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Scritto da nel Intervista, Numero 68 - 1 Aprile 2010 | 0 commenti

Tacere è condannarsi



TACERE E' CONDANNARSI
Intervista a Valeria, operatrice di “Casa delle Donne per non subire violenza”


Sono quasi 7 milioni le donne italiane che, tra i 16 e i 70 anni, subiscono violenza all'interno o all'esterno del nucleo familiare. Oltre 7milioni di donne subiscono violenza psicologica che spesso si accompagna a violenza fisica o sessuale.

Sono numerose le associazioni che affrontano questa tematica proponendo un sostegno sia psicologico che materiale alle donne che subiscono maltrattamenti; tra queste troviamo la “Casa delle Donne per non subire violenza” che dal 1989-1990 agisce sul territorio bolognese dando supporto a tutte coloro che trovano la forza di parlare e di uscire dalla loro condizione.

Quando arrivo presso la loro sede, in via dell'Oro 3, ad accogliermi trovo Valeria, da cinque anni operatrice di promozione dell'associazione.

Com'è nata e come è strutturata “Casa delle Donne”?

“Casa delle Donne” nasce vent'anni fa come gruppo di lavoro e ricerca sulla violenza contro le donne. Le fondatrici dell'associazione erano tutte ragazze sulla ventina che dopo due anni di attività aprirono l'attuale centro di accoglienza e i vari rifugi.

Il nostro centro è gestito da un'associazione di ventuno socie tra cui un presidente e un CDA, consiglio d'amministrazione. Ogni settore, che risponde ad aree specifiche d'intervento, ha una responsabile delle operatrici, quest'ultime sono per la maggior parte volontarie, tirocinanti e volontarie del servizio civile cui siamo convenzionate.

Qual è la tua funzione all'interno dell'associazione?

Io mi occupo della promozione e della comunicazione, gestisco i contatti esterni, gli eventi di sensibilizzazione e le raccolte fondi. L'obiettivo è quello di tessere più contatti possibili attraverso il web, eventi pubblici, la stampa e lettere di ringraziamento. Il mio è comunque un settore in divenire all'interno dell'associazione in quanto fu formato pochi anni fa, nel 2000.

Quali sono i settori di violenza di cui vi occupate?

Principalmente ci occupiamo di violenza fatta da uomini verso cui le donne sono affettivamente legate, come mariti, parenti, amici. Questo ambito ricopre il 90% dei casi.

Poi nel 1995 è nato il progetto “Oltre la strada” in collaborazione con il Comune di Bologna e altre due associazioni bolognesi. “Oltre la strada” è rivolto alle ragazze che denunciano ed escono dalla tratta della prostituzione coatta cui sono sottoposte, negli ultimi anni sono per lo più straniere, provenienti dall'Est Europa o dall'Africa.

Inoltre ci occupiamo anche di violenza psicologica come, ad esempio, quella che avviene che sul posto di lavoro, il cosiddetto mobbing.

Qual è la media di donne che si rivolgono a voi in un mese?

Fino a qualche anno fa la media era 350 donne all'anno, ma da 4-5 anni non sono mai meno di 500. Da quando è nata, “Casa delle Donne” ha accolto 7000 donne.

Come intervenite dal punto di vista psicologico?

Innanzitutto accettiamo le chiamate dalle dirette interessate poiché è importante che sia la donne che ha subito direttamente la violenza a voler interrompere e modificare la sua situazione. Dopo ciò viene fatto un primo colloquio, di circa un'ora, con un'operatrice attraverso cui si indaga sulla situazione e si inizia un progetto individualizzato di riacquisto dell'autonomia da parte della donna. Il nostro lavoro è completamente gratuito ed in assoluto anonimato per le donne, in modo che possano agire in assoluta sicurezza.

In ogni caso ogni decisione, anche legale, è presa in completa autonomia da parte della donna; il nostro compito è quello di sostenere le donne nel percorso durante il quale mettiamo a disposizione una serie di risorse che possano agevolarla.

Se non sbaglio offrite anche accoglienza alle donne che si rivolgono a voi.

Si, abbiamo a disposizione due case rifugio con indirizzo segreto dove le donne e i loro figlipossono risiedere e dove possono contare sulla presenza di educatrici che le seguono. È comunque un'alternativa per tutte le donne che devono allontanarsi e nascondersi dal pericolo a tutti i costi.

Cosa succede ai fini pratici dopo il periodo di sostegno che offrite?

Se la donne decide di interrompere il rapporto con chi le fa violenza, il percorso si sviluppa verso la “riattualizzazione” della propria vita in chiave autonoma e soggettiva.

Il periodo di ospitalità che offriamo è funzionale alla “riautonomizzazione” della donna, alla ricerca di un lavoro che ha perso o che non aveva e di un domicilio nuovo.

Si può parlare di eventuali cause sociali che portano l'uomo ad agire con violenza?

Da dati che raccogliamo annualmente la violenza risulta essere un fenomeno totalmente trasversale per cui è difficile rintracciare una reale causa che porta alla violenza. Proprio per questo non possiamo fare un quadro dell'uomo medio che fa violenza, non necessariamente è una persona violenta tout court.

Quali sono le ritorsioni di una violenza sulla psiche della donna?

Sicuramente subire violenza da una persona su cui si è investito tanto in sentimenti e fiducia diventa un trauma molto forte per una donna. Sono infatti storie che vanno avanti da molto e che si aggravano nel tempo.

Una donna che ha subito violenza manifesterà un atteggiamento violento verso chi le sta vicino?

Può essere o non essere. Alcune di esse diventano sospettose rispetto ad un particolare contesto, altre mantengono una vita apparentemente normale esternamente. Anche in questo caso non si può parlare in termini assoluti.

Chi ha subito violenza in infanzia è portata a legarsi ad uomini violenti?

Dagli studi fatti c'è una correlazione ma non si può parlare di un rapporto causa-effetto tra le due cose. Sicuramente l'abuso in infanzia ostacola lo sviluppo psico-fisico normale di una persona ad ha un debito importante sull'autostima, che viene demolita dalla violenza all'interno di una coppia per esempio.

I media, la televisione e i mezzi di comunicazione rispecchiano la reale situazione della violenza sulle donne?

Diciamo che la cosa positiva è che finalmente se ne parla, quando l'associazione ha aperto non se ne parlava e non se ne poteva parlare. Tuttavia ci sono limiti e pericoli cui un argomento cosi di “moda” negli ultimi anni, va necessariamente incontro. Spesso sentiamo, infatti, la solita retorica dello stupratore per strada o dell'immigrato violento piuttosto che della donna stupida che non denuncia. Proprio per questo la gestione dell'informazione su tali argomenti diventa molto delicatain quanto può scadere in questi cliché.

Durante i 5 anni in cui hai lavorato qui sarai stata a contatto con tantissime storie ed esperienze. C'è una storia che ti ha colpito maggiormente e di cui vorresti parlare?

Le storie che arrivano qui sono tutte molto simili e molto diverse. La violenza di genere segue un ciclo ed è cosi per tutte. C'è un iter rintracciabile in ogni singola storia che, ovviamente, viene declinato nelle vite e nelle vicende personali di ognuna.

Vuoi fare un appello o dire qualcosa sull'argomento?

Sembrerà cinico parlare di dati, ma è importante: la violenza in Europa è la prima fonte di morte per la donna. Questo elemento è molto importante per due motivi: prima di tutto ci indica che la violenza sulle donne è molto pericolosa; in secondo luogo che esiste dappertutto e che quindi nessuna donna è sola o più stupida di altre perché subisce violenza. Questi legami non tendono a finire da sé, ma a continuare a peggiorare il grado di violenza nella coppia per questo parlarne è il primo strumento per venirne fuori. Tacere è condannarsi.

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