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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 79 - 1 Maggio 2011 | 0 commenti

Morire per delle idee

«Il nostro obiettivo è rompere l'assedio israeliano di Gaza, dimostrando tutta la nostra solidarietà alla popolazione palestinese. Importando a Gaza, insieme a qualche genere di prima necessità, anche noi stessi: insegnanti, medici, operatori umanitari e attivisti per i diritti umani. [...]
Siamo stanchi dell'inerzia della comunità internazionale, è ora che qualcuno si muova per cercare di frenare questo lento genocidio di innocenti. Cercando di rompere l'assedio, vogliamo restituire ai palestinesi una parte della loro libertà negata. Israele non ha alcun diritto di ostacolarci, di impedire a persone pacifiche di raggiungere Gaza navigando in acque internazionali e palestinesi, soprattutto dal momento che Israele ha dichiarato che non c'è più occupazione in Gaza» (Vittorio Arrigoni, A bordo della Free Gaza).



Quando il lavoro non è semplicemente un mezzo per sopravvivere ma una questione di vita, ogni parte del nostro corpo e della nostra mente s'impregna d'idee che ci fanno svegliare ogni giorno sempre con maggior vigore e determinazione: non è un cartellino senza alcun valore che dobbiamo timbrare ma è un equilibrio più profondo ed intimo che necessita di essere ristabilito, un legame semitrasparente con l'universo che c'inorgoglisce.

Per questi lavori le ore non contano, la retribuzione monetaria è una questione secondaria, qualora si abbia a disposizione il minimo indispensabile per sopravvivere. Il compenso è il migliore che qualsiasi lavoratore possa desiderare: la propria felicità, che in alcuni casi è legata alla felicità altrui, ed in quest'ultima circostanza il merito s'impreziosisce di un valore aggiunto inestimabile, considerando che solo una ristretta cerchia di eletti è disposta a morire per il perseguimento di un'idea.
Siamo così ossessionati dalla nostra pelle che a volte essa diventa la nostra idea da preservare.
Ma quest'ultima non è certo una caratteristica che si addice alle persone descritte nelle righe precedenti a quest'ultima.



Ci sono vari livelli di onorificenze.
Sicuramente la base da cui tutti dovremmo partire è l'interesse per ciò che succhierà la maggior parte delle nostre energie. Queste ultime, in effetti, verranno comunque prosciugate, anche contro la nostra volontà, anche se il lavoro in cui ci siamo imbattuti consiste in un “non lavoro”. In quest'ultimo caso, anzi, ci sarà un doppio dispendio energetico aggravato dalla non produttività e da un senso d'insoddisfazione che comanderà al cervello di dimezzare maggiormente quel flebile soffio vitale che ci sarà rimasto.
Insomma, la prospettiva data dalla mancanza d'interesse sembra essere catastrofica per il nostro benessere e per quello degli altri, quindi la speranza è che questo non manchi mai.

Il secondo livello è rappresentato dalla passione, ovvero molto semplicemente, la crescita esponenziale d'interesse.
La soddisfazione da questa scaturita è direttamente proporzionale alla perdita di coscienza dell'orario lavorativo e del salario. La nostra anima raggiungerà uno stato di grazia simile ad un eterna fase d'innamoramento.

E se questo stato di grazia gode di una forza centrifuga e prolifererà all'interno di altri esseri benedendoli con un analogo compiacimento, saremo arrivati al vertice e ci potremo godere la visione mozzafiato dall'alto.

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