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Scritto da nel Internazionale, Numero 85 - 1 Dicembre 2011 | 0 commenti

Ultras per la libertà

Il day-after della rivolta di Piazza Tahrir assomiglia molto a quello precedente: i dimostranti in piazza vengono aggrediti dalla violenza governativa. Come tutti i domani è il giorno prima di un dopodomani, un day-before, ove il domani atteso oggi è il giorno che nei prossimi mesi sancirà il risultato delle elezioni.

L'attuale situazione evidenzia la difficoltà di stabilire le sorti di un sistema politico con la sola rappresentazione delle istanze democratiche. La dinamica in atto presenta tratti in comune con la costruzione della nostra democrazia negli anni Quaranta: alla violenza si risponde con la clandestinità e con l'edificazione di corpi intermedi organizzati e tendenzialmente autosufficienti. In Italia erano stati i partiti a resistere durante il fascismo, mentre in Egitto le associazioni sopravvissute a Mubarak sono i Fratelli Musulmani e i gruppi ultras che, di fronte alle necessità del Paese, hanno messo da parte la fede calcistica per unirsi a fronteggiare, con qualche successo, le cariche della polizia.

In Italia l'aggregazione delle persone allo stadio è al momento ferocemente combattuta, nel silenzio generale di un Paese sempre più individualista: il meccanismo delle diffide, lasciato alla piena discrezionalità della polizia, afferma l'assenza del diritto nella gestione della libertà delle persone che per passione frequentano lo stadio e che in quel luogo realizzano momenti di libera associazione a carattere ludico e di svago. Libertà per gli ultras è uno slogan che rappresenta la richiesta di un processo per direttissima (dal quali spesso il diffidato esce assolto) invece che un sistema di arbitrio che toglie la libertà personale infischiandosene della tripartizione dei poteri. Ultras per la libertà significa che la giunta militare non potrà spiccare nessun Daspo per le manifestazioni di piazza e arrestare il processo di conquista della democrazia.

Quello che voglio sottolineare è che i corpi intermedi sono la struttura minima necessaria a difendere la libertà. Il modello americano prevede che ogni cittadino abbia il diritto di essere armato per difendersi dallo Stato, ma è evidente che da solo nulla effettivamente potrà opporre ai Marines. In piazza Tahrir stiamo scoprendo che i manifestanti raccolti dai social-network per uscire dal computer ed entrare nella democrazia sociale hanno bisogno di organizzarsi sul campo. E' impossibile che si superi una struttura autocratica senza passare dal confronto tra istanze sociali ed è impossibile che queste istanze si confrontino tra loro se non si organizzano e confrontano al loro interno.

La nostra Costituzione lo sa bene. Meno lo sanno le Questure uscite aministiate nel day after del fascismo. La nostra politica orfana dei partiti dell'articolo 49 e la nostra società senza la forza dei sindacati dell'articolo 39 lo sta dimenticando, o meglio preferisce dimenticarlo quando a parlare di sicurezza è un Ministro dell'Interno di un partito che millantava migliaia di persone in armi nelle valli.

Non sono i verbali delle Questure a scrivere la storia, non lo saranno neanche le cariche della polizia che a Piazza Tahrir si arresteranno di fronte alla consapevolezza di un popolo che sta muovendo i primi passi verso la sua libertà, conquistata a viso aperto contro il volto coperto di uno sbirro infame.

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