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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 72 - 1 Agosto 2010 | 0 commenti

Acquatiche riflessioni estive

In questa mezza estate molto piovosa, alcune “acquose” riflessioni.

Ieri, 28 luglio 2010, l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che dichiara diritto umano l'accesso all'acqua potabile (e all'igiene). Nonostante non vi sia ancora nessun vincolo di attuazione, il passo fatto è sicuramente di grandissima rilevanza. Non soltanto per il suo contenuto, ma anche in quanto testimonianza concreta che l'azione decennale - in gran parte dal basso – di un movimento compatto a tutela del diritto di tutti all'acqua è stata efficace (ma il lavoro non finisce certo qui…).

Secondo tale risoluzione, privare un essere umano dell'acqua potabile è illegale. Di conseguenza, a tutti i cittadini del mondo deve essere garantito tale diritto da governi, istituzioni e reti internazionali, tenendo in considerazione che l'Organizzazione Mondiale della Sanità considera 50 litri d'acqua la quantità giornaliera minima che dovrebbe essere disponibile per ogni individuo. Sul binario parallelo a quello dell'acqua come diritto umano fondamentale, corre la questione della scarsità, attuale e potenziale, della risorsa idrica mondiale. E, quindi, la questione del risparmio e della buona ed efficiente gestione del sistema idrico.

A questo punto una domanda sorge spontanea (soprattutto avendo a mente la situazione italiana[1]….): il diritto all'acqua ed il suo risparmio sono compatibili con il processo di privatizzazione della gestione delle risorse idriche?

Come spesso accade, quando si affrontano questioni importanti, si deve fare i conti con due posizioni che, almeno all'apparenza, sembrano in contrapposizione tra di loro.

Sul fronte dei diritti non paiono esserci dubbi sul fatto che non si possa delegare a privati (o a partenariati pubblico-privato) la gestione dell'acqua, che è incompatibile con il profitto e con la privatizzazione. Lo Stato, in quanto garante (in linea di principio) del benessere dei suoi cittadini, deve occuparsi di organizzare questo tipo di servizio.

Sul fronte della buona gestione qualche dubbio potrebbe sorgere relativamente alla necessità di una totale presenza pubblica in tale settore. In caso di gestione pubblica di un bene comune come l'acqua i costi di fornitura sono sostenuti, in gran parte, dalla collettività e non dai singoli utilizzatori. Allo stesso modo ricadono sulla collettività i costi legati ad un cattivo funzionamento del sistema. Allora, perché preoccuparsi di risparmiare? Perché chiudere l'acqua mentre ci si spazzolano i denti? Tanto costa poco[2] ! Perché preoccuparsi di eliminare le perdite e le inefficienze del sistema idrico? Tanto se ne fa carico la fiscalità pubblica (che siamo poi noi cittadini, giusto per puntualizzare)? Purtroppo, a mio parere, la lungimiranza non è una delle principali doti umane e a volte non è sufficiente sapere che un bene è scarso e prezioso per indurre comportamenti virtuosi. Molto più efficaci, purtroppo, sono tariffe più alte che inducono, secondo la semplice legge della domanda, quantità consumate inferiori.

Se poi, pensando all'Italia, aggiungiamo la questione delle scarse risorse pubbliche a fronte, invece, di investimenti necessari per migliorare il sistema idrico nazionale (gli acquedotti italiani sono un vero e proprio fiume d' acqua: circa 2,61 miliardi i metri cubi di H2O vengono annualmente persi dal sistema idrico[3]) sembrerebbe proprio necessaria la presenza del privato per migliorare la situazione ed indurre maggiori risparmi (non certo per i cittadini, le cui bollette aumenterebbero notevolmente[4]).

Una dichiarazione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006 (citata nella delibera della Giunta regionale pugliese in materia di riorganizzazione del sistema idrico[5]) è molto interessante, al fine di superare questa contrapposizione. Si definisce “l'acqua come un bene comune dell'umanità” e si insiste affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un'impostazione partecipativa e integrata che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale ed in modo democratico”.

Forse sbaglio, forse dietro la mia maschera da simil-economista si nasconde solo un' idealista, ma credo ancora molto nell' ”azione dal basso” e nella possibilità di responsabilizzare i cittadini, compito affidato a coloro i quali colgono le questioni fondamentali relative ai problemi che vanno affrontati (l'acqua, nel caso specifico).

Penso che una gestione efficiente delle risorse idriche da parte dei comuni (e quindi dell'ente pubblico e non del privato) sia possibile. Innanzi tutto educando e creando, tra i cittadini, una cultura dell'acqua (e ancora si ribadisce il ruolo della scuola…). Poi creando, come sostenuto da alcuni, un sistema di tariffazione progressivo tale da garantire il consumo minimo quotidiano a tariffe agevolate (magari che coprano giusto i costi operativi) e tariffe via via più alte per consumi superiori, in modo da lottare contro gli sprechi personali dei cittadini[6]. Nonostante i ben noti vincoli di bilancio pubblici è necessario anche investire sul sistema idrico, in modo da eliminare gli enormi sprechi esistenti (investimenti che non vengono fatti in maniera sufficiente neppure dal settore privato[7]). E' mia opinione che le risorse si possano trovare risparmiando, per esempio, su altri investimenti che hanno, probabilmente, più effetto mediatico ma, forse, minore utilità nel momento presente (ponte di Messina?).

Il problema fondamentale dell'economia è la gestione efficiente delle risorse scarse. Credo che per fare questo, tra i vincoli che agli economisti piace molto considerare, ce ne debbano essere due fondamentali quando si parla di acqua. Il primo, ribadito dall'ONU, è la necessità di garantire tale diritto a tutti. Il secondo è la necessità di definire un chiaro ordine di priorità, al fine di capire dove e come investire le risorse (pubbliche) di cui si dispone.




[1] In Italia:

· con la legge Galli la maggior parte dei gestori sono stati privatizzati.

· con legge 28 aprile 2009, n. 39 è stato soppresso il Comitato di vigilanza sull'uso delle risorse idriche (Coviri) e la struttura tecnica a cui faceva riferimento, l'Osservatorio sui servizi idrici. Questo ha avuto notevole impatto sulla possibilità di realizzare una regolazione economica, la cui finalità fondamentale è quella di costruire un quadro entro il quale gli investimenti possono essere sostenibili per chi li fa e sopportabili per chi li deve pagare (controllo delle tariffe, rendicontazioni di bilancio dettagliate, analisi di efficienza, dialogo con l'opinione pubblica, gestione delle controversie,…. )

· Con la legge Ronchi, 19/11/2009 si impone che la gestione dei servizi idrici sia, almeno al 40%, privata.

[2] L'Italia ha una delle tariffe più basse tra i paesi UE (World Water Forum, Instanbul 2009)

[3] Fonte: COVIRI, 2009

[4] Vedi caso di Aprilia e della provincia di Latina, che hanno privatizzato l'acqua nel 2002.

[5] http://www.acquabenecomune.org/spip.php?article6640

[6] …e da non dare lo stesso valore al consumo di acqua necessario per vivere e garantire l' igiene e a quello per riempire la piscina.

[7] Vedi ancora il caso di Aprilia (http://www.acquabenecomune.org/aprilia/article.php3?id_article=2573) e le dichiarazioni del presidente di Federutility Bazzano, secondo il quale uno dei motivi degli scarsi investimenti è la troppo bassa remunerazione del capitale investito (la normativa prevede, infatti una remunerazione lorda del 7% ed un incremento annuo delle tariffe non maggiore del 5%)

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