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Scritto da nel Internazionale, Numero 71 - 1 Luglio 2010 | 0 commenti

Le eredità sovietiche: il Caucaso Meridionale







La creazione di una società comunista è stato l'esperimento sociale-politico più ardito dalla nascita degli Stati nazionali. Estremamente accattivante nei propositi e nelle intenzioni, la teoria marxiana ha dovuto fare i conti con la complessità della realtà in tutte le sue sfere – economica, geopolitica, sociale – che ha obbligato molteplici revisioni della dottrina originaria (con Lenin, ma anche nel dibattito tra Stalin e Trotsky) per poi soccombere alla prova della realtà.

Uno dei punti più delicati cui far fronte era conciliare l'intuizione internazionalista di un unico popolo proletario sotto l'egida dell'Unione Sovietica con le sterminate varietà etniche, nazionali, culturali e religiose presenti all'interno dei suoi confini. Estendendosi dalla Germania all'oceano Pacifico, la composizione etnica e nazionale dell'Unione variava sensibilmente, passando dalla tradizione europea e cristiana degli Stati nazione al carattere mitteleuropeo delle regioni austro-ungariche, dall'euroasiatica, slava e ortodossa federazione Russa fino ai tratti turchi e musulmani delle zone caucasiche e dell'Asia centrale.

Come plasmare l'”uomo sovietico” a partire da tanta diversità? Come creare un popolo nuovo resistendo alle spinte nazionalistiche o all'attraente fascino del ritorno ad una comune identità originaria pan-slava, o magari pan-turca?

Come Commissario alle Nazionalità fu nominato il georgiano Joseph Stalin, il quale nel 1913 pubblicò Marxismo e la Questione Nazionale dopo aver osservato la composizione multietnica Austro Ungarica in un viaggio nella Vienna Imperiale. Secondo la sua teoria il rango dinazione” doveva essere attribuito a quei gruppi etnici dotati di omogeneità linguistica, territoriale, culturale, e delle attività economiche. Questi popoli avrebbero ottenuto lo status politico di Repubblica Socialista Sovietica, mentre gli altri si sarebbero organizzati in entità gerarchicamente subordinate – autonomie, province, etc. – inglobate nelle prime.

La struttura sovietica così definita rimase compatta per tutta la durata dell'Unione, e non si può dire da questa prospettiva che lo Zio Joe non abbia fatto un buon lavoro, ma è da quei territori che scaturirono la maggior parte dei conflitti che seguono la Guerra Fredda.

In Europa, l'azione sovietica di national state engineering è stata per lo più limitata dalla presenza di popoli con una lunga tradizione nazionale, come nel caso della Polonia, dove la radicata eredità romana e cattolica ha resistito alle pressioni sovietiche fino a prendersi la rivincita nel 1989 con la vittoria elettorale del sindacato cattolico Solidarność. Più incisiva e devastante è stato invece l'approccio utilizzato nelle regioni dell'area caspica: il Caucaso e l'Asia Centrale. Soprattutto questi luoghi saranno infatti teatro di numerosi conflitti l'indomani del crollo sovietico e alcuni di essi verranno chiamati “Stati falliti”.

Storicamente contesa tra Impero Ottomano, Persia e Impero Zarista, la regione del Caucaso Meridionale è composta da svariati gruppi etnici di cui tre principali: Georgiano, Armeno e Azero; i primi due cristiani ma di chiese apostoliche differenti, il terzo di matrice turca e religione musulmana. La regione era culturalmente e politicamente vivace già sotto il dominio zarista quando Tbilisi, – situata al centro dell'area caucasica e oggi capitale della Georgia – era un melting pot etnico, culturale e religioso, e Baku – capitale azera bagnata dal Mar Caspio, – era una fiorente città industriale ricca di giacimenti minerali da raggiungere metà della produzione petrolifera mondiale all'inizio del Novecento. Da queste città, movimenti e partiti di carattere nazionalista, democratico e perfino socialista, come il Musavat in Azerbaijan o l'armeno Dashnak, sorsero e portarono la loro voce al cospetto della russa Duma già alla fine del XIX secolo.

Dopo una breve parentesi federale (la Repubblica Socialista Sovietica Transcaucasica, 1922-1936), la regione venne divisa in tre repubbliche sovietiche definite secondo le tre etnie principali, le uniche degne del rango di “nazione”. Seppur disegnate intorno a una schiacciante maggioranza etnica, al loro interno vi si trovavano numerose e consistenti minoranze alle quali fu attribuito lo status di Autonomia oppure di Oblast (provincia). Da queste suddivisioni si crearono i presupposti per tensioni che persistono tuttora, come tra Abkhazi e Georgiani, in guerra nel 1992-93 e nel 1998, o tra Armeni e Azeri nel Nakhchivan e nel Nagorno-Karabakh, il primo di maggioranza azera, ma racchiuso tra Armenia ed Iran, mentre il secondo di maggioranza armena, ma internamente inglobato nell'Azerbaijan. Quest'ultimo, in particolare, fu palcoscenico di scontri dal 1988 al 1994 quando fu dichiarato un “cessate il fuoco” che da allora regge in maniera precaria. Infine vi è il conflitto tra Ossezi e Georgiani, iniziato nel 1992-93 e reiteratosi nell'estate del 2008 provocando l'intervanto della vicina Russia.

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