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Scritto da nel Numero 74 - 1 Novembre 2010, Politica | 2 commenti

Il beneficio d'inventario

La forma di espressione più presente nella natura umana non è percepibile dall'occhio, limitato dalla scala del fuoco oppure semplicemente mai sviluppatosi a percepire l'eco esterna dei rumori interni della propria pancia.

La generazione nata subito dopo la guerra ha ricevuto in dono un Paese in crescita e, nel momento in cui si trattava per i 60enni di oggi di diventare grandi, ha pensato bene di inventarsi il Sessantotto: il Movimento ha senza dubbio segnato un momento di forte trasformazione dei rapporti tra l'individuo e la società. Se da un lato ne hanno giovato i diritti civili, dal punto di vista economico una generazione con la pancia piena ha spezzato il legame tra l'impegno, il merito e il reddito.
E' stato possibile portare la fantasia al potere, e altrettanto semplice è così risultata alle classi dirigenti la realizzazione di uno Stato sociale svincolato dai limiti di spesa: creando debito (che negli anni 70 è stato pagato dai sottoscrittori stessi, via tassi reali negativi, e che solo nel decennio successivo si è rovesciato sullo colettività) ognuno ha incassato, e chi più e chi meno goduto.

I nodi sono venuti al pettine quando anche le generazioni successive, allevate nella bambagia da genitori che non avevano visto la guerra, si sono presentate all'incasso di quanto promesso: scuola senza bocciature, università come luogo di ricreazione, mondo del lavoro come stipendificio, al quale si chiede con poco costrutto che sia anche in grado di premiare il titolo di studi appena conseguito in Università dove pletore di professori si fanno sostituire in aula da ragazzotti precari. Questa era l'attesa razionale fondata sulla situazione del momento precedente, ma i giovanotti di belle speranze si sono trovati a vivere una realtà nella quale nessuno sa comportarsi: senza un soldo, senza una svalutazione competitiva da giocare, senza un nuovo bond da emettere per pagare quello precedente. Le speranze ricevute in eredità erano fondate sul debito: chi si sente parte di quelle speranze, ammette di dover pagare per poterle riscattare.

D'altronde, è altrettanto evidente che il fenomeno della fantasia sessantottina ha coinvolto un'elite: un'elite che animata da un sincero spirito progressivo e da un certo cinismo clientelare ha fatto sì che la ricchezza si ridistribuisse tramite rapporti di convenienza reciproca tra gruppi e classi, al di là della condivisione ideale. Quando al momento dell'incasso – l'avvento della seconda Repubblica – il cliente si è trovato ad avere la peggio, sentendosi tradito ha rivendicato il rispetto dei patti. Il precedente modello redistributivo ha esaurito la sua funzione quando è diventato strumento di esclusione degli “altri”: i giovani e gli immigrati. Facile.

In questa dicotomia, debito vs esclusione, dove solo il debito è stato il collante di un modello d'inclusione sociale, l'eredità politica non ancora tramandatasi pare non trovare altra via se non morire con i nonni, osservata l'incapacità della generazione successiva di adattarla all'esigenza di affrontare l'inossidabile problema politico di quale proposta possa governare l'Italia in una prospettiva di progresso e autonomia.

In questo dilemma si aggrovigliano gli schieramenti politici nazionali. La prima Repubblica storicamente schierata per la coppia debito/inclusione è collassata sul rigore finanziario e ad essa è succeduta la politica del rigore, dei contratti precari e dei centri di permanenza temporanea (alle quali hanno aderito entrambi gli schieramenti di governo): l'attuale assetto politico potrà sopravvivere solo superando questo impasse.

Ma c'è un grandioso ottimismo nelle cose. La generazione che ha cominciato a lavorare da poco e di quel patto sociale non ha goduto chiederà il beneficio d'inventario per quell'eredità: dunque libera dalle scorie del passato, si confronterà nei fatti con il mercato globale, con le lingue straniere e i nuovi lavoratori migranti. E' sufficiente osservare il mondo del lavoro, dove le nuove leve sopperiscono all'assenza di una tutela sindacale mettendosi alla prova delle sfide del mercato.
Non c'è altra strada che riconoscere il merito a chi lo ha e dividere da bravi fratelli il mondo del secolo nuovo. Lo farà l'Italia che avrà vissuto all'estero, auspicabilmente il più presto possibile, e lo farà in Europa finché anche quella non sarà troppo stretta.

Al di là dell'intelleggibilità umana, sarà come sempre la Storia ad esprimersi da sola.

2 Commenti

  1. bene bene, non vedo traccia di grillini, manifestanti invasati, nostalgici della contestazione di piazza, amanti dei rapidi detergenti della coscienza…come mai la loro voce, seppur pallida, ma sembra presente non è stata contemplata?

  2. mi sembra che su questo tema non si siano mai espressi e più in generale non trovo voci politiche catagolabili al di fuori della categoria debito/esclusione.

    però sono molto interessato a prendere in esame una eventuale mia disattenzione.

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