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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 82 - 1 Agosto 2011 | 0 commenti

Italia ancora indietro sui livelli pre-crisi

Dopo il secondo trimestre del 2011 lo spauracchio di una nuova recessione mondiale potrebbe diventare una triste realtà. Ma anche restando al primo trimestre, fino a quando le cose sono andate abbastanza bene per l'economia mondiale, l'Italia è risultata attardata sul sentiero della ripresa.

Nel corso del 2010 l'economia italiana è tornata a crescere ad un ritmo contenuto (+1,3%), beneficiando soprattutto del ritorno di interesse straniero per i nostri prodotti manifatturieri, anche se risulta sempre più evidente l'incapacità del nostro Paese, innanzitutto rispetto al complesso dell'Area Euro, di agganciare la ripresa ciclica a livello globale. La debolezza della crescita economica, associata alla dimensione del debito pubblico e all'instabilità politica e normativa, pongono il nostro Paese in una condizione di retroguardia rispetto alla maggior parte delle economie occidentali.

Sulla base dei dati trimestrali pubblicati dall'Eurostat, l'Italia è tra i Paesi che faticano di più a recuperare i livelli reali di Pil pre-crisi, trovandosi nel primo trimestre del 2011 ancora indietro del 5,1% rispetto allo stesso periodo del 2008. Se Stati Uniti e Germania sono gli unici tra i Paesi avanzati ad avere recuperato il terreno perso durante il biennio recessivo, Francia e Olanda si stanno avvicinando molto a tale risultato. Anche Spagna e Gran Bretagna sono in una condizione leggermente più favorevole rispetto all'Italia, mentre l'Irlanda resta un Paese outsider, intrappolata nella crisi del debito sovrano e nel downgrading da parte delle agenzie di rating (in ventiquattro mesi dalla tripla A all'inferno dei junk bond).

Analizzando le componenti del dato aggregato emerge, tuttavia, qualche segnale congiunturale maggiormente positivo rispetto agli altri Paesi avanzati. Sempre nei primi tre mesi dell'anno e rispetto al primo trimestre del 2008, il livello della domanda interna italiana (-2,7%) risultava assai migliore rispetto a Gran Bretagna (-5,5%) e Spagna (-8,9%) e, comunque, meno distante dagli Stati Uniti di quanto non accadesse per il prodotto lordo. Alla base di tale risultato deve essere posta la minore intensità con cui la domanda estera ha trainato le nostre esportazioni rispetto a quanto avvenuto per Germania e Stati Uniti. È evidente, dunque, che la performance italiana migliora se il confronto avviene sulla base di un indicatore come la domanda interna, che non considera la maggiore spinta del commercio mondiale di cui hanno beneficiato gli altri Paesi avanzati e che dà conto di una sostanziale tenuta nei consumi domestici e di una crescita degli investimenti in beni strumentali, sulla spinta degli incentivi fiscali introdotti alla metà del 2009 ed esauritisi lo scorso giugno. Nonostante la flessione dei redditi delle famiglie in termini reali, infatti, i consumi delle nostre famiglie hanno tenuto meglio (-1,4%) di quanto avvenuto in Irlanda (-10,7%), Spagna (-4,6%), Gran Bretagna (-4,5%) e Olanda (-2,3%), senza avere fatto ricorso a costose politiche di stimolo, che hanno invece dato un impulso considerevole ai consumi di altri Paesi, quali Germania, Stati Uniti e Francia, tornati in terreno positivo (rispettivamente dell'1,2%, dell'1,6% e del 2,5%) già nel primo trimestre del 2011. A differenza dell'Italia, infatti, le cui strategie anti-crisi sono rimaste ancorate ai vincoli di bilancio e al controllo del deficit pubblico, tali Paesi hanno potuto mettere in campo durante il biennio recessivo, politiche di stimolo governativo e di deficit spending, con l'obiettivo di attutire l'impatto della crisi, finendo tuttavia per peggiorare significativamente i saldi di finanza pubblica. Alla luce di tali considerazioni, a spesa pubblica invariata, la dinamica della domanda interna risulta molto meno peggiorativa, in Italia rispetto a tutti gli altri Paesi di riferimento.

Occorre, però, segnalare che il calo del reddito disponibile in termini reali, in presenza di una moderata crescita della spesa, si è tradotto in una riduzione graduale della capacità (e non sempre della propensione) a risparmiare da parte delle famiglie italiane. In prospettiva, il ritmo di crescita dell'economia italiana dovrebbe continuare a collocarsi su livelli inferiori a quelli dei nostri principali partner europei. È proprio l'esiguità della crescita attesa, unitamente alle incertezze sugli aggiustamenti di finanza pubblica, ad avere creato nelle scorse settimane tensioni sui mercati finanziari, non unicamente riconducibili a comportamenti speculativi, che in ogni caso colpiscono quei Paesi appartenenti all'Unione Monetaria Europea ed evidenziano una “scommessa” contro il cattivo funzionamento della moneta unica.

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