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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 82 - 1 Agosto 2011 | 0 commenti

Lavoro, cercasi nuovo identikit lungo la via Emilia

Per tanti anni bastava girare lungo la via Emilia e bussare alle porte alle imprese per avere delle buone chance di tornare a casa con una decente proposta di lavoro. Se poi si era giovani, tale fiducia diventava una certezza, e se si era donne, il giusto contesto culturale ed economico (alta presenza di industrie ad alta intensità di lavoro femminile) favoriva, più che altrove, le condizioni anche per un impiego femminile. Non solo la crisi economica ha cambiato tale prospettiva, visto che negli ultimi mesi – così come è avvenuto per tutto il territorio nazionale – la debole ripresa dei livelli di attività ha stentato a tradursi in un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, ma forse è cambiato l'identikit del lavoratore che può essere accolto e impiegato nel sistema produttivo manifatturiero di tutta l'Emilia-Romagna, sia pur con delle differenziazioni territoriali.

È il segretario generale della Cisl Emilia-Romagna, Giorgio Graziani, a fotografare la straordinaria evoluzione dello scenario che si va di anno in anno consolidando in questo territorio. «Se fino a qualche anno fa – spiega il rappresentante sindacale regionale -, l'offerta manifatturiera diversificata lungo la via Emilia offriva una buona possibilità di occupazione a tutti i profili, e poco contava essere maschio o femmina, giovane o anziano, nel mondo post-crisi sono certamente più avvantaggiati chi possiede una qualifica tecnica, tipicamente uomini di media età, a discapito di chi può contare solo su dei buoni titoli, tipicamente giovani».

Da evidenziare poi alcune tendenze interessanti in regione, che si inseriscono in questo quadro di riferimento, peraltro caratterizzato sicuramente da un uso trasversalmente più intensivo dei rapporti di lavoro flessibili. «Se da un lato – continua Graziani – perde appeal il lavoro femminile, a causa della crisi in quei settori maggiormente caratterizzati dall'utilizzo di lavoro femminile, come quello della ceramica e del tessile, dall'altro lato una struttura del mercato del lavoro ad elevata presenza manifatturiera e scarso apporto di terziario innovativa continua a privilegiare il lavoro straniero, spesso non scolarizzato ma con un certo percorso di apprendimento, rispetto a quello italiano, caratterizzato da giovani con un grado di istruzione molto avanzato ma sempre più scoraggiati nel cercare una posizione adeguata alle competenze teoriche acquisite». Non vi è dubbio che in Emilia-Romagna il livello di disoccupazione resta nel 2010 tra i più bassi d'Italia (5,7%), in linea con le altre regioni caratterizzate dalla stessa vocazione produttiva e internazionale come Lombardia (5,6%), Veneto (5,8%) e Marche (5,6%). Tuttavia, lo stesso dato risulta in peggioramento qualora il confronto venisse fatto soltanto con un lustro addietro, quando l'Emilia-Romagna faceva segnare un tasso di disoccupazione pari a 3,4% contro il 3,7% della Lombardia, il 4,0 del Veneto e il 4,5% delle Marche.

A pesare, in questo confronto, sono soprattutto i dati sulle donne e sui giovani che, mentre per gli altri territori hanno sempre rappresentato le generali criticità del mercato del lavoro nel suo complesso, in Emilia-Romagna fanno raggiungere e conoscere per la prima volta in questi mesi dei livelli statistici che non la vedrebbero più come un baluardo nazionale contro la scarsa partecipazione femminile e giovanile al lavoro. A tal proposito, dal recente Rapporto regionale di Banca d'Italia, si legge che nel corso del 2010 «la riduzione del numero di occupati è stata del 6,6% per i lavoratori con 15-34 anni, a fronte di un incremento dell'1,2% per quelli con oltre 35 anni di età. L'occupazione femminile è diminuita in misura maggiore rispetto a quella maschile (rispettivamente -1,3% e -0,8%), in controtendenza rispetto al corrispondente dato nazionale (in Italia l'occupazione femminile è stata stazionaria a fronte di un calo dell'1,1% di quella maschile)». In particolare, è interessante far notare che nella via Emilia si sta allargando gradualmente la forbice tra il tasso di disoccupazione maschile e quella femminile. Alla vigilia della crisi economica, nel 2007, il tasso di disoccupazione per le donne era pari al 3,9%, mentre quello degli uomini al 2,1%, con un gap di 1,8 punti percentuali. Di contro, sempre in quello stesso anno, il gap tra il tasso di disoccupazione maschile e femminile risultava in Veneto pari al 3,2%, in Lombardia all'1,9%, in favore degli uomini. Passando al 2010, invece, in Emilia-Romagna la distanza tra i due dati ha fatto registrare un allargamento pari al 2,4% in favore degli uomini, contro l'1,6% per la Lombardia e un 2% per il Veneto. Anche le vicine regioni delle Marche, Toscana e Umbria hanno fatto segnare una riduzione di tale forbice tra disoccupazione maschile e femminile.

Certamente l'Emilia-Romagna partiva da dati più favorevoli, ma tale fenomeno contrastante rispetto alla dinamica delle altre regioni comparabili o di riferimento è il segno del perdurare della crisi e del peggioramento delle condizioni delle fasce più deboli, e segnala nel contempo un problema molto più rilevante per il prossimo futuro. Se tale disoccupazione non sarà riassorbita, non vi sarà che attendersi una crescita del tasso di inattività delle donne. Un dato quest'ultimo che, almeno per oggi, si assesta ancora su dei buoni livelli (28,4% nel 2010 su un livello molto simile alla situazione pre-crisi).

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