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Scritto da nel Internazionale, Numero 73 - 1 Ottobre 2010 | 0 commenti

La paura della paura: il dramma dei minatori cileni

Il 5 agosto, in seguito al cedimento di una galleria nella miniera di San José, un giacimento d'oro e di rame nel deserto di Atacama, 33 minatori sono rimasti intrappolati nel sottosuolo. Dopo 18 giorni, una delle sonde calate per cercarli, ha recuperato a 688 metri di profondità un biglietto: «Estamos bien en el refugio. Los 33». I minatori hanno raccontato di esser riusciti, strisciando, a raggiungere uno dei rifugi della galleria. Qui hanno trovato provviste ed elettricità e hanno sapientemente razionato il cibo per resistere il più possibile: si sono nutriti con due cucchiai di tonno e mezza tazza di latte ogni 48 ore.
Dopo la sorpresa e la commozione per la notizia, i tecnici che lavorano per salvare la vita dei mineros, hanno attivato un'altra sonda per inviare acqua, cibo e medicinali: un vero e proprio cordone ombelicale con la superficie in grado di assicurare la sopravvivenza del gruppo.

I medici dicono che nonostante tutto, i minatori sono in buone condizioni psico-fisiche. Alcuni psicologi hanno cercato di ipotizzare di quali disturbi potrebbero soffrire una volta tornati alla vita di tutti i giorni. Tra questi, la paura della paura, tradotto in termini tecnici agorafobia1. Letteralmente agorafobia significa “paura degli spazi aperti”. Le persone che ne soffrono temono lo spazio esterno e nelle forme più gravi hanno anche paura di allontanarsi dai luoghi che gli sono familiari. Ma, nonostante il significato della parola, chi soffre di questo disturbo di solito teme anche gli spazi chiusi come gli ascensori, gli aerei, ha paura di usare i mezzi pubblici, della folla, di entrare nei supermercati, di guidare nelle gallerie e sui ponti. La definizione corretta di agorafobia, perciò, è la paura di trovarsi in situazioni in cui non sia possibile ricevere soccorsi o dalle quali sia difficile la fuga in caso di necessità.

Per me questa vicenda è uno dei fatti di cronaca più angoscianti accaduti negli ultimi anni. Immaginare di dover vivere per mesi al buio, con poco ossigeno, in un rifugio di 50 metri quadrati con altre 30 persone, penso che crei in molti un inevitabile senso di claustrofobia. Nell'epoca del Grande Fratello sembra di assistere a un reality dell'orrore in cui tutto è drammaticamente vero e il finale incerto fino alla fine. I giornali e le televisioni seguono minuto per minuto ogni minima evoluzione. Sappiamo che uno dei minatori è diventato padre e che un altro è una star del calcio caduta in disgrazia. Sappiamo che pregano, che giocano a poker, alla Playstation e li abbiamo visti mentre guardavano la partita di calcio del Cile.
Nei giorni scorsi è arrivata la prima delle tre capsule che li riporterà in superficie, probabilmente entro i primi giorni di novembre. La gabbia, che è stata battezzata “Fenice“, è lunga 2 metri, larga solo 59 centimetri e pesa 420kg. Per trarre in salvo i minatori, la Fenice sarà calata lungo un cunicolo di 70 centimetri di diametro e 700 metri di lunghezza fino a raggiungere il rifugio. A quel punto, uno per volta, i minatori inizieranno la risalita, che dovrebbe durare circa 20 minuti.

Speriamo tra poco più di un mese di poterli vedere tutti sani e salvi mentre riabbracciano le loro famiglie. E per una volta la parola eroi non potrebbe essere più azzeccata.

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