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Scritto da nel Numero 79 - 1 Maggio 2011, Politica | 0 commenti

Holiday trading


Gli economisti hanno sempre delle idee balzane e se non riuscite a capacitarvi di quanto esse lo siano potete dilettarvi a leggere la rubrica Caro economista edita settimanalmente su Internazionale. Per mio conto, discuto nelle prossime righe una tesi tipica che un dibattito tra economisti potrebbe serenamente ospitare.

Pensiamo se il mercato delle ferie fosse liquido, ovvero se non esistessero giorni di festa obbligatori, se fosse lasciato alle parti di decidere quando godere delle proprie ferie. All'incirca, in Italia, i contratti nazionali prevedono 28 giorni di ferie che distribuiti su settimane lavorative di 5 giorni concedono al lavoratore 5 settimane e mezzo di vacanza, la cui maggior parte spesso viene collocata ad agosto. E se invece che 28 avessimo 28 + 104 (ovvero i weekend moltiplicati per il numero di settimane) = 132 giorni di ferie su 365? Potrebbe non essere affatto male, perchè consentirebbe alle aziende di organizzarsi per 7 giorni su 7 il che in certi settori, specialmente neil terziario, potrebbe aumentare di gran lunga il servizio per i clienti e l'operatività dell'economia. Forse nei settori ancora legati alla produzione in catena porrebbe invece qualche superiore problema di coordinamento, ma potrebbe portare una certa innovazione.

Anzi, perchè fermarsi ai giorni. Di 365 giorni, 104 sono sabati e domeniche, 28 ferie e nei restanti 233 lavoriamo 8 ore al giorno: totale ore lavorate 1864 sulle 8760. Significa che lavorando ininterrottamente per 78 giorni potremmo assolvere il nostro debito con l'azienda. Certo, servirebbe un forte coordinamento tra le esigenze del lavoratore e quelle dell'azienda, ma consentirebbe di sviluppare agevolmente l'attività anche di notte e di portare il servizio a livelli di una metropoli that never sleeps!! Potrebbe essere fonte di opportunità per tutti questa innovazione.

Ma come tutte le geniali idee della scienza economica, si scontra con la realtà delle cose. Tante sarebbero le opportunità di sfruttamento dei più deboli, innanzitutto. Quale sarebbe la garanzia che in questo modo si combinerebbero veramente le esigenze, e non sarebbe invece un'occasione di sfruttamento del lavoro notturno?

Ma soprattutto in questa sede vorrei discutere il valore della festa comune. Di origine religiosa, quella della domenica veniva dedicata da parte di molti allo sport, praticato dai bambini alla mattina e dagli adulti professionisti il pomeriggio, oppure alla famiglia, o alla gita fuori porta. Così come quelle del Natale e della Pasqua.
Altrettanto quelle di origine laica, che celebrano le date nazionali o, per esempio, la nostra attuale festa del lavoro del Primo Maggio. La festa di tutti ha un valore di socialità che va al di là dei diritti delle persone, ovvero che non si esaurisce nel diritto al riposo (che in linea teorica potrebbe essere rispettato anche con la proposta che illustravo prima) ma ha una funzione attiva di condivisione del valore della festa e del lavoro.

E' in virtù del lavoro quotidiano che le persone possono festeggiare, celebrando la propria vita e la propria identità in un contesto internazionale di fratellanza e diritti. Non è da dimenticare il valore dello scambio di un garofano, dell'ascolto di un comizio sindacale, di un saluto in piazza ai vicini di casa e ai colleghi di lavoro, con i quali tutti i giorni si realizza il valore che la nostra opera cede alla società.

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