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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 85 - 1 Dicembre 2011 | 0 commenti

The day after lo spread

Che le dinamiche creditizie rappresentino uno strumento importante per rappresentare l’evoluzione economica congiunturale e una leva, quantomeno di breve periodo, per rincorrere alcune traiettorie di sviluppo, è dimostrato dalla scelta di signaling che la nuova governance della Banca Centrale Europea (BCE) ha voluto dare a tutti gli Stati membri.

Proprio in uno scenario di angoscia generalizzata per la crisi dei debiti sovrani e di disorientamento su quale debba essere il ruolo della BCE, tra la vocazione di autorità indipendente e la missione al sostegno di una politica economica europea non proprio neutrale, la decisione di ridurre di un quarto di punto percentuale i tassi di riferimento, portando quello principale all’1,25%, quello marginale al 2% e quello sui depositi allo 0,5%, non riflette tanto e solo un’iniezione di fiducia nei confronti di una stretta di liquidità che affligge gli istituti di credito europei. Piuttosto, l’accresciuta consapevolezza sulle aspettative negative di output gap ha accelerato la volontà politica di sostenere la domanda di credito in tutta Europa, in una fase congiunturale in cui i mutui destinati all’acquisto di abitazioni (che rappresentano oltre il 70% dei prestiti complessivi) hanno iniziato a far registrare, per la prima volta dal 2009, un graduale rallentamento dal primo trimestre del 2011 (+4,6%) al terzo periodo (+4,0%), la cui tendenza probabilmente si acuirà negli ultimi tre mesi dell’anno con il manifestarsi degli impulsi recessivi dell’“ottobre nero”.

A fronte di un calo della domanda diffuso in tutti Paesi europei, seppur con alcune accentuazioni in Italia delle quali si daranno conto nel paragrafo successivo, le politiche dell’offerta, invece, risultano ancora abbastanza differenziate. Non solo nella selettività con cui le banche concedono prestiti a un settore, come quello immobiliare e delle costruzioni, troppo incriminato dai riflessi della crisi finanziaria, o nella più o meno velata intenzione di alleggerire il peso dell’esposizione creditizia nei confronti dello stesso, ma anche nella capacità di prezzare correttamente il rischio e di adeguare le perdite attese ai tassi di interesse. Così, ad esempio, ammesso che la banca di riferimento conceda il mutuo o la famiglia in questione lo richieda davvero, l’onerosità dei finanziamenti risulta già oggi molto variabile tra Paesi europei, nonostante il costo della materia prima (denaro) sia uguale per tutti e l’immissione di liquidità sul mercato sia stata abnorme.

Se tale discrepanza si amplierà ulteriormente nei prossimi mesi per gli effetti a cascata dell’impennata del differenziale italiano sul Bund, è importante sottolineare che senza considerare tale spread “congiunturale”, causato dalle valutazioni dei mercati a partire dallo scorso luglio, una diversa politica di offerta del credito da parte delle banche mostrava già nei mesi precedenti uno spread “strutturale” dell’ordine dei 70 punti base tra i tassi di interesse applicati sui mutui per l’acquisto di abitazioni a livello europeo e quelli praticati in Italia. Stando all’ultimo dato disponibile e riferito al mese di settembre, il tasso di riferimento per i mutui residenziali di durata oltre i dieci anni è pari al 4,64 per l’Italia e 4,02 per la media europea. Il più alto costo del credito pagato non riflette tanto la differenza di rischiosità delle famiglie italiane rispetto a quelle europe, peraltro di gran lunga meno patrimonializzate, quanto la necessità delle banche italiane di “tradurre” e “trasferire” una maggiore difficoltà di funding (dall’interbancario ai covered bonds, dai depositi alle obbligazioni bancarie) in selezione della domanda e inasprimento delle condizioni del credito, specie quando il sottostante è legato al settore immobiliare le cui prospettive sono incerte nel medio periodo e il cui valore di libro delle garanzie collaterali risulta penalizzato da un accresciuto grado di illiquidità registrato negli ultimi mesi.

Sono valutazioni che, sull’onda del differente rischio Paese all’interno dell’Europa e sulla diversa capacità di mercato di fare raccolta a breve termine, potranno ulteriormente peggiorare il quadro descritto, con una situazione decisamente più sfavorevole per l’Italia che nel contempo dovrà affrontare la sfida della ricapitalizzazione bancaria e il delicato meccanismo di trasmissione delle maggiori difficoltà di approvvigionamento ai tassi di mercato.

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