Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 71 - 1 Luglio 2010 | 0 commenti

Il Popolo o la Nazione. La dottrina politica di E.J. Sieyès







Che cosa è una nazione? Un corpo di associati che vive sotto una legge comune ed è rappresentato da uno stesso legislativo. Poiché ha privilegi, dispense, persino diritti separati dai diritti del corpo generale dei cittadini, l’ordine nobiliare esce dall’ordine e dalla legge comuni. […] Esso esercita a parte anche i propri diritti politici ed ha propri rappresentanti, che non ricevono nessuna procura dal popolo. […] Il terzo comprende dunque tutto ciò che appartiene alla nazione; e tutto ciò che non è il terzo non può essere parte della nazione. Che cosa è il terzo stato? Tutto.

Queste parole, tratte da Che cosa è il terzo stato? di Emmanuel-Joseph Sieyès (editori Riuniti, Roma, 1989, p. 27), permettono di cogliere in tutta la sua radicalità la prospettiva teorica di uno dei maggiori interpreti della Rivoluzione Francese (1789), prospettiva che trova il proprio centro originale nella nozione di potere costituente. La concezione politica avanzata dall’abate francese trova il proprio perno nella distinzione fra l’insieme di tutti i cittadini francesi, chiamato "società civile" o "nazione", a cui viene per l’appunto attribuito il potere costituente, e l’organizzazione istituzionale dello Stato, alla quale spettano i poteri costituiti. La volontà generale del popolo francese, unito nel corpo unitario della nazione generato dal diritto naturale e non da quello positivo, non può essere ridotta alla somma delle volontà individuali, ma assume i caratteri di una vera e propria “persona” morale, la quale si perpetua mediante gli individui e attraverso le generazioni. "La nazione è preesistente a tutto, è l’origine di tutto. La sua volontà è sempre conforme alla legge, è la legge stessa" (p. 61). Di conseguenza, il potere costituente, come volontà dell’intera nazione, è la legittimità fonte di ogni legalità. La costituzione è la forma giuridica che limita i poteri costituiti e che non può limitare il potere costituente, la volontà onnipotente della nazione, essendone anzi il prodotto. La sovranità della nazione, la sua volontà, il suo potere costituente, sono superiori a ogni forma costituzionale.

La nazione non solo non è condizionata da una Costituzione, ma nemmeno puòdeve esserlo, il che equivale ancora a dire che essa non lo è (p. 63).

L’istituzionalizzazione e la giuridificazione del potere costituente, quindi, risultano inottenibili: la sua presenza è il contrario di qualsiasi rappresentanza. Nel saggio in questione, infatti, Sieyès rigetta sia la rappresentanza cetuale, per ordini, in quanto estranea all’unità della nazione, sia quella moderna a mandato libero, la quale è sì unitaria ma delega la sovranità al rappresentante privandone il mandante, ovvero il popolo. La rappresentanza, rimane in ogni caso, almeno a questo livello della teorizzazione politica dell’abate francese, solo commissaria, quindi sempre passibile di essere sciolta dalla voce tuonante del popolo. Pur insistendo su tale carattere commissario della rappresentanza, però, Sieyès non esita a sottolineare la necessità di coniugare la sua teoria della sovranità nazionale con la teoria della rappresentanza politica. Così egli finisce per collegare strettamente la rappresentanza ai principi che nella società moderna regolano la divisione del lavoro. Nell’"ordine rappresentativo" la divisione del lavoro concerne tutte le attività produttive, compresa quella politica, da cui deriva, per il progresso stesso dello stato sociale, che "si faccia del governo una professione a parte". Proprio sulla base dell’istituzione del "lavoro rappresentativo", la rappresentanza politica verrà delegata a quei cittadini che si dimostreranno più competenti, liberandola dai vincoli corporativi o cetuali dell’Ancien régime. Da questa concezione della nazione, infatti, deriva una visione della cittadinanza declinata nei termini di un’associazione tra individui basata su rapporti di uguaglianza e universalità, tali da escludere qualsiasi forma di privilegio. In effetti, ciò che a Sieyès preme sottolineare nel saggio in esame, è l’estraneità del privilegiato all’ordine politico, dal momento che la sua azione risulta motivata da logiche particolari ed egoistiche. Gli ordini privilegiati sono estromessi dal corpo della nazione sia per la logica dell’attività produttiva, visto che non possono essere utili, sia per la logica politica della cittadinanza, in quanto non possono essere uguali.

Gli interessi per cui i cittadini si uniscono fra loro sono dunque i soli a poter essere curati in comune, i soli a causa e a nome dei quali essi possono rivendicare dei diritti politici, cioè una partecipazione attiva alla formazione della legge sociale, ed i soli quindi che imprimano nel cittadino la qualità della rappresentabilità. Non è dunque perché si è privilegiati, ma perché si è cittadini che si ha il diritto all’elezione dei deputati ed all’eleggibilità. […] Il privilegiato sarebbe rappresentabile soltanto nella sua qualità di cittadino; ma questo suo attributo è andato distrutto, egli sta ormai al di fuori della cittadinanza, nemico dei diritti comuni. Dargli il diritto alla rappresentanza costituirebbe una contraddizione manifesta della legge; sopportarlo sarebbe per la nazione un atto di servitù; e ciò è inconcepibile (pp.82-83).

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>