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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 68 - 1 Aprile 2010 | 0 commenti

Coltivare un ideale: Vandana Shiva

Ogni forma individuale di vita deve imparare a procurarsi i propri vantaggi, intendendoli tuttavia come parte di un sistema in stretto rapporto con le altre specie. Bisogna evitare che una specie interferisca con i diritti delle altre.”

Trovare una frase in grado di definire Vandana Shiva non è immediato, a causa della poliedricità di una donna che riassume in sé numerose anime, quella di scienziato ecologista di fama internazionale, di teorica dell'economia degli umili, di guida morale e spirituale di Slow Food. Vandana Shiva però non si ferma qui, c'è un altro lato della medaglia, quello che la vede bersaglio di critiche per le sue posizioni talvolta eccessivamente filosofiche, che finiscono col tralasciare la realtà quotidiana della povertà per la difesa dell'ideale.

Vandana Shiva nasce come fisica teorica, ma ben presto si fa conoscere nel panorama mondiale per il suo impegno a favore dell'ambiente, e una piccola sintesi di quelle che sono le sue posizioni sono state piacevolmente riassunte da Ermanno Olmi nel cinedocumentario “Terra Madre”. Per chi non avesse voglia di recuperarlo, ma avesse comunque la pazienza di leggere quest'articolo, mi permetto di sintetizzarle in due punti principali: difesa della biodiversità e lotta alle multinazionali. Il pensiero sulla biodiversità viene declinato sotto diverse forme, partendo da quella più immediata di difesa di tutti i biotipi agricoli e non solo di quelli più produttivi, per arrivare alla lotta delle monoculture ad elevato impatto idrico o al supporto a favore di una deregolamentazione ambientale in cui è l'antico sapere dei contadini ad assecondare le leggi della natura, senza l'intervento di qualche burocrate centralizzato a dettare un rapporto di forza con l'ambiente.

Per quanto riguarda le multinazionali il discorso è un po'più complesso e non mi risulterebbe difficile pensare che Hugh Grant (il CEO della Monsanto, non l'attore) si possa ritrovare a giocare a freccette su una gigantografia di Vandana Shiva. La posizione di Vandana Shiva nei confronti delle multinazionali si è sempre manifestata con una certa causticità, tenendo soprattutto in considerazione le ricadute sociali ed economiche che l'attività delle multinazionali ha sulla vita quotidiana dei contadini. In questo caso alzare la voce significa lotta agli OGM, ai brevetti sulle sementi e al debito agricolo. Le colture di tipo OGM hanno trovato molto facilmente in India uno sconfinato campo in cui infiltrarsi, appiattendo la qualità del prodotto (anche se mi rendo conto che in un Paese come l'India questa non sia proprio la prima preoccupazione ) e richiedendo l'utilizzo massiccio di sostanze chimiche e pesticidi che nel corso degli anni portano ad un depauperamento progressivo della terra coltivata. A tutto questo si deve aggiungere il tentativo delle multinazionali di brevettare anche alcune colture tradizionali e si ottiene con un calcolo elementare la tragica condizione in cui si vengono a trovare migliaia di contadini, con situazioni debitorie sempre più difficili da sostenere.

Per questo e per molto altro si è spesa Vandana Shiva, cercando di coniugare le sue battaglie ambientaliste con la ricerca di una democrazia alimentare in grado di assicurare nutrizione per tutti ( e non eccesso per pochi e scarsità per tanti) nel rispetto dei bioritmi della terra. Ed è proprio su questo terreno che Vandana Shiva ha accentrato le attenzioni dei suoi principali detrattori, escludendo per ovvi motivi da questa cerchia critica il ristretto gruppo delle multinazionali specializzate nelle biotecnologie. Il pensiero di Vandana Shiva è stato più volte attaccato (dai supporter del Nobel per la pace Norman Borlaug, da giornalisti come Matt Ridley o indirettamente da quegli studiosi che su Science sostenevano posizioni diametralmente opposte) perché a sostegno di un' agricoltura eccessivamente tradizionale che, per quanto “spiritualmente” apprezzabile, non sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare delle fasce più deboli e rifarebbe cadere l'India in uno stato di assoluta non autosufficienza alimentare. Posizioni contrarie sono poi anche state espresse in merito alle dichiarazioni di Vandana Shiva sulla pericolosità per la salute di particolari coltivazioni OGM come il golden rice o sull'aumento dei casi di suicidio in India dovuto all'introduzione degli OGM (diversi rapporti hanno evidenziato un trend fortunatamente contrario).

A prescindere da qualunque intenzione di suscitare un dibattito sull'opportunità o meno di ricorrere all'utilizzo di OGM, la cosa che più affascina di una donna come Vandana Shiva è secondo me la sua scomodità. Nel fermarmi a leggere qualche pagina tratta dai suoi libri mi piace pensare che quello che dice sia un argomento di riflessione, condivisibile o apertamente criticabile. A tal proposito una lettura interessante che mi permetto di consigliare potrebbe essere “Earth Democracy: Justice, Sustainability and Peace” anche perché su punti come questi sarebbe sempre bello trovare una convergenza concreta e non solo utopica.

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