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Scritto da nel Itaca, Numero 68 - 1 Aprile 2010 | 0 commenti

XXIX – I Pretendenti



Capitolo Ventinovesimo

Come Zenone e lo scriba s'accomodano a tavola pericolosamente

Scesi alla città, i nostri due sventurati si ritrovano lo spettacolo di decine e decine di omuncoli buttati lì per ogni dove, appisolati sotto gli alberi, stesi nel bel mezzo della piazza, tutti ben vestiti e all'apparenza reduci da settimane di convito abbondante (per via delle pance), da settimane e settimane di bere vino (per via del dormire così a terra e sui ciottoli, russando), e da altrettante settimane di mescolanza inguinale (per via dell'aspetto dei calzoncini di questi qui, maculati e odorosi). Erano, questi, i pretendenti al trono ch'era stato di Odisseo. Per il sospetto che, tardando così tanto a tornare, Odisseo fosse bell'e che morto.

Vista l'ora della mattina, gli unici in piedi erano i servi loro e i servi della casa – tra cui passeggiavano silenziosamente Zenone e lo scriba.

  • E io che pensavo di sedermi tranquillo a banchetto con un vecchio amico… e invece ecco qui, quel che ritrovo! Un ammasso di porcheria!

Lo scriba osserva ogni cosa con la massima attenzione, cercando di memorizzare il più possibile. Già da quando erano imprigionati nel frutteto, fino a poco prima, s'era promesso che, se mai fosse uscito di lì, avrebbe ripreso il suo lavoro coi papiri. Avrebbe riscritto (per quanto possibile) a memoria tutto quel che s'era segnato, ma soprattutto, più che tutta quell'argonautica, avrebbe tessuto insieme le trame di quelle nuove cose in cui si trovava ad essere direttamente coinvolto, e di Itaca, e di Troia. E tutte quelle storie che lungo il viaggio e fra le rovine aveva ascoltato raccontare.

Si siedono a tavola, prendono a riempir due ciotole con del latte ancora caldo di mungitura, ma Antinoo, il peggiore di tutti i pretendenti, il più ostinato e crudele, e con due “o” nel nome, svegliatosi prima del tempo alla notizia di due nuovi arrivati, gli rovescia le ciotole e senza dargli tempo di rendersi conto li colpisce alla testa e ribalta le loro seggiole, e una volta a terra li prende a calci sulle costole, e notando che prendendoli a calci questi due vomitano la propria bile, con le mani gl'impastrocchia a tutt'e due la faccia, trascinandogliela sopra. Perché così era fatto Antinoo, il più feroce di tutti i pretendenti, che per di più aveva due “o” nel nome.


Antinoo! Ma ti sembra modo?! – Penelope, trattenuto ancora un po' Laerte a prendergli le misure del sudario, era poi scesa a raggiungere il suo vecchio amico Zenone, e a conoscere quel bel giovane che porta con sé. Per via della nostalgia sempre più forte che aveva del marito perduto nella guerra.

  • Penelope! Ho visto due che si approfittavano alla tua tavola, e…

  • Due, che si approfittavano, eh?

  • Esattamente: questi!

  • Ma non riconosci nemmeno chi ti ha allevato, Antinoo? Non vedi ch'è Zenone, quello che affoghi nei suoi rigurgiti?

Zenone aveva infatti allevato Antinoo, anche se soltanto nei primi anni di vita. Per cui Antinoo né se ne ricorda, né se ne può fregar niente, anche perché il suo nome ha due “o”, ed è il più feroce dei pretendenti, il più cattivello e spietato. Tanto che già, nei suoi ragionamenti, Antinoo meditava su come assassinare quel vecchiaccio. Ebbene, però, presa Penelope la situazione in pugno, Zenone e lo scriba vengono riaccomodati sulle seggiole, serviti con onorificenze, e Antinoo viene fatto allontanare con tutte le sue “o” insieme a lui.

  • Vedi, Zeno, come siamo ridotti?

  • Ma tutta questa gente… Penelope!

  • Le cose non sono andate come pensavamo, …non è vero? Sia io che tu… che lui dicono ch'è stato per un'idea sua, che gli Achei hanno vinto le mura di Troia. Ma
    poi? Dov'è l'eroe? Dov'è, qui, qui a Itaca, il grande Odisseo? Non c'è. Ci sono solo
    questi uomini che vogliono il suo posto, e che…

  • Che…?
  • Niente.

La malinconia di Penelope, credo chiunque la possa immaginar da sé. E le cose, effettivamente, erano andate ben lontano da quel che si pensava, o almeno da come pensava Odisseo, stringendosi con Agamennone le mani unte di pollo, al banchetto di Tindaro. Le navi, il porto, le armi: tutto secondo i piani, tutto liscio. Ma poi anche la guerra; e la lontananza; e l'abbandono.

(continua…)

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