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Scritto da nel Internazionale, Numero 85 - 1 Dicembre 2011 | 0 commenti

Che cosa resta della Primavera araba

Ad oltre un anno dalla cosiddetta "Primavera araba" proviamo a tracciare un bilancio su un'ondata rivoluzionaria di cui sono stati protagonisti soprattutto i giovani e internet. Era il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid, nella provincia della Tunisia quando un giovane, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco in un gesto di protesta contro le violenze della polizia, scatenando una sommossa popolare che di lì a poco avrebbe obbligato Ben Ali a fuggire dal paese.
La rivoluzione tunisina, che aveva colto di sorpresa il mondo intero assunse una maggiore rilevanza quando un’analoga protesta scoppiò in Egitto, e a seguire in Algeria, Giordania e Yemen: la primavera araba si compì definitivamente con la crisi Libica.
Nel frattempo un altro fronte della Primavera Araba si apriva in Siria dove si scatenava la dura repressione del regime di Damasco. La rivolta siriana ha attirato l’attenzione del mondo per la brutalità della reazione delle forze di sicurezza fedeli al regime, ed anche per la complessa questione etnica e confessionale che compone il tessuto sociale del paese.
Se il regime siriano dovesse crollare, le "conseguenze", potrebbero essere imprevedibili,  in primo luogo in Libano, a seguire in Palestina, in Iraq, e nella stessa Giordania. La Siria è poi un alleato storico della Russia, e ha rapporti "intensi" con la Cina. Cosa resta della Primavera araba?
La Tunisia si è incamminata verso una transizione democratica piena di incognite, l'Egitto è dilaniato dagli ultimi episodi di piazza Tahrir mentre Siria e Yemen sono caduti in una crisi  apparentemente senza via d'uscita. Marocco e Giordania hanno avviato un processo di “riforme” tutte da verificare mentre l'Algeria sembra essere riuscita ad imporre una forma di democrazia tutta da verificare.
Tutti i paesi coinvolti nella rivoluzione devono fare i conti con una grave situazione economica, caratterizzata da un’elevata disoccupazione e da enormi attese di riforma sociale, per esempio in Egitto che in Tunisia il dibattito politico ruota attorno alla necessità di redigere una nuova costituzione. Naturalmente va tenuto conto anche delle spaccature tra forze islamiche e laiche, che rischia di paralizzare il panorama politico fino a compromettere il processo di riforme, in uno scenario politico che si caratterizza per la frammentazione partitica: decine di nuovi partiti sono nati in Egitto come in Tunisia. In un panorama così incandescente resta insoluta la questione israelo – palestinese, punto nodale della crisi cronica del medioriente: le rivoluzioni incompiute, le ossessioni di Israele con l'Iran, gli Stati Uniti e l'ONU che restano alla finestra. In questo momento il medioriente non è una priorità per la comunità internazionale, essendo Europa e Stati Uniti alle prese con la crisi economica.
Tuttavia in un quadro così incerto e confuso appare una certezza: le masse popolari affamate, dopo decenni e decenni di assenza, entrano direttamente da protagoniste sulla scena politica e difficilmente abbasseranno il capo di fronte ad un nuovo Mubarak o Ben Alì.

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