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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 71 - 1 Luglio 2010 | 0 commenti

Autodeterminazione e autonomia

Autodeterminazione e autonomia



One's-Self I sing, a simple separate person, /
Yet utter the word Democratic, the word En-Masse
1

Walt Whitman, One's-Self I sing

da Leaves of grass

Non penso ci sia modo migliore per costruire un'idea che escludersi, di tanto in tanto, per far riemergere altre parole di altri uomini, le sole capaci in breve di poter dare forma a una summa, a un piccolo percorso segnato, utile almeno al primo orientamento.

Servirebbe lungo tempo infatti per ricostruire i piccoli passi che hanno portato al messaggio di W. Wilson, l'8 gennaio 1918, e a quei quattordici punti più quattro (questi ultimi aggiunti il 12 febbraio) che sancirono per la prima volta, esplicitamente, il principio di autodeterminazione dei popoli.

A conclusione della prima guerra mondiale il programma2 che Wilson definì “il solo possibile” doveva segnare un cambiamento di rotta, una definitiva rottura con quel “gioco dell'equilibrio delle forze” che aveva portato alle tensioni europee e, infine, alla guerra. Se nei primi quattordici punti vengono definiti con grande perizia gli interventi necessari a ridare legittimità a popolazioni come quella belga, serba, rumena e polacca, è nei quattro punti complementari del febbraio che tale principio viene messo in forte evidenza nel tentativo di garantirne la definita applicazione: “Tutte le aspirazioni nazionali ben definite dovranno ricevere la soddisfazione più completa che possa venire accordata senza introdurre nuovi elementi di discordia o di antagonismo né perpetuarne gli antichi suscettibili, col tempo, di rompere la pace dell'Europa e di conseguenza del mondo3.

A termine della guerra la svolta verso l'autodeterminazione durante i trattati di Parigi, dunque, non mancò: i rispettivi imperi di Germania, Austria-Ungheria e Turchia furono smembrati, i confini europei furono grandemente ridimensionati mentre vennero create nuove nazioni (Polonia, Cecoslovacchia, Bosnia-Erzegovina e Jugoslavia valgano come esempio).

Purtroppo però il principio fu applicato in modo unilaterale ovvero non adempiendo ad esso nel trattamento delle potenze sconfitte. Lo scompenso fu evidente: l'autodeterminazione si fece espressione ultima dello stesso nazionalismo che nel 1914 aveva portato alla grande guerra; perpetrando lo stato di divisione interna all'Europa centrale, l'attuazione del principio ebbe effetti opposti alle aspettative: la frammentazione politica che ne seguì, infatti, diede vita a un sistema di tensioni e continue provocazioni tra i novelli stati e i più forti vicini, fino a farsi prodromo della seconda guerra mondiale.4

Se il principio di autodeterminazione doveva presupporre che “i popoli e le province” non dovessero “costituire oggetto di mercato e passare di sovranità in sovranità, come se fossero semplici oggetti o semplici pedine di un gioco”5, oggi sappiamo bene quanto, seppure non in Europa, questo “gioco” sia invece ancora in atto in numerose regioni del mondo quali l'Asia e l'Africa.

Eppure l'uomo ha sempre teso nella direzione di auto-riconoscersi all'interno di un gruppo a cui sentiva, per religione, cultura, lingua e territorio, di appartenere: la prima ad aver reclamato un'unità consapevole è sempre stata la letteratura, in nome di una lingua che è anche un modo consapevole e condiviso di vedere e interpretare il mondo: la poesia ha dato la sensibilità della visione, ha dato la voce alla volontà di riscatto, ha gridato il soccorso di un popolo verso se stesso, come avvenne in Africa durante l'apartheid: “Africa in piedi! / Per aiutare i nostri fratelli a portare / Perché il nostro peso sia leggero / Perché uniti la forza ci permetta di sostenere / Le loro gambe che oscillano / Davanti ai nostri occhi con il rischio di amputarle noi / Per un effetto di mancanza d'animo.”6

Ogni “popolo auto-determinante” ha fatto suo un polo catalizzatore che presupponesse i principi essenziali della sua formazione a nazione: la letteratura lo è stato in quanto portatrice di una stessa matrice culturale per paesi come l'Italia o la Germania, la religione e la terra hanno insanguinato le lotte di popoli come quello palestinese e israeliano mentre è la stessa storia e la riappropriazione della condivisa irrinunciabile libertà che ha portato il Sudafrica a Nelson Mandela. Ma in tutti questi casi ha persistito una costante: l'auto-determinazione non è mai stata applicata senza scontrarsi con i grandi interessi economici delle potenze mondiali o senza produrre frizione con le culture locali (ad oggi, in Italia, si osservi la necessità padana o, in altri termini, Sarda7 di autonomia).

E oggi? Oggi in Europa il problema è slittato verso le minoranze linguistiche ed etniche che ricercano la loro identità all'interno dei grandi stati, in una sorta di progresso a ritroso, in partiti politici autonomisti o comunque regionali come succede ad esempio in Belgio dove ogni comunità linguistica ha i suoi partiti.

Fin dove le autonomie e la libertà di auto-definizione di un popolo possono mettere a repentaglio un'unità nazionale consolidata? E, d'altra parte, quanto è giusto che un regione dagli usi e dalla cultura completamente estranea, continui a essere parte integrante di uno stato che sembra non poter portare coesione tra le sue parti (nota ironica e amara sul tema è la “frattura” che l'Economist propone all'Italia nel ridisegnare la mappa europea8)?

E con evidenti necessità di costruire sempre più profondi punti di coesione interni ai popoli, ricercati attraverso commemorazioni nazionali e figure simbolo, dovremmo chiederci se i nuovi gruppi in cerca di autonomia dovranno essere mantenuti necessariamente coesi alle sovranità nazionali o dovranno, come chiedeva Lenin9, essere soddisfatti nel loro desiderio auto-determinante in vista di più ampi equilibri.

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1 “L'individuo io canto, una semplice singola persona, / eppure pronuncio la parola Democrazia, la parola In-Massa”.

2 I quattordici punti (ma con l'esclusione delle quattro proposte complementari) si possono leggere anche su wikipedia al link http://it.wikipedia.org/wiki/Quattordici_punti.

3 Quarta proposta complementare del 12 febbraio 1918.

4 Tesi sostenuta da Hans Wilhelm Gatzke nel suo saggio “L'Europa e la società delle nazioni” .

5 Citazione dalla seconda proposta complementare.

6 Estratto da Africa in piedi di Bado Doulaye in AA.VV. , Poeti africani Anti-Apartheid, Edizioni dell'arco, Missaglia 2002.

7 Vedere ad esempio il sito che dell'Italia ripudia anche la lingua.

8 L'articolo relativo alla mappa di può ritrovare all'indirizzo.

http://www.economist.com/node/16003661?story_id=16003661.

9Noi esigiamo la libertà di autodeterminazione, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione delle nazioni oppresse, non perché sogniamo il frazionamento economico o l'ideale dei piccoli Stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi Stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni su una base veramente democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di separazione”. Estratto da un discorso dell'ottobre 1915.

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