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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 71 - 1 Luglio 2010 | 0 commenti

Letteratura italiana?!



Come è possibile leggere dai vari contributi presenti su questo numero, “popolo” è un concetto evanescente, i cui contorni si allargano o si restringono in base alle singole situazioni.

Parlare di “popolo italiano”, ad esempio, evidenzia la relatività di questo soggetto: con popolo, si intende un raggruppamento di persone accomunate da una stessa matrice linguistica, storica e culturale. Ma quando aggiungiamo l'aggettivo italiano la faccenda si complica: si potrebbe dire che si il concetto fa riferimento alla popolazione contenuta all'interno dei confini politici dello stato italiano, ma questo escluderebbe i tanti emigrati italiani nel mondo (che corrispondono ai tre parametri indicati precedentemente). Da notare che non parlo soltanto dell'emigrazione avvenuta durante tutto il XX secolo, ma anche delle emigrazioni attuali verso vari stati Europei e/o comunque Occidentali.

Si potrebbe introdurre il requisito della nascita (nel territorio o da genitori italiani), ma questo introdurrebbe nuove questioni: il figlio di due italiani nato in Inghilterra è italiano o inglese? E il figlio di due marocchini nato a Caserta, è italiano o marocchino? Tenendo in considerazione i tre parametri sopra indicati, per quando riguarda la matrice culturale e linguistica, i due individui sarebbero considerati come appartenenti al luogo geografico (di nascita, o di crescita) mentre per quanto riguarda la matrice storica ne sarebbero esclusi. Questo renderebbe l'uno e l'altro inglese/italiano a metà.

I casi limite potrebbero essere tanti, basti pensare alle varie comunità slave e tedesche presenti lungo i confini settentrionali. Italiane da generazioni, ma fortemente attaccate alle radici dei propri antenati.

Potrei procedere oltre con questo discorso, ma quello che mi preme mostrare è l'evanescenza del concetto di “popolo italiano”.


Se ci spostiamo sul campo letterario la questione sembra essere molto più semplice. Negli ultimi anni è emerso un nuovo genere di scrittori, le cui opere sono state radunatiesotto l'etichetta di “letteratura migrante”. Di questo gruppo fanno parte tutti quegli scrittori di origine straniera (meglio dire non-italiana) che hanno scritto opere in lingua italiana. Il fenomeno non è nuovo se consideriamo che tra i maggiori scrittori del '900 troviamo uno  come Aron Hector Schmitz, di origine austriaca, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Italo Svevo.

I primi testi letterari scritti da “stranieri” appaiono in Italia verso i primi anni '90, tutti gli autori arrivarono nel “nostro” paese tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 ,durante le prime ondate migratorie. Sono testi di carattere autobiografico che parlano delle motivazioni che li hanno portati a lasciare il proprio paese, dell'arrivo in Italia e delle difficoltà iniziali con la cultura e con la lingua. Dopo vent'anni il gruppo si è esteso e adesso ne fanno parte decine e decine di autori che si destreggiano con i vari generi letterari e paraletterari. Mi piacerebbe parlare di alcune di queste opere, ma devo confessare di essere a conoscenza dell'esistenza di questo gruppo da troppo poco tempo per poterne parlare in maniera esaustiva.

L'aspetto che mi premeva sottolineare è che la letteratura ha scelto un unico requisito che indichi l'appartenenza tra le proprie fila: la lingua.

L'aspetto linguistico è abbastanza importante, chiunque di voi abbia fatto un'esperienza all'estero conosce le difficoltà insite nell'apprendimento di un'altra lingua e l'impossibilità a volte di superare un certo livello di conoscenza. Dietro una buona o una scarsa conoscenza della lingua si possono nascondere meccanismi psicologici diversi come l'incapacità o la non volontà di integrarsi, la paura di perdere le proprie radici, o al contrario la volontà di cancellare il proprio passato, andando verso l'assimilazione, piuttosto che l'integrazione.

Scrivere italiano, un buon italiano, è il requisito necessario per entrare a far parte del “nostro” universo letterario. E scusatemi se è poco.

Se spostiamo lo sguardo verso la società, dopo oltre trent'anni di immigrazione, non ci sono ancora risposte per quanto riguarda un giusto percorso di integrazione. La politica è divisa tra “tolleranza zero” e “solidarietà a tutto campo” e tra la gente le opinioni sono molte e confuse. Si dovrebbero individuare due – tre punti fermi, che stabiliscano quali siano le regole per una corretta integrazione, vantaggiosa per il migrante e per il paese che lo ospita (è inutile sottolineare che non prendo nemmeno in considerazione le baggianate della Lega Nord). Integrazione comunque deve essere, è inutile continuare ad evitare il problema, e bisogna trovare una formula. La letteratura insegna, la lingua potrebbe essere il primo di questi parametri.

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