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Scritto da nel Numero 75 - 1 Dicembre 2010, Politica | 0 commenti

Sogno, ergo sum

Italia, immagini oniriche tra fantascienza e utopia a 150 anni dall'Unità

Ho fatto un sogno, un brutto sogno e mi piacerebbe condividerlo con chi crede che i sogni possano diventare realtà. Nel bene e nel male.

Ho sognato un muro imponente che tagliava in due una terra che prima non aveva confini nè frontiere. Una ferita inferta dal più abile chirurgo plastico del territorio, l'essere umano, a quella Nazione conosciuta come culla dell'arte, della dieta mediterranea e della mafia. La chiamavano Italia.

Ho sognato cancelli di metallo, sbarre e numerosi checkpoint disseminati lungo questa linea artificiale di cemento armato destinata a stravolgere i libri di geografia. Sì, perché il muro cancellerà il primato in lunghezza di quello che ricordiamo come il principale fiume del Paese. Lo chiamavano Po.

Ho alzato lo sguardo e ho visto altissime torri di controllo svettare nelle nebbiose terre di questa verde piana, considerata uno dei punti nevralgici dell'economia del Paese: un eccellente patrimonio agricolo e zootecnico, imprese e commerci tra i più fiorenti al mondo. Il muro ha spazzato via la prosperità e ha obbligato milioni di persone a spostarsi da questo fertile triangolo di terra. Lo chiamavano Pianura Padana.

Ho intravisto all'interno dei gabbiotti dei checkpoint, soldati anestetizzati ma incattiviti dagli ordini provenienti da chi ha deciso per loro e senza di loro. Vestiti con camicie di verde seta e spillette con il Sole delle Alpi, apparivano disumanizzati dal potere di decidere sulla libertà di movimento delle persone di qua e di là dal muro. Li chiamavano leghisti.

Ho visto uomini e donne ingabbiati in una prigione virtuale, quella dell'attesa di un permesso di transito per il Nord. Fuggitivi della miseria, della sanità irresponsabile e complice di morte, delle morse mafiose, dell'ignoranza o semplicemente dello status quo. Li chiamavano terroni.

E c'erano persone anche dall'altra parte del muro, volevano viaggiare verso Sud. Speravano di vedere il mare azzurro dello Ionio, di farsi riscaldare dal Sole e dal calore umano di una famiglia lontana e di quei cari amici con cui un tempo si andava al bar e si trascorrevano ore a parlare di politica. Questi ex-italiani venivano derisi e insultati. Li chiamavano traditori.

Improvvisamente ho sentito delle urla disperate provenienti dal cuore infranto di una giovane ragazza. Avrà avuto la mia età, il muro l'aveva separata dal suo compagno, nonché padre del bambino che portava in grembo. Lei era del sud e lui del nord. A entrambi era stato negato il permesso di transito. Li chiamavano amori a distanza.

Ho persino visto un bambino ferirsi con un filo spinato. Quel diabolico ferro, usato per dividere lo spazio e le persone, lo separava infatti da quello che un tempo era il suo compagno di giochi. L'ho visto piangere, non so se per il sangue che sgorgava dalla sua piccola mano o per il dolore dell'allontanamento. L'ho sentito chiedere a sua madre: “Perché io non posso più stare con i miei amici?”. Le chiamavano domande senza risposta.

E infine migliaia di immigrati, sottoposti costantemente a umilianti perquisizioni. Sempre e dovunque, che andassero al Nord come al Sud. Alla manodopera coatta e all'ingrosso è difatti consentito il transito purché a muoversi siano solo solo braccia e gambe. Il metal detector suonava sempre al loro passaggio: c'era qualcosa che assolutamente non potevano portare con sè. La chiamavano dignità.

Con altre terribili immagini, come quelle di strade e rotaie che terminano contro il muro, fossati e controlli che offendono la libertà, mi sono finalmente svegliata dal sogno. A volte capita che il proprio materiale onirico sia così fantascientifico che nell'aprire gli occhi, trasudanti di panico, siamo sollevati dal realizzare che abbiamo fatto un brutto incubo. Ecco, immaginate la mia gioia quando mi sono resa conto che potevo comprare senza problemi un biglietto per Milano se ne avessi avuto voglia, che potevo andare a trovare i miei cugini a Torino e i miei amici a Bologna.

Ma ripensando al sogno, ho avuto modo di riflettere su due concetti a me molto cari. Il primo, è che la drammaticità di un'Italia spaccata in due non è una questione nazionalistica. Spesso io non mi sento nemmeno italiana, continuando a vivere in un equilibrio precario tra la mia condizione di apolide e di cittadina del mondo. La questione è piuttosto che non penso che possa essere un muro fisico a dividerci, quanto piuttosto la non comprensione del fatto che da qualsiasi parte del muro noi stiamo, siamo sempre esseri umani. Concentrazioni di energie e luce, che provano sentimenti ed emozioni.

L'altro concetto è quello della libertà di movimento. Mi piacerebbe riportare le parole rivolte alle popolazioni occidentali da parte di uno scrittore proveniente da un Paese in cui il tragedia del muro è quotidiana, la Palestina. “Non avete niente di cui noi dannati non possiamo fare a meno, a parte la libertà fisica e mentale di muoversi, di viaggiare chilometri e chilometri senza dover essere fermati e perquisiti in continuazione, poter passare da una città all'altra così, come se niente fosse, senza frontiere. Poter uscire e ritornare a casa come e quando vi pare. È la massima conquista che un essere umano possa sognare. E voi ce l'avete la libertà di movimento che fa la differenza tra l'uomo e il non uomo.” (Muin Musri).

Parole sacre, che mi fanno pensare a uno dei sogni da cui non vorrei mai svegliarmi. Un sogno che va oltre i confini italiani: si chiama cittadinanza universale. Qualcuno ne ha già parlato, qualcun altro ne parla ancora, alcuni tra i più coraggiosi hanno deciso di inserirla nelle loro Costituzioni, vedi alla voce Ecuador. Altri ancora la confondono con globalizzazione e omologazione, ma il suo nocciolo risiede più semplicemente nella libera mobilità di tutti gli abitanti del pianeta con un riconoscimento totale dei diritti che prescinda dalla nazionalità e quindi dal vivere all'interno di determinate frontiere politiche.

E' di nuovo notte, vado a dormire. Mi auguro di fare un sogno libero da fili spinati, muri e confini, in cui io possa muovermi senza restrizioni e possa considerare fratelli e sorelle coloro che mi circondano.

Buona notte a tutti.

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