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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 66 - 1 Febbraio 2010 | 3 commenti

Una pinta di solidarietà





Ci sono casi in cui bersi una buona birra artigianale non è solo un segno di amor proprio, verso il palato e lo stomaco, ma anche un gesto di solidarietà ed un contributo importante verso quei soggetti privati che si dannano l'anima per rendere la nostra società meno indifferente ed opportunistica.

E' il caso del micro-birrificio “Vecchia Orsa”, il cui nome deriva dal toponimo attribuito alla corte di campagna in cui si trova l'impianto (Comune di Crevalcore, località Beni Comunali – via degli Orsi 692). La produzione e commercializzazione di birra artigianale, in particolare, rappresenta una delle fonti di sostentamento economico della cooperativa sociale “Fattoriabilità”, nel cui nome risulta fuso lo scopo che si prefiggono i membri della cooperativa stessa: quello di coinvolgere persone diversamente abili nelle diverse attività realizzate, compresa quella che culmina nell'imbottigliamento di un prodotto brassicolo di alto livello.

Lo scopo sociale, del resto, è ben esplicato nella stessa home page di Fattoriabilità

“Il nostro obiettivo non è solo quello di trovare un impiego alla persona diversamente abile, ma piuttosto quello di innescare un circolo virtuoso che riesca a valorizzare in pieno le potenzialità della persona facendone un reale elemento produttivo all'interno del contesto lavorativo.
Il nostro nucleo cooperativo è composto da un gruppo di persone molto eterogeneo per ambiti ed esperienze professionali, ma accomunate dal condividere il valore della diversità come risorsa per la società.”

Ed è in questo contesto che, da Settembre 2007 a Gennaio 2008, soci, parenti e benintenzionati assortiti trasformano il piano terra di “Orsetta Vecchia” da abitazione a laboratorio alimentare. Acquistano un piccolo impianto per la produzione della birra, le attrezzature necessarie e impazziscono per rendere l'ambiente ed il ciclo produttivo compatibili non solo con le giustissime esigenze sanitarie, ma anche con i controlli di natura fiscale che non fanno differenze tra l'Heineken e un micro-birrificio da 80 litri, né si impietosiscono più di tanto per lo scopo solidale e non lucrativo dell'impresa.


Nel Febbraio 2008 la prima “cotta” e, da allora, un progressivo affinamento delle ricette con conseguente miglioramento delle birre prodotte. Tra queste spicca a mio avviso la Weisse (o Weizen, che dir si voglia), la classica “bianca” di origine tedesca, prodotta con l'apporto di malto di frumento (intorno al 40% del totale di cereali impiegati), un modesto quantitativo di luppoli aromatici ed il lievito specifico per questo stile di birra. Nel rispetto della tradizione, la Weisse della Vecchia Orsa si caratterizza per l'aroma di banana (sì, fa ridere, ma è tipico delle Weizen) e di chiodi di garofano prodotto dal lievito, oltre che dalla leggerissima asprezza che il malto di frumento le conferisce, rendendola molto fresca e dissetante.

Molto valida anche la “Saison” (uno stile di origine belga, il cui nome deriva dalla stagionalità legata al fatto che questo tipo di birra veniva prodotto in primavera per essere consumato d'estate dai lavoratori agricoli). Un po' più amara della Weizen o della classica Blanche (di cui la Saison rappresenta una versione più corposa e più dissetante, visto che era destinata a braccianti affaticati, cotti dal sole della Vallonia), si caratterizza per l'impiego di spezie quali buccia d'arancia e coriandolo che, nel complesso, regalano un bouquet agrumato e fresco. Proprio con le spezie della Saison i birrai della Vecchia Orsa si sono sbizzarriti, mettendoci pure un poco di pepe verde e tentando di ricavarne una ricetta originale.

In passato ho apprezzato anche la Belgian Ale, ispirata alle birre prodotte dai monaci trappisti (più alcoliche, molto fruttate e tendenzialmente dolci, grazie all'ampio utilizzo di malti molto lavorati, biscottati ed aromatici). La ricetta, però, è ancora un cantiere in costruzione, per cui mi riservo di esprimere un giudizio non appena mi capiterà una bottiglia fra le mani.

Infine, di recente la gamma di birre in catalogo si è ampliata con una Blonde (amaro marcato e un naso che ricorda luppoli americani) ed una neonata Stout che, se questi sono gli inizi, promette bene.

Anche nel caso della Vecchia Orsa, come per altri artigiani della birra, vale sempre la pena di fare una capatina durante l'attività produttiva. Le ridotte dimensioni dell'impianto consentono di apprezzare a pieno tutte le fasi di lavorazione e la simpatia dei mastri birrai Enrico e Roberto, oltre a quella dei ragazzi diversamente abili che prestano supporto, rende il tempo trascorso al birrificio molto piacevole. Si tratta, peraltro, del modo più economico per acquistare le bottiglie della Vecchia Orsa, visto che lo spaccio è nello stesso edificio (per informazioni, visitare il sito , tenendo comunque presente che, con una telefonata in anticipo, il punto vendita può essere aperto anche fuori degli orari indicati).

Insomma, se bere bene ci mette a posto lo stomaco, bere bene e fare del bene allo stesso tempo dovrebbe in qualche modo sistemarci sia stomaco che coscienza.

3 Commenti

  1. Quando volete noi ci siamo…
    Roberto Poppi
    Educatore/birraio

  2. Mi riconosco nei contenuti e nello spirito (non solo in senso etilico) della cooperativa FattoriAbilità, che considero una parte buona di me.
    Andrea Mazzucchi
    Socio fondatore

  3. DIVERSITA': PRESUPPOSTO DELLA FELICITA' E DI UN RECIPROCO BISOGNO

    Tutte quelle che insistono con il definire conquiste (che siano sociali o tecnologiche), sponsorizzate nei decenni come traguardi fondamentali e scelte ineludibili, si sono rivelate oggi, alla luce dei risultati, delle autentiche bufale, ma non solo; hanno peggiorato la condizione umana, azzerando ogni barlume di autentica felicità.
    Questo mio, è un dato di fatto incontrovertibile (sicuramente impopolare), che misura la felicità, usando come parametri assoluti, la qualità della vita e l'integrità dell'ambiente.
    Il mito dell'alfabetizzazione e della scolarizzazione obbligatoria, ad esempio, sdoganato dal Sistema come riscatto ad una condizione di ignoranza, accesso alla società civile e come presupposto per un lavoro dignitoso (mortificando così il lavoro della terra, vera conoscenza, tradizioni, principi e valori), è miseramente defunto.
    La perdita di autonomia e autosufficienza (un tempo, valore fondamentale dell'illuminata società contadina), ci ha relegato dentro una schiavitù senza catene, omologando gli individui e privandoli dei personalismi, immaginazione e slanci rivoluzionari. Per il Sistema una vera pacchia!!
    Quella che oggi, impropriamente, definiamo “la cultura”, si è rivelato arido apprendimento; improduttivo e inconcludente. Nelle società del passato, la cultura rappresentava l'insieme della conoscenza di un popolo, delle sue infinite diversità e peculiarità individuali – un perfetto meccanismo logico di interazione positiva e di simbiosi mutualistica, fuori da ogni settarismo socio-culturale e politico.
    L'analfabeta, proprio in virtù del suo stato, ha sviluppato particolari e sofisticate caratteristiche, diverse ma complementari a quelle di un qualsiasi acculturato. Così, come il non vedente, amplifica il tatto, l'udito e la sfera della percezione.
    Se interrompiamo la catena del reciproco bisogno, tutto perde il suo senso.
    Ogni essere umano, ha un suo ruolo ben definito, come le caselle di un mosaico che, in virtù della loro corretta collocazione, conseguono a completare nella sua integrità il “Disegno” originario. In una società funzionale e felice, ogni individuo è portatore di ricchezza. Il potere ha bisogno del popolo nella misura in cui, il popolo, ha bisogno del potere.
    La diversità, come tale, è il presupposto fondamentale e valore ineludibile, senza la quale, nulla potrebbe esistere – baluardo di libertà e giustizia, solidarietà e pietas.
    Il Sistema Liberista Relativista, oggi, intende scardinare le logiche imperiture della convivenza, per dare corso ad un progetto di distruzione e di schiavitù, che neppure il peggiore comunismo, sarebbe mai stato in grado di immaginare. Dunque, prima di sapere scrivere e leggere, avremmo dovuto imparare a pensare, ad ascoltare e a vedere.
    Le vere tragedie dell'umanità, si sono concentrate e consumate in questi ultimi cento anni di storia del mondo; prima e seconda guerra mondiale, nazismo, bomba atomica, catastrofe ambientale, biotecnologie, deriva etica e morale e la più devastante (che incorpora al suo interno tutte le altre): il relativismo liberista. L'orrore di tutto questo, non si rifà alla conta, delle vittime sul campo ma, alle modalità, scopi e finalità, che le hanno prodotte, e alla velocità e livello di crudeltà in cui si sono susseguite. Uno sterminio perpetrato contro la diversità e le sue ragioni.
    Un olocausto dello spirito e della speranza che, sulla paura, ha edificato il suo potere perverso, e resa inutile, improduttiva e illogica, la nostra esistenza sul pianeta.
    Alfabetizzazione e omologazione, procedono allo stesso passo, e sono le due facce di una stessa medaglia. Spingono gli individui a uniformarsi alle tendenze dell'idea dominante. Un opera di condizionamento e di plagio senza precedenti che, in pochi decenni, ha scardinato ogni preesistente regola e personalismo, e costretto l'individuo a tradire la sua vera natura, per sottomettersi all'egemonia dell'industrialesimo idolatra e alle seducenti sirene del consumismo. Un'aberrazione umana, che va ben oltre il significato etimologico di barbarie, ma sconfina, fuori da ogni dubbio, nella sfera del maligno.
    Per gli stessi motivi e con gli stessi strumenti, attraverso i quali, il Sistema Liberista Relativista si é imposto e insediato, così si spegnerà.
    Quando questo accadrà, i territori industrializzati che, del progresso tecnologico hanno fatto la loro bandiera (noncuranti delle conseguenze e controindicazioni di una tale scelta insensata), pagheranno il prezzo della loro ignoranza e stupidità.
    Gli individui ancora integri, non contaminati (per ragioni di circostanze e di opportunità), diversamente, approfitteranno della loro condizione (un tempo derisa e vilipesa) per mettere a frutto la loro conoscenza, terreno di cultura di una nuova rinascita.
    Oggi il Sistema è saturo; bloccato. Ogni tentativo di rianimarlo, immettendo sul mercato nuova mercanzia, non fa che peggiorare il suo stato. Sarebbe come se un medico, per curare una pericolosa indigestione, costringesse il suo paziente ad una solenne abbuffata.
    Il Sistema, come il paziente indigesto, in preda a crampi, conati e nausee, sarà più propenso a vomitare, per liberarsi dalla schiavitù di un disagio non più sopportabile, e dal rischio di collassare.
    L'indigestione, in questo caso, è simbolica di un consumismo selvaggio e senza regole che ha congestionato ogni settore della nostra società. Nel bisogno di espellere per liberarsi, possiamo individuare l'ineludibile necessità del ritorno ad un passato, regolato dall'impianto etico originario, dalla consapevolezza e ragionevolezza.
    Quando, oggi, sento ancora parlare di sviluppo e crescita, come i soli strumenti idonei per combattere la crisi del capitalismo, mi vengono i brividi e, ancora di più, prendo coscienza di quanto, le conquiste di questo secolo (alfabetizzazione in primis), siano state nefaste per tutta l'umanità.

    Quanti giovani, oggi, hanno buttato il loro prezioso tempo, chini sui banchi di scuola, dentro atenei caotici, fra master e improbabili specializzazioni?
    Quanti hanno rinunciato a vivere, per rincorrere, il mito di una laurea, svuotata di ogni significato e intenzione, per coronare l'ambizione dei loro padri? Quante energie e sudati risparmi, è costato tutto questo?
    Meglio sarebbe stato per loro zappare un campo e coltivare patate – raccogliere i frutti della fatica, dando alla propria esistenza, un senso, una dignità e una vera libertà.
    Che futuro avranno mai questi ragazzi, quando oggi, il Sistema li ha derubati dalla capacità di volare, da soli e liberi, incatenandoli all'illusione e alla paura?
    Meglio sarebbe stato per loro impastare cemento. Costruire una casa di pietra, sulla collina, fra i sugheri le querce. E poi al tramonto, rincasare, e perdersi nella magia dei sorrisi e garriti di gioia, di marmocchi analfabeti, gonfi d'amore, di magia e di sincera meraviglia. E prima di abbandonarsi fra le braccia di Morfeo, ringraziare Dio per tanta felicità, aspettando il nuovo giorno, ricco di promesse e di speranza.

    Comprendo l'impossibilità, per molti, nel condividere con me una tale analisi, fino a ritenerla inaccettabile. Ma se con uno scatto di orgoglio e di volontà (che solo la passione per la conoscenza ci può imprimere), fossimo in grado di immaginare una realtà diversa e opposta da quella che, oggi (al presente), siamo costretti a vivere e che, contro ogni logica, ci ostiniamo ad accettare, e potessimo, virtualmente, personalizzarla con i nostri ver
    i bisogni e necessità, epurandola da paure e dipendenze e falsi bisogni, allora, se fossimo capaci di tutto questo, potremmo insieme, cambiare le sorti del mondo.

    Gianni Tirelli

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