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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 78 - 1 Aprile 2011 | 0 commenti

Autobiografia di un'aspirante sognatrice

Come i sogni possono guidare le nostre vite ed essere fonte di i(n)spirazione per la creazione di nuovi orizzonti.
I sognatori, antichi ma ancora oggi indispensabili professionisti

 “Figlio/a, Ragazzo/a, cosa vuoi fare da grande?”.

Anche se forse ci sfuggono le risposte, penso che scavando nella memoria tutti siamo capaci di ricordare questa domanda. Magari se siamo disposti a sollevare un po’ di polvere dagli scatoloni riposti in soffitta, riusciamo persino a trovare quel famoso tema scritto alle  elementari su quello che sognavamo di diventare una volta varcata la porta della maturità.

Esistono mestieri e mestieri, ma se io potessi rispondere oggi a questa domanda, forse scriverei un trattato sul sogno. Io aspiro, infatti, a fare la sognatrice. I sogni fanno parte della nostra vita e sono la materia prima su cui lavorare per plasmare le nostre esistenze. Questo vale sia per quelli che facciamo ad occhi aperti sia per quelli che fuoriescono dal nostro inconscio più profondo mentre si dorme. I sogni ci raccontano molto di più di noi stessi di quanto razionalmente non siamo capaci di fare, ci guidano e sono i nostri maestri. Nel mondo antico, infatti, c’era un legame molto più stretto tra realtà e sogno. Sognare era considerata un’attività sacra e la comunità piuttosto che i re o i comandanti vi ricorrevano per avere delle risposte o dei consigli sulle azioni da compiere. Poi, l’età della ragione ha spazzato via i sogni o meglio li ha relegati a un ruolo di secondo piano rispetto alla realtà. A mio avviso però questa separazione basata sulla materia e sulla densità ci impedisce di sfruttare appieno le risorse provenienti dalle nostre visioni e il potere di cambiare la nostra vita e il mondo che ci circonda. Sempre e quando, qualcosa non ci soddisfi.

Mi sono convinta del potere dei sogni grazie a quella strada che tutti dovremmo percorrere per imparare: l’esperienza. Fin quando ho vissuto senza essere visceralmente in contatto con i miei sogni, ero come un pesce dentro un acquario, assolutamente inconsapevole di vivere in una bolla di vetro, immersa nell’acqua. Poi gli incontri della vita, il contatto con la natura, la necessità prima e il piacere poi di fermarsi, hanno risvegliato in me la voglia di sognare e la mia vita sta lentamente cambiando. Improvvisamente ho capito che non solo avevo sempre vissuto in un acquario e che stavo immersa nell’acqua, ma che quell’acqua non era la mia. Ho quindi sognato una “casa” senza vetri, senza limiti né confini. Ho capito che mi avevano raccontato (o meglio che mi ero raccontata) un sacco di menzogne. La prima è che l’acquario serve per mantenere i pesci in vita. La seconda è che se si cambia l’acqua di tanto in tanto si sta meglio. Infine, che ci sono anche gli acquari aperti. Quando il dubbio si è impossessato di me, e ho deciso che volevo vivere una vita in cui sogno e realtà sono connessi, allora ho compreso che un acquario resta pur sempre un acquario e che il mare è molto meglio.

Io non so se nasciamo come esseri sognanti, se lo diventiamo perché qualcuno ci stimola a farlo, o magari più misticamente un bel giorno veniamo illuminati come San Paolo sulla via verso Damasco. So solo che da quando aspiro a fare la sognatrice, i sogni guidino le mie scelte. Devo essere sincera. L’inizio è stato molto duro perché non sapevo nuotare, ma adesso imparo lentamente a godermi l’immensità di questa vasta distesa di acqua. A volte le giornate sono serene e tranquille, il mare è calmo e cristallino e gli altri esseri viventi che incontro sono tutti maestri da cui posso trarre un insegnamento. Ci sono poi i giorni in cui il mare è in tempesta, tutte le forme di vita sembrano ostili, ci sono pure le correnti, i vortici, i gorghi che ti sospingono verso i fondali con inaudita violenza.  In questi momenti, capita di chiedersi perché si è lasciato l’acquario dove si mangiava ogni giorno senza particolari sbattimenti e si viveva tutto sommato in una apparente quiete.

La risposta sta nelle storie che ci raccontiamo, o meglio nelle acque in cui nuotiamo. Ognuna ha il suo particolare sapore e quella dell’acquario è senza dubbio artificiale in quanto riproduce, attraverso processi fisico-chimici, o l’acqua del mare o quella di una fonte d’acqua dolce. Adesso, per quanto la scienza faccia progressi, a quell’acqua mancherà sempre qualcosa per essere perfetta per ognuno di noi. All’acqua degli acquari mancano i sogni. Quelli bisogna viverli scegliendo il mare o altre fonti d’acqua e affrontando la quiete e la tempesta che questi ci riservano.

In uno dei miei viaggi onirici, sono stata trascinata da un vortice che mi ha condotto a Marc Chagall, il famoso pittore bielorusso scampato alla Seconda Guerra Mondiale. Egli scriveva: "Mio padre aveva gli occhi azzurri, ma le sue mani erano piene di calli. Egli lavorava, pregava e taceva. Osservai le mie mani. Erano troppo delicate… Dovevo cercare un'occupazione che non mi costringesse a voltare le spalle al cielo ed alle stelle e che mi consentisse di trovare il senso della mia vita". Io il mare, lui il cielo e le stelle. Ma la materia prima è la stessa, il sogno. Mi viene sempre una domanda in testa nei momenti di tempesta: ma se Chagall non avesse seguito i suoi sogni, o se per dirla con le sue parole “avesse voltato le spalle al cielo e alle stelle”, come sarebbe oggi il mondo? Certo non possiamo dirlo. Sicuramente se Chagall non si fosse concesso la possibilità di essere così visionario e sognatore, non potremmo godere oggi di una delle produzioni artistiche più interessanti del Novecento.

E sulle splendide immagini dei  suoi quadri, pieni di segni e sogni, colorati e ricchi di emozione e vita, mi abbandono anche io alla visione di un mondo nuovo in cui siamo non tutti uguali (un retorismo a cui sento di non appartenere) ma tutti diversi, perché diversi sono i nostri sogni. Sogno infatti un mondo in cui la molteplicità sia valore anziché vergogna e se il mare in cui nuotiamo è abbastanza grande, ci sarà spazio per tutti. Un mondo in cui le tempeste, i vortici, persino la morte siano considerati una benedizione, perché scaraventandoci al fondale del mare, ci mettono in contatto con le nostre profondità. E questo incontro, più volte scontro, è importante perché ci fa trovare la forza di risalire alla superficie con una slada consapevolezza di noi stessi e un maggiore potere di incidere sulla realtà. Una realtà legata alla nostra capacità di sognare e guardare oltre. Ma forse questo vale solo per me che ho deciso di fare questo mestiere.

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