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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 75 - 1 Dicembre 2010 | 0 commenti

L'Italia nel Regno d'Italia

Io pensavo (come allora lo penso) che del carattere nazionale bisogna occuparsi, che bisogna far gli Italiani se si vuol fare l’Italia; e che una volta fatti, davvero allora l’Italia farà da sé
Parlava così Massimo D’Azeglio nel 1866, poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia. 

All’indomani della nascita dell’Italia, nel Paese si apre un grande dibattito sul concetto di “popolo”, su cosa debba essere una nazione, sulla cultura, la lingua e le tradizioni che contraddistinguano tutti sotto il nome di Italiani. L’esercito e la scuola i strumenti a cui appaltare la costruzione dell’Italiano: il primo aveva la funzione quasi sociologica di favorire una integrazione che vada fuori dai confini regionali, la scuola invece  aveva la funzione di aggregazione nazionale. Concetti questi espressi in due testi di Edmondo De Amicis, “Vita militare” e “Cuore”, editi tra il 1868 e il 1886. 
Nel dibattito all’interno del Paese è notevole la produzione culturale con al centro il futuro dell’Italia e degli Italiani.
Niccolò Tommaseo nel 1873 scriveva la “La nazione educatrice di sé” sulla formazione della cosiddetta coscienza nazionale che non poteva essere scissa da una riforma morale dello Stato, tema quanto mai attuale nell’odierno scenario della politica italiana.
Cesare Cantù
nel testo“Buon senso e buon cuore” edito a Milano nel 1870 indicava tre elementi essenziali per la costruzione dell’identità dell’Italiano: La chiesa, la famiglia e il comune. 
Giuseppe Mazzini
nel 1860 in Dei Doveri dell’uomo parla del senso del dovere come fondamento della nazione, secondo Mazzini una società che rivendica unicamente i diritti ben presto sarebbe scivolata in una deriva anarchica.

In un momento storico in cui il giornalismo conosceva una fase di progresso inarrestabile, manifestazione di quello che oggi chiameremo pluralismo dell’informazione, la questione meridionale era quanto mai presente. Pasquale Turiello nei suoi scritti pone al primo punto il problema sociale.Turiello parla di “clientele politicanti” e “mafia regionalistica” come ostacoli al processo di formazione del Paese. Lo scrittore siciliano prosegue nella sua analisi affrontando questioni quanto mai attuali come quelle di chi oggi definisce in toto la classe politica dell’Italia come casta, infatti Pasquale Turiello denuncia  il degrado della politica che si manifesta nel trasformismo delle classi dirigenti.
Anche Giustino Fortunato parla della questione del Sud, definendo l’Italia come un paese diviso a metà. In un ventaglio di più disparate opinione un elemento da sottolineare è che nel dibattito l’obiettivo era unico: costruire l’identità dell’Italia. Dalla scuola come elemento di formazione e aggregazione per il popolo italico arrivando ad oggi con l’esempio della scuola di Adro una chiave di lettura dei 150 anni di storia del nostro Paese. 

Dopo trent’anni dalla nascita del Regno d’Italia, intorno al 1892 circa il dibattito sulla costruzione dell’identità italiana è quanto mai vivo, e la politica sembra essere sempre più nel mirino delle analisi di quelli che oggi definiremo analisti politici o giornalisti.
Vilfredo Pareto, in questa fase di costruzione dell’identità,  in maniera molto netta parlava di crisi della democrazia che si manifestava nella degenerazione del parlamento, Arturo Labriola scriveva: “Fra il Paese e la Camera c’è un abisso” (A.Labriola, Storia di dieci anni, Milano 1910). 

In occasione dei 150 anni dalla nascita dell’Italia è quanto mai interessante rileggere le testimonianze  per capire e comprendere l’attualità delle idee di allora che sono le questioni di oggi, in uno scenario politico in cui si cerca il consenso elettorale anche con il tema della “secessione” o dell’autonomia economica delle regioni. Se è vero che il popolo fa l’anima di un paese, fatta l’Italia, chi sono gli Italiani?  Nel 1866 Massimo D’Azeglio parlava così: “ L’Italia è fatta: ora pensiamo a fare gli Italiani

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