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Scritto da nel Internazionale, Numero 73 - 1 Ottobre 2010 | 2 commenti

Referendum in Turchia: più democrazia (quasi) per tutti





Sospinta dai media e dai partiti di destra (specie da quelli dichiaratamente xenofobi, presenti ormai  in quasi tutti i parlamenti degli stati europei, ultimi arrivati i “Democratici svedesi” guidati dal giovane Jimmie Akesson), l’idea della necessità di una difesa contro un’ipotetica avanzata dell’islam ha fatto breccia nella testa di gran parte del popolo del Vecchio continente. La chiave di questo fenomeno sta nella difficoltà di considerare i cosiddetti fondamentalisti islamici come l’eccezione e non la regola tra i musulmani che vivono in Europa.

 

La paura del musulmano e la sua immediata identificazione col delinquente, se non col terrorista, non poteva non proliferare nel nostro Paese, già affetto da una certa «diffidenza» nei confronti dello straniero in generale. Non è affatto raro sentire associare alla (sacrosanta) sentenza sulla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche – emessa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo – un preciso disegno dei musulmani per estirpare le radici cristiane dal nostro Paese (!), e non l’iniziativa di una mamma italiana di origine finlandese preoccupata per la libertà di religione dei propri figli.

 

Non sorprende quindi la preoccupazione di opinionisti e politici europei riguardo l’esito del referendum del 12 settembre scorso in Turchia, che con il favore del 58% degli elettori porta ad una vasta revisione della Costituzione e ridimensiona di fatto il potere dell’esercito, storico baluardo della laicità dello stato.

 

I militari hanno da sempre influenzato la vita politica in Turchia, tanto da scatenare ben quattro colpi di stato negli ultimi cinquanta anni. Dal più sanguinoso di quei golpe, nel 1980 – in cui ci furono centinaia di migliaia di arresti, condanne a morte, messa al bando di giornali e sindacati – è nata la Costituzione che governa il Paese. Ora le modifiche alla Carta costituzionale determinano la fine della supremazia del potere militare su quello civile e prevedono addirittura di portare a processo gli autori di quel golpe.

 

A proporre il referendum che segna una svolta epocale è stato il governo di Recep Tayyp Erdogan – leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), formazione di centro destra e di ispirazione islamico moderata – con la «benedizione» di Abdullah Gul, capo dello Stato dal 2007, da quando cioè l’AKP lo ha proposto a dispetto delle proteste dell’opposizione laica che non accettava per la carica di più alto rappresentante dello stato turco un candidato la cui moglie indossa il velo. Anche allora l’esercito aveva minacciato di intervenire e solo una chiamata alle urne con netta vittoria del partito di Erdogan nei confronti di nazionalisti e socialdemocratici ha permesso la proclamazione di Gul a Presidente della Repubblica. Il referendum ha rappresentato anche un importante banco di prova per il governo in vista delle elezioni politiche che si svolgeranno il prossimo anno, e che a questo punto vedono il premier uscente Erdogan nettamente favorito per la riconferma.

 

La riforma proposta nel referendum modifica 26 articoli della Costituzione e va incontro alle richieste di «democratizzazione» dell’Unione Europea necessarie alla Turchia per avvicinarsi al circolo comunitario. La parte più rilevante della revisione costituzionale riguarda la fine della possibilità per l’esercito di «intromettersi» nella vita politica ed istituzionale del Paese. In questo senso è emblematico il provvedimento che pone fine all’immunità giudiziaria per i generali che erano a capo del colpo di stato del 1980. Inoltre, i reati contro la Costituzione o la sicurezza nazionale perpetrati da membri delle forze armate saranno giudicati dai tribunali civili mentre i civili non potranno più essere giudicati dai tribunali militari.

 

Tra i motivi che hanno spinto molti cittadini turchi non elettori del partito di Erdogan – tra cui lo scrittore premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk –  a votare a favore del referendum c’è sicuramente l’ampliamento dei diritti civili che la riforma prevede. Infatti si concedono ai dipendenti pubblici il diritto di sciopero, di negoziare un contratto nazionale e di ricorrere contro azioni disciplinari ingiuste; sarà garantito per tutti i turchi il diritto alla privacy: l’accesso ad informazioni personali sarà concesso solo con il permesso esplicito dell’interessato. Inoltre aumenta la tutela per determinate categorie della popolazione quali i bambini, gli anziani, i disabili, le vedove, gli orfani e i veterani di guerra.

 

In campo giudiziario le principali modifiche riguardano l’aumento del numero dei componenti della Corte  Costituzionale e del Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori, che saranno nominati non soltanto dai giudici ma anche dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento. Questa modifica preoccupa molto le opposizioni in quanto c’è chi teme che nelle più alte magistrature possa così esserci un’infornata di religiosi ultraconservatori che rischierebbe di mettere a repentaglio la laicità dello Stato.

 

Non si può comunque negare il carattere positivo di questa riforma voluta dalla maggior parte dei cittadini turchi e dalla stessa Unione Europea. Anche se il potere dell’esercito in qualità di garante della separazione tra Stato e religione era rimasto intatto dai tempi della rivoluzione secolare imposta da Mustafa Kemal Ataturk, è anche vero che non può esistere democrazia vera in cui il potere civile è sottomesso a quello militare. Questo particolare non sembra interessare a chi, in Europa, crede fermamente che le modifiche volute da Erdogan rappresentino l’anticamera di un’«islamizzazione» dello stato turco e non un passo avanti della democrazia. Ecco quindi che la diffusa paura dell’islam assurge a pretesto politico, inquinando così il dibattito su uno Stato in tutti i sensi fondamentale negli attuali equilibri geopolitici e militari a cavallo tra occidente e oriente.

 

Dopo il referendum, gli unici a doversi preoccupare realmente sono i Curdi, che lo hanno in massa boicottato. La riforma infatti ignora ancora una volta le loro legittime richieste: riconoscimento dell’identità etnica, possibilità per i partiti curdi di entrare in parlamento e abolizione delle leggi anti-terrorismo che hanno portato molti attivisti e politici di questo popolo senza terra in prigione.

2 Commenti

  1. Mah speriamo bene, però a me la Turchia nell'UE lascia perplesso…

  2. Lascia perlplesso anche me, ma per motivi che esulano dalla questione religiosa che non deve mai essere argomento politico. Del resto, già fin qui l'allargamento dell'UE è stato affrettato e confuso. Credo che ai cittadini europei faccia comodo far parte dell'UE, ma penso che quasi nessuno ormai creda in un progetto europeo di carattere politico.

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