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Scritto da nel Numero 75 - 1 Dicembre 2010, Scienza | 0 commenti

Pioggia e Cemento

Alcuni giorni fa si è verificata l'ennesima calamità naturale di questo disastrato paese che però, nello stupore di molti, ha interessato le regioni settentrionali ed in particolare una delle aree più ricche ed evolute d'Italia. Lo straripare di molti fiumi, in primis il Bacchiglione, ha mandato sott'acqua mezzo Veneto e parte del Friuli. Seppure nella farraginosità dell'informazione, ormai strattonata da chiunque a fini di strumentalizzazione politica, si è venuto delineando un quadro che può far parlare di una vera e propria alluvione. Campi e città sommerse dal fango nel veronese, vicentino e padovano ma danni e disagi anche nelle province di Venezia, Treviso e Pordenone.
Senz'altro non si tratta di una notizia bomba; tuttalpiù, come dicevamo, è una notizia che ha ricevuto distorsioni tali da farla oscillare fra una non notizia ed una sorta di apocalisse. Se la verità sta nel mezzo, possiamo comunque dire che si sono verificate situazioni emergenziali anche gravi, le quali diventano sempre più frequenti negli ultimi decenni e non certo per un incrementato accanimento della meteo. Inoltre va ricordato che questi collassi della natura non hanno affatto confini geografici, colpendo indistintamente tutto il territorio italico ed anzi le alluvioni più cruente, anche dal punto di vista delle vittime, occorse negli ultimi vent'anni, si sono avute al Nord, nel basso Piemonte ed in Valtellina, a parte le frane di Sarno e Quindici in Campania.
Quindi il problema non è l'eccezionalità dell'evento climatico, che pure contribuisce, e neppure l'incuria tout court, intesa come generico abbandono delle terre o mala amministrazione, fenomeni più tipicamente meridionali. Il motivo conduttore che tiene insieme tali calamità è piuttosto la cementificazione e l'incredibile superficialità, se non malafede, con cui si regolano ed amministrano territorio e ambiente. La carenza o l'inefficacia dei piani urbanistici generali non può che creare le condizioni ottimali per trasformare un acquazzone o una tempesta, per quanto forti, in disastri di proporzioni immani.
Ma vediamo di focalizzare l'attenzione sulle terre governate da Zaia, l'intransigente presidente “no monnezza”. Il territorio del Veneto ha anch'esso, come tutte le regioni italiane, una conformazione geomorfologica difficile che in potenza soffre le grandi ondate di maltempo. Basti dire che circa un terzo del territorio presenta alte montagne che degradano velocemente al piano, per il tramite di valli strette che raccolgono grandi quantità d'acqua dai pendii montani circostanti. Ciò significa che nelle mezze stagioni, quando già sono più frequenti le precipitazioni e quando, a causa della temperatura elevata, o si scioglie la neve o il limite della stessa è posto oltre i 2.000 metri, i fiumi si ingrossano e riversano acqua e detriti sulla estesa pianura pedemontana. Inoltre, a sud della regione, scorrono il maestoso Po affiancato dal capace Adige che sfociano insieme in Adriatico, a risibile distanza chilometrica, quasi fondendosi nelle loro foci.
E' chiaro dunque che si tratti di un'area geografica a rischio, che pure in sé stessa contiene già gli antidoti necessari, le contromisure verso tale rischio. A differenza di altre aree del paese, che combattono con gli eventi climatici estremi senza poterli collettivizzare, perché l'orografia fa sì che tutto sia più concentrato, ad esempio si pensi all'alta Versilia, il Veneto avrebbe spontanei meccanismi di compensazione, in primis le pianure alluvionali del Polesine, ma anche le fasce boschive costiere del Brenta, la laguna di Venezia e le stesse Dolomiti bellunesi che, essendo una delle zone in assoluto più fredde d'Italia, facilmente possono intrappolare l'acqua in ghiaccio, rilasciandola poi gradualmente. Ed in effetti, se si tolgono micro alluvioni zonali che possono aver colpito qua e là ristrette fasce di territorio regionale, l'ultimo nel luglio del 2009 in Cadore, l'episodio di questo mese di novembre ha un solo importante precedente, sebbene di rilevanza straordinaria: l'alluvione del Polesine del 1951, avvenuta sempre nel mese di novembre.
Da allora quindi eventi eclatanti non ve ne sono stati, nonostante la profonda trasformazione che ha subito il territorio veneto fra gli anni '50 e gli anni '70, e non solo il territorio ma anche il tessuto economico e sociale con tutto ciò che ne ha conseguito. Quindi perché il Polesine e perché oggi l'alluvione di Vicenza? E perché non funzionano più gli equilibri che invece a lungo hanno preservato la regione dalle grandi inondazioni?
Intanto il Polesine dell'immediato dopoguerra era una zona che oggi forse faticheremmo anche solo a immaginare, per la feroce miseria in cui versava e per la totale indigenza del territorio e delle popolazioni. “Polenta e osei” erano già un lusso ed il prototipo dell'emigrante in Belgio e Germania era veneto, oltre che pugliese o calabrese. Inoltre l'indigenza coinvolgeva anche gli apparati istituzionali, appena usciti dalla ricostruzione; pertanto, in occasione dell'alluvione, si sommarono gli intoppi comunicativi, sia fra gli enti di controllo idrologico e le prefetture, sia fra quest'ultime ed una popolazione diffidente e semianalfabeta, con le lungaggini ed i tentennamenti burocratici che impedirono di rinforzare per tempo gli argini ove necessario e di farli saltare ove erano funzionali all'apertura di brecce capaci di far defluire i corsi fluviali. Insomma nel novembre del '51 vi furono condizioni oggettive che oggi, essendo superate, non avrebbero più alcuna influenza sugli eventi, o quanto meno è auspicabile che così non sia.
Le alluvioni recenti si inseriscono invece in un contesto ben diverso dove certo non mancano né le informazioni preventive né le strutture che le utilizzano a fini di prevenzione. La macchina delle previsioni meteorologiche nel breve periodo (36-48 ore) è così ben oliata che si sa esattamente dove insisterà la perturbazione e quanta acqua cadrà; parimenti la protezione civile, se fatta funzionare, ha grandi mezzi e tecnologie a disposizione. Il moltiplicarsi delle alluvioni trova allora per forza il suo fondamento nell'opera dell'uomo che ha inseguito un modello di sviluppo disordinato ed eccessivo. Il “miracolo” economico del nordest negli anni '80 e '90, fra i tanti effetti collaterali, ha ridotto la pianura una interminabile distesa di case e capannoni. Colate di cemento si sono riversate nel triangolo d'oro dell'economia di fine secolo, Treviso, Verona, Padova, moltiplicando strade e consumando suolo naturale, gli alvei dei fiumi sono stati trasformati in canali dove si velocizza lo scorrere dell'acqua, impedendone la ritenzione e l'assorbimento. Dove c'erano boschi e aree golenali oggi c'è una indistinta fila di insediamenti urbani e industriali che elevano all'ennesima potenza l'impatto e la pericolosità di una strutturata perturbazione meteorologica.
Discorsi triti e ormai noti a molti. Tornando nel nostro ambito invece, vediamo cosa è successo dal punto di vista climatico in Veneto. Intanto si sono avuti 4 giorni di pioggia più o meno continua a cavallo di Ognissanti, dovuti all'ingresso di una perturbazione atlantica che si pensava più rapida e con una traiettoria più meridionale e che invece ha generato un vortice sul Golfo ligure, richiamando forti correnti sciroccali. Innestandosi un vortice, la perturbazione rallenta e permane più a lungo nelle stesse regioni; inoltre le correnti da sud provocano due fenomeni sulla fascia subalpina: da
un lato innalzano le temperature, le quali hanno così potuto sciogliere le nevi cadute precocemente in ottobre, dall'altro creano una situazione di “stau”, ossia di sistemi nuvolosi che cozzando contro una catena montuosa si riproducono intensamente sul territorio pedemontano. A questo va aggiunto che il Veneto si affaccia sul mare proprio a sudest, ossia in direzione dello scirocco. Ecco perché le acque dei fiumi anziché scaricarsi in Adriatico, sospinte all'indietro dal vento, non trovano sbocco ed esondano sulla terraferma. Insomma una situazione da manuale per il verificarsi delle alluvioni.
Ed il tempo di dicembre sarà ancora piovoso? E magari nevoso? Si avrà un Natale da classica cartolina invernale o si riavranno i 22-24 gradi al centro sud come l'anno scorso? Mah…purtroppo il periodo natalizio sta nella seconda parte del mese di dicembre e come tale, dal punto di vista delle previsioni meteo, è del tutto paragonabile al quinto segreto di Fatima, tanto per restare in tema mistico. Ciò che si può ipotizzare per la prima metà del mese è la persistenza del predominio dell'Artico che dovrebbe impazzare specialmente sull'Europa centro-occidentale, continuando a produrre temperature sotto la media specie sulle isole britanniche; in contrapposizione, all'affondo del suddetto verso la Spagna, corrisponderanno correnti sudoccidentali che investiranno il sud Italia e l'area balcanica meridionale, recando quindi un clima assai mite. Ovviamente per le regioni settentrionali italiane le cose cambiano molto a seconda che tale linea di confine fra masse d'aria fredda e richiamo caldo stazioni più a nord o più a sud. In linea generale continuerà un tempo piuttosto variabile con alternanza di giornate luminose e giornate piovose; piogge che saranno più intense sui versanti tirrenici e che specie al nord-ovest potrebbero tramutarsi in neve anche in pianura. Quanto alla possibile nevosità, tale quadro generale di confluenza sull'Italia delle correnti artiche, in ingresso dalla Valle del Rodano, e delle correnti di libeccio che spirano dalla Spagna, crea situazioni da manuale per il verificarsi della spaccatura fra Emilia occidentale ed orientale. Potrà dunque accadere ancora che si registrino precipitazione nevose, anche di 4-5 cm, sulle zone della città di Bologna e sul territorio ad ovest di essa, senza il benché minimo accumulo, o persino fiocco, già a Castenaso o Budrio, località della cintura in direzione del mare. Se ciò dovesse accadere speriamo che i generosi romagnoli si ricordino di fornire il sale necessario ai cugini emiliani, specie nei parcheggi.

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