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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 68 - 1 Aprile 2010 | 0 commenti

Basta una desperate wife per salvare una famiglia in crisi?

La maggioranza delle donne vive la propria realizzazione professionale con sensi di colpa atavici nei confronti della propria famiglia. Secondo i dati di un recente sondaggio presentato all'Università Cattolica di Milano in occasione del convegno sull'Equilibrio tra lavoro e famiglia, solo il 36 per cento dei figli sono contenti di avere una mamma che lavora, nel 29 per cento dei casi credono che lei vada in ufficio non tanto per soddisfazione personale, ma soprattutto per necessità.

La donna del XXI secolo sembra ancora una donna al bivio tra famiglia e lavoro, alla ricerca di un equilibrio possibile, ma di certo molto faticoso. Nel modello sociale italiano fondato su forti legami familiari, l’impresa-famiglia ha bisogno di una regia, di un punto di riferimento. Ed è quasi sempre la donna la chiave di volta del nucleo familiare. E’ lei a sobbarcarsi i carichi familiari, valvola di sfogo di problemi e preoccupazioni degli altri membri della famiglia. E’ sua la responsabilità della stabilità della famiglia.

Le cosiddette ‘donne dal doppio sì’, che non rinunciano al lavoro per la famiglia, esistono sì, ma sono donne in una lotta quotidiana tra pannolini, riunioni d’ufficio e camice da stirare. Spesso vivono il lavoro come una rondine che si allontana dal nido per procacciare il cibo necessario alla prole. Lavorano per la famiglia, sempre nei limiti entro cui questo non indebolisca quel complesso sistema di relazioni familiari che tanto ha bisogno di un direttore d’orchestra. Ed ecco che il 28 per cento delle donne occupate in Italia nel 2009 lavorava a tempo parziale; il 26 per cento restava in ufficio meno rispetto all’orario abituale per offrire le cure necessarie ai familiari.

 

Se è certo che la famiglia penalizza le donne sul fronte lavorativo, meno tangibile è quanto il lavoro femminile indebolisca la famiglia. Secondo i dati Istat il 43 per cento delle donne occupate o in cerca di lavoro non è sposato (donne separate, divorziate o single). Questo non significa che rinunciare alla famiglia sia il prezzo che una donna deve necessariamente pagare per scegliere la gratificazione professionale, ma indubbiamente fa riflettere circa la difficoltà di conciliare vita domestica e vita lavorativa.

Ammesso che la famiglia sia indebolita dalla mancanza di una ‘desperate housewife’ tra le quattro mura di casa, è in ogni caso riduttivo credere che il lavoro femminile sia la causa della crisi della famiglia dei giorni nostri. L’elevata incidenza delle separazioni nei matrimoni di nuova generazione è il risultato di un più profondo cambiamento della società, di cui la ripartizione dei carichi domestici al massimo può essere considerata una tra le varie manifestazioni.

E se anche la donna scegliendo di lavorare rappresentasse un pericolo per la famiglia, di certo la famiglia è un pericolo per la donna che non sceglie di lavorare. Le donne separate sono infatti tra le persone a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale. Nonostante negli ultimi tempi si senta parlare sempre più spesso di padri separati come dei nuovi poveri, secondo il rapporto Caritas in Italia sono ancora le donne separate o divorziate, più degli uomini, a soffrire le difficoltà economiche, specie se con figli a carico.

 

Se la famiglia si sfascia (qualsiasi sia il motivo) il modello impresa-famiglia rischia di penalizzare oltre misura le donne. La famiglia è infatti un potente strumento di redistribuzione tra i suoi componenti: da un lato, il pooling dei redditi familiari rialloca le risorse disponibili; dall’altro, le economie di scala che si realizzano nel consumo familiare consentono di incrementare il benessere generato da tali risorse. Se la famiglia si sfascia tale redistribuzione viene meno con implicazioni economiche di rilievo. Se poi la separazione non è soltanto un’eccezione (secondo dati recenti il 30 per cento di matrimoni celebrati in Italia finisce con una separazione in Tribunale), il fenomeno acquisisce anche una non trascurabile rilevanza sociale.

 

Se la famiglia oggi non è più una certezza, il modello italiano impresa-famiglia inevitabilmente crolla. I ruoli che i singoli assumono all’interno della famiglia diventano meno netti, perché ogni componente deve poter sopravvivere anche al di fuori del nucleo familiare.

Quale donna oggi potrebbe scegliere di rinunciare all’investimento in capitale umano in vista di una vita tra fornelli e pannolini? Le giovani di oggi sanno di non poter vedere il mondo del lavoro soltanto con gli occhi del compagno. L’alienazione totale dal mercato del lavoro può infatti tradursi in povertà ed esclusione sociale qualora il legame familiare venga meno. In quest’ottica il desiderio di indipendenza e autonomia economica non è un pericolo per la famiglia, ma un modo per salvarsi da essa. La fragilità della famiglia crea un bisogno di indipendenza senza precedenti tra le donne italiane e rappresenta un indiscusso incentivo per offrire lavoro sul mercato.

Se è triste pensare che una donna debba ancora scegliere tra lavoro e famiglia, o nella migliore delle ipotesi vivere la propria realizzazione professionale con senso di colpa; di certo non consola il pensiero che la donna scelga di lavorare non trainata dalla consapevolezza di una realizzazione professionale o aiutata da una migliore ripartizione dei carichi domestici all’interno della famiglia, ma solo perché non trova nella famiglia abbastanza sicurezza. In ogni caso la famiglia italiana sta cambiando, ed è difficile credere che da sola una desperate housewife possa trattenere un treno in corsa.

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