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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 75 - 1 Dicembre 2010 | 0 commenti

Unificazione italiana e linguistica

Dall'italiano standard al neo – standard

Nel 1861 l'Italia fu unificata. Fatta l'Italia bisognava fare gli italiani e la prima tappa per l'omologazione nazionale, fu il costituirsi di una lingua comune per tutta la nascente nazione.

Si prese ad esempio, quindi, l'intento Manzoniano, e dapprima Dantesco, di uniformare il linguaggio della penisola al dialetto toscano, precisamente al fiorentino.
Con la legge Casati si formalizzava il sistema d'apprendimento formato da una prima scuola elementare, della durata di due anni e obbligatoria, e la scelta successiva tra Ginnasio e scuole tecniche.

Tutto ciò, tuttavia, non fece altro che aumentare il divario culturale tra classi sociali considerando che la scelta della scuola ginnasiale, prevedendo il pagamento di una tassa, poteva essere fatta solo da chi aveva disponibilità finanziarie adeguate.
Sul dibattito politico-culturale dell'epoca si mossero grandi voci come quella di Francesco De Sanctis e Pasquale Villari.

Oltre ad un dislivello culturale, la scelta di una lingua costruita a tavolino, comune a tutti gli italiani, pose un freno all'utilizzo delle forme dialettali di appartenenza regionale, creando quel doppio livello linguistico tra lingua formale e lingua quotidiana.

Il contributo contemporaneo che maggiormente sottolinea questa problematica, fu dato dall'intellettuale Pier Paolo Pasolini che da sempre si schierò a difesa delle forme dialettali, considerate espressione, non solo di un mezzo di comunicazione, ma di un'intera e complessa struttura di costumi e abitudini regionali.

Ma il dibattito potrebbe continuare fino ai giorni nostri; ora che i dialetti sono spariti, ma l'italiano standard ancora nessuno lo parla correttamente. E se fino a cinquant'anni fa nella letteratura rimanevano forme attestate del vero italiano, oggi anche questa barriera è stata sfondata. Difatti assistiamo, nella letteratura a noi contemporanea, all'utilizzo di forme sempre più comuni alla lingua parlata e sempre meno vicine a quell'italiano standard cui auspicavano gli intellettuali risorgimentali.

E piano piano, dalla lingua neo-standard che vede come fondatori scrittori del calibro di Calvino e Buzzati, assistiamo, oggi, a quell'imbarbarimento culturale e linguistico, di cui ha parlato, primo fra tutti, lo scrittore Alessandro Baricco.

Si muovono a stormi (i Barbari), guidati da un rivoluzionario istinto a creazioni collettive e sovrapersonali, e per questo mi ricordano la moltitudine senza nomi dei copisti medievali: in quel loro modo strano, stanno copiando la grande biblioteca nella lingua che è nostra. È un lavoro delicato, e destinato a collezionare errori. Ma è l'unico modo che conosciamo per consegnare in eredità, a chi verrà, non solo il passato, ma anche un futuro.” A. Baricco.

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