culture. Ciò che sopravvive a questo processo dinamico acquista, in forza di ciò, un valore universale. O, meglio, solo ciò che è genuinamente universale può sopravvivere a tale processo. L'unico paletto che viene posto è che tale dibattito venga effettuato sulla base di un libero flusso di informazioni. Così la teoria dei diritti umani di Sen si ricollega al principio della libertà di informazione, che diventa uno dei cardini del rispetto dei diritti individuali.

Attraverso il dialogo e la libera informazione, l'umanità può, secondo Sen, arrivare ad una definizione “non faziosa” dei diritti umani inalienabili. E proprio in questa tesi Sen trova un sostegno indiretto nel padre dell'economia moderna, Adam Smith, quando scrive che per creare i nostri giudizi dobbiamo sforzarci di osservare i nostri sentimenti e le nostre motivazioni “ad una certa distanza. [...] sforzandoci di osservarli con gli occhi degli altri”.3 Sembra dunque che negli ultimi duecento anni la scienza economica si sia imbarcata in una grande peregrinazione, che è però finita al punto di partenza: l'idea di fondare il pensiero economico su di un approccio positivo è un'illusione, alla base di ogni teoria economica serve necessariamente un principio etico. Quello di Sen è probabilmente uno dei candidati migliori a questo ruolo.

—–

1“The impossibility of a Paretian liberal”, Journal of Political Economy, 78, pp.152-157.

2Dalla critica al welfarismo, Sen si è mosso elaborando la teoria dei “diritti validi” (entitlement rights), e quindi quella delle “capacità” (capabilities). La teoria sen-iana dei diritti umani è, da un punto di vista cronologico, l'ultima evoluzione, ma si può pensare che essa

3Adam Smit, Teoria dei sentimenti morali.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>