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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 79 - 1 Maggio 2011 | 0 commenti

Ripresa senza occupazione

Se il bicchiere mezzo pieno è la ripresina che il sistema produttivo sta registrando negli ultimi mesi, le difficoltà sull'occupazione restano ancora il bicchiere mezzo vuoto. Donne e giovani rappresentano le criticità generali del mercato del lavoro, ma la novità più eclatante è che l'occupazione non sembrerebbe più andare di pari passo con il graduale ritorno all'attività di produzione all'interno delle imprese e potrebbe riflettere il ritardo della contrazione occupazionale dopo le prime avvisaglie della crisi iniziata nel 2008.
In Emilia-Romagna e in Toscana, infatti, il tasso di disoccupazione medio del 2010 è risultato in salita rispetto all'anno precedente, rispettivamente al 5,7% e 6,1% (da 4,8% a 5,8%), nonostante si sia registrato un incremento degli ordinativi, soprattutto dall'estero e almeno nella seconda metà dello scorso anno. La sostanziale stabilità del tasso di disoccupazione in Umbria (intorno al 6,6%) e addirittura la discesa del tasso di disoccupazione nelle Marche (dal 6,6% al 5,7%), rappresentano delle eccezioni non solo rispetto alla tendenza italiana (dove il tasso di disoccupazione è salito all'8,4%, dal 7,8% registrato nel 2009), ma anche nei confronti dell'andamento tendenziale di altre regioni produttive come il Veneto e la Lombardia.
«Certamente – dichiara Stefano Mastrovincenzo, segretario generale di Cisl Marche – il massiccio numero di cassintegrati, anche di lunga durata come dimostra il dato sulla Cig straordinaria in aumento nell'anno, può spiegare parzialmente questa anomalia marchigiana, ma nel contempo dare qualche preoccupazione in più per il futuro a breve». Il dato sorprendentemente positivo per le Marche, poi, si sposa bene con il più basso livello di disoccupazione femminile regionale (6,9%), rispetto alle altre regioni del Centro-Nord (7,0% in Emilia-Romagna, 7,5% in Toscana e 8,6% in Umbria) e con il secondo più basso livello di disoccupazione dei giovani con età compresa tra i 15 e i 24 anni (15,7%), rispetto a tutte le altre regioni d'Italia (solo il Trentino Alto Adige risulta più virtuosa con un tasso di disoccupazione giovanile pari al 10,1%). «A prima vista – spiega Mastrovincenzo – colpisce positivamente il dato sulla disoccupazione giovanile, che risulta di molto inferiore ai livelli nazionali, ma l'altissima percentuale di inattivi nella stessa fascia d'età, simile al dato nazionale e superiore a quello delle altre regioni del centro, fa però propendere per valutazioni non entusiastiche. I molti giovani inattivi, infatti, potrebbero essere solo studenti poco intenzionati a iscriversi ai centri per l'impiego, ma anche persone sfiduciate e demotivate ad una ricerca attiva di occupazione a causa del contesto complicato del mercato del lavoro».
Se potenzialmente l'indicatore della disoccupazione, che mette in relazione le persone in cerca di occupazione con la corrispondente popolazione di riferimento, potrebbe risultare fuorviante durante i periodi recessivi in cui molti disoccupati si scoraggiano e non cercano più lavoro, anche prendendo in esame il tasso di occupazione, che mette in rapporto gli occupati con la corrispondente popolazione di riferimento, non muterebbe il quadro appena descritto per il 2010 rispetto all'anno precedente.
A livello provinciale, la situazione del mercato del lavoro risulta ancora più diversificata di quella regionale, dove il tasso di disoccupazione varia dal 2,9% della provincia di Piacenza al 10,1% della provincia di Massa-Carrara. In tutti i casi, comunque, il quadro occupazione risulta sempre penalizzante quando si focalizza l'attenzione sui giovani e sulle donne. Per i primi, a risultare meno attrattiva è la provincia di Livorno, dove oltre un giovane su tre non riesce a trovare un posto di lavoro; mentre la più appetibile per giovani con età tra i 15 e i 24 anni la più dinamica e appetibile risulta la provincia di Pesaro-Urbino. Secondo Andrea Ichino, docente di Economia del lavoro all'Università di Bologna, «i giovani entrano tardi nel mercato del lavoro e quando entrano fanno fatica a trovare un impiego, in quanto il nostro diritto del lavoro tutela troppo il posto fisso di chi ha già un impiego rispetto a chi non lo ha ancora: motivo per cui trovo profondamente ipocrita la litania di chi lamenta gli alti tassi di inattività giovanile, ma non ha il coraggio di dire che questi rappresentano l'altra faccia della medaglia rappresentata dalla iper protezione dei maschi adulti capi famiglia». Per le donne, invece, l'annoso problema della partecipazione femminile risulta invariato al 2010, con punte di virtuosità nel Ravennate e nel Bolognese, che fanno registrare i più bassi tassi di inattività femminile dell'area (rispettivamente pari al 30,7% e 33,1%), ma mediamente in Italia una donna su due non appartiene a quella fascia di persone che potenzialmente possono o intendono lavorare. Sulle politiche attive e formative del lavoro da mettere in atto nei prossimi anni è molto netto il pensiero di Ichino, secondo cui «non possiamo permettercele perché per finanziarle dovremmo aumentare il prelievo fiscale che risulta già troppo alto in Italia e frenerebbe ulteriormente la crescita. Dobbiamo quindi pensare a delle soluzioni che siano a costo zero per il bilancio pubblico: nel caso dell'occupazione femminile, per esempio, la tassazione differenziata per genere potrebbe costituire per l'appunto una misura a costo zero per il bilancio pubblico e, anzi, ridurrebbe la pressione fiscale media».

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