Ragioni e sterilità della protesta dei forconi
Il Movimento dei “Forconi” nasce in primo luogo dalla crisi dell'agricoltura. Sono stati proprio i contadini, i piccoli e medi proprietari terrieri ad aver innescato la protesta, con motivazioni piuttosto semplici: il prezzo irrisorio delle merci all'ingrosso e l'aumento esponenziale dei costi di produzione, in modo particolare quelli relativi al trasporto a causa dell'aumento di carburante. Da qui, l'immediato legame con gli autotrasportatori, che reclamano giustappunto sgravi fiscali direttamente alla pompa di benzina e un intervento del governo per ridurre le polizze assicurative, impennatosi anch'esse in maniera apparentemente ingiustificata, al sud più che al nord.
Gli agricoltori non riescono più a pagare le tasse. Chiedono al governo un congelamento della riscossione fiscale per dare modo alle aziende di «riprendersi dalla crisi economica». In situazione di passività, inoltre, per le imprese si innesca un circolo vizioso che non permette loro di accedere al credito bancario né di partecipare alle gare di appalto pubbliche.
Tra gli aspetti cruciali che determinano la crisi di vendita dei prodotti agricoli nostrani, sui quali il governo non può esimersi dall'intervenire, occorre segnalarne almeno un paio. Innanzitutto, si consuma troppo poca merce locale. Un Paese che produce beni di qualità media molto elevata e di una varietà invidiabile, non può importare così tanta frutta e verdura e cereali dall'estero. Occorre incentivare l'acquisto del prodotto locale, per il bene delle aziende nazionali, del consumatore e dell'ambiente. Propedeutico a ciò, è l'inasprimento dei controlli e la repressione dei cartelli che si sono creati fra i grossisti della filiera della commercializzazione, che impongono prezzi stracciati ai produttori, che sono costretti a cedere visto la deperibilità delle loro merci, che altrimenti verrebbero buttate. Sarebbe opportuno un più diretto contatto tra produttore e consumatore, tagliando o diminuendo gli intermediari commerciali.
Gli agricoltori reclamano un cambiamento immediato, anche se un po' utopistico e indefinito. Così come gli autotrasportatori, che hanno paralizzato l'Italia per una settimana, in modo particolare in Sicilia e Calabria. Le frustrazioni dei camionisti sono condivisibili: anche qui mancato credito da parte delle banche, tempi impossibili per la riscossione delle merci, committenza rapace e prepotente, disinteresse della classe politica e sindacato incapace di tutelare i loro diritti.
Lo sciopero dei tir è stato particolarmente incisivo sulla nostra quotidianità perché oltre l'85% delle merci in Italia viaggia su gomma e per le modalità che consentono un enorme potere di ricatto, visto che la protesta di una minoranza ben organizzata di componenti di questa categoria può bloccare, come si è verificato nel Mezzogiorno, ogni genere di rifornimento. Tuttavia pare che ciò non sia bastato a sensibilizzare il governo dei tecnici, che non ha prestato molta attenzione a questa vertenza.
In Sicilia e Calabria si sono registrati i disagi maggiori. Più che la merce nei supermercati, dotati di abbondanti scorte, è stato il carburante a fare impazzire gli automobilisti meridionali, causando razionamento della benzina ed una straordinaria vivibilità delle città, non intasate da auto. C'è stato chi ha addirittura scoperto l'esistenza dei mezzi pubblici. In ogni caso, la necessità di un uso parco dell'automobile ha responsabilizzato un po' tutti i calabresi e siciliani, elevando il rispettivo tasso di civiltà.
La protesta dei Forconi è comunque soprattutto siciliana. Si è diffusa rapidamente in tutta Italia in quanto il malcontento è piuttosto diffuso ed è determinato da cause simili. La Calabria è stata contaminata dallo sciopero piuttosto rapidamente ed ha avuto effetti probabilmente ancora più incisivi che nella Sicilia stessa: ma ciò è avvenuto prevalentamente a causa delle caratteristiche morfologiche del territorio.
Ciò che appare strano di questa vertenza è il timing con cui si è verificata. Ovvero questi indignati (a buona ragione) hanno aspettato che si insediasse un nuovo governo per rivolgerli contro una rabbia che ha forti connotati tipici dei movimenti meridionalisti: la criminalizzazione delle tasse e dello Stato causa di tutti i mali. In fondo, a questa situazione i siciliani sono stati condotti anche da un esecutivo centrale che hanno osannato e sostenuto con picchi di consenso «bulgari» (basta ricordare il 61 a 0 nei collegi isolani inflitto dal Polo delle Libertà all'Ulivo alle elezioni legislative del 2001).
Infatti l'aumento del 40% del carburante in un anno, che è una cifra folle, non è da attribuire esclusivamente al governo Monti, così come le altre cause che stanno determinando la crisi economica in tutti i settori citati; gli esecutivi precedenti, da quelli democristiani fino all'era berlusconiana, hanno di fatto creato e mantenuto un sistema scarsamente efficiente che ha gonfiato a dismisura il debito pubblico e penalizzato fortemente l'agricoltura e l'indotto che la riguarda. Occorre altresì aggiungere che proprio la classe politica siciliana è una delle più privilegiate e numerose in rapporto agli abitanti: a dimostrarlo sono gli stipendi di consiglieri regionali e assessori, la quantità di portaborse e di amici e parenti «sistemati» dagli stessi politici. Mentre le condizioni economiche e sociali più o meno velocemente si deterioravano, nessuno dei tanti gruppi che hanno aderito alla protesta dei forconi (oltre ad agricoltori ed autotrasportatori anche pescatori, ingegneri, piccoli imprenditori, studenti, disoccupati ecc.) ha sollevato con cotanto vigore queste recriminazioni allorquando era il Popolo delle Libertà a governare; forse proprio perché la maggior parte dei manifestanti ha sostenuto sempre proprio quel centrodestra che fino a pochi mesi fa negava la gravità della crisi economica.
Il movimento dei Forconi non ha ufficialmente colore politico, anche se Forza Nuova ha provato a diventare la bandiera di questa protesta inneggiando alla moneta popolare. Martino Morsello, l'unico tra i leader della vertenza che non ha preso le distanze dal partito di estrema destra, è stato espulso dallo stess
o movimento. La presenza di singoli esponenti della malavita tra i manifestanti non può voler per forza indicare l'esistenza dello zampino della mafia nell'organizzazione dei blocchi stradali.
In definitiva, può essere ragionevole sostenere che la protesta dei Forconi è dettata semplicemente dalla disperazione, dalla complicata situazione economica di molti lavoratori, che non intravedono la luce in fondo al tunnel. Le annunciate riforme del governo spaventano come è tipico di ogni mutamento dello status quo, anche se effettivamente la sostanza e l'efficacia di queste ultime è tutta da verificare. L'ulteriore impennata dei prezzi del carburante è stata solamente la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche se rimane un mistero il perché la protesta sia esplosa solamente in queste settimane, visto che la crisi nei settori agricolo e ittico e dei trasporti si sta palesando da anni, con periodi di maggiore e minore intensità.
Difficilmente il movimento otterrà delle risposte positive dal governo, anche perché le richieste sono troppo vaghe e poco circostanziate. Del resto chi non vorrebbe vedere diminuire il costo della benzina, dimezzare le tasse e maggiormente tutelati i propri diritti. L'adesione meramente numerica pare piuttosto esigua rispetto alle categorie che il movimento sostiene ora di abbracciare. Inoltre, all'interno dei Forconi si sono già consumate delle rotture. Allora più che di rivoluzionari si tratta dell'ennesima spia del malcontento popolare indirizzata al potere. Che farebbe bene a prestare più attenzione all'economia reale che alla finanza, se vuole scongiurare proteste più serie e pericolose.
Gli agricoltori non riescono più a pagare le tasse. Chiedono al governo un congelamento della riscossione fiscale per dare modo alle aziende di «riprendersi dalla crisi economica». In situazione di passività, inoltre, per le imprese si innesca un circolo vizioso che non permette loro di accedere al credito bancario né di partecipare alle gare di appalto pubbliche.
Tra gli aspetti cruciali che determinano la crisi di vendita dei prodotti agricoli nostrani, sui quali il governo non può esimersi dall'intervenire, occorre segnalarne almeno un paio. Innanzitutto, si consuma troppo poca merce locale. Un Paese che produce beni di qualità media molto elevata e di una varietà invidiabile, non può importare così tanta frutta e verdura e cereali dall'estero. Occorre incentivare l'acquisto del prodotto locale, per il bene delle aziende nazionali, del consumatore e dell'ambiente. Propedeutico a ciò, è l'inasprimento dei controlli e la repressione dei cartelli che si sono creati fra i grossisti della filiera della commercializzazione, che impongono prezzi stracciati ai produttori, che sono costretti a cedere visto la deperibilità delle loro merci, che altrimenti verrebbero buttate. Sarebbe opportuno un più diretto contatto tra produttore e consumatore, tagliando o diminuendo gli intermediari commerciali.
Gli agricoltori reclamano un cambiamento immediato, anche se un po' utopistico e indefinito. Così come gli autotrasportatori, che hanno paralizzato l'Italia per una settimana, in modo particolare in Sicilia e Calabria. Le frustrazioni dei camionisti sono condivisibili: anche qui mancato credito da parte delle banche, tempi impossibili per la riscossione delle merci, committenza rapace e prepotente, disinteresse della classe politica e sindacato incapace di tutelare i loro diritti.
Lo sciopero dei tir è stato particolarmente incisivo sulla nostra quotidianità perché oltre l'85% delle merci in Italia viaggia su gomma e per le modalità che consentono un enorme potere di ricatto, visto che la protesta di una minoranza ben organizzata di componenti di questa categoria può bloccare, come si è verificato nel Mezzogiorno, ogni genere di rifornimento. Tuttavia pare che ciò non sia bastato a sensibilizzare il governo dei tecnici, che non ha prestato molta attenzione a questa vertenza.
In Sicilia e Calabria si sono registrati i disagi maggiori. Più che la merce nei supermercati, dotati di abbondanti scorte, è stato il carburante a fare impazzire gli automobilisti meridionali, causando razionamento della benzina ed una straordinaria vivibilità delle città, non intasate da auto. C'è stato chi ha addirittura scoperto l'esistenza dei mezzi pubblici. In ogni caso, la necessità di un uso parco dell'automobile ha responsabilizzato un po' tutti i calabresi e siciliani, elevando il rispettivo tasso di civiltà.
La protesta dei Forconi è comunque soprattutto siciliana. Si è diffusa rapidamente in tutta Italia in quanto il malcontento è piuttosto diffuso ed è determinato da cause simili. La Calabria è stata contaminata dallo sciopero piuttosto rapidamente ed ha avuto effetti probabilmente ancora più incisivi che nella Sicilia stessa: ma ciò è avvenuto prevalentamente a causa delle caratteristiche morfologiche del territorio.
Ciò che appare strano di questa vertenza è il timing con cui si è verificata. Ovvero questi indignati (a buona ragione) hanno aspettato che si insediasse un nuovo governo per rivolgerli contro una rabbia che ha forti connotati tipici dei movimenti meridionalisti: la criminalizzazione delle tasse e dello Stato causa di tutti i mali. In fondo, a questa situazione i siciliani sono stati condotti anche da un esecutivo centrale che hanno osannato e sostenuto con picchi di consenso «bulgari» (basta ricordare il 61 a 0 nei collegi isolani inflitto dal Polo delle Libertà all'Ulivo alle elezioni legislative del 2001).
Infatti l'aumento del 40% del carburante in un anno, che è una cifra folle, non è da attribuire esclusivamente al governo Monti, così come le altre cause che stanno determinando la crisi economica in tutti i settori citati; gli esecutivi precedenti, da quelli democristiani fino all'era berlusconiana, hanno di fatto creato e mantenuto un sistema scarsamente efficiente che ha gonfiato a dismisura il debito pubblico e penalizzato fortemente l'agricoltura e l'indotto che la riguarda. Occorre altresì aggiungere che proprio la classe politica siciliana è una delle più privilegiate e numerose in rapporto agli abitanti: a dimostrarlo sono gli stipendi di consiglieri regionali e assessori, la quantità di portaborse e di amici e parenti «sistemati» dagli stessi politici. Mentre le condizioni economiche e sociali più o meno velocemente si deterioravano, nessuno dei tanti gruppi che hanno aderito alla protesta dei forconi (oltre ad agricoltori ed autotrasportatori anche pescatori, ingegneri, piccoli imprenditori, studenti, disoccupati ecc.) ha sollevato con cotanto vigore queste recriminazioni allorquando era il Popolo delle Libertà a governare; forse proprio perché la maggior parte dei manifestanti ha sostenuto sempre proprio quel centrodestra che fino a pochi mesi fa negava la gravità della crisi economica.
Il movimento dei Forconi non ha ufficialmente colore politico, anche se Forza Nuova ha provato a diventare la bandiera di questa protesta inneggiando alla moneta popolare. Martino Morsello, l'unico tra i leader della vertenza che non ha preso le distanze dal partito di estrema destra, è stato espulso dallo stess
o movimento. La presenza di singoli esponenti della malavita tra i manifestanti non può voler per forza indicare l'esistenza dello zampino della mafia nell'organizzazione dei blocchi stradali.
In definitiva, può essere ragionevole sostenere che la protesta dei Forconi è dettata semplicemente dalla disperazione, dalla complicata situazione economica di molti lavoratori, che non intravedono la luce in fondo al tunnel. Le annunciate riforme del governo spaventano come è tipico di ogni mutamento dello status quo, anche se effettivamente la sostanza e l'efficacia di queste ultime è tutta da verificare. L'ulteriore impennata dei prezzi del carburante è stata solamente la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche se rimane un mistero il perché la protesta sia esplosa solamente in queste settimane, visto che la crisi nei settori agricolo e ittico e dei trasporti si sta palesando da anni, con periodi di maggiore e minore intensità.
Difficilmente il movimento otterrà delle risposte positive dal governo, anche perché le richieste sono troppo vaghe e poco circostanziate. Del resto chi non vorrebbe vedere diminuire il costo della benzina, dimezzare le tasse e maggiormente tutelati i propri diritti. L'adesione meramente numerica pare piuttosto esigua rispetto alle categorie che il movimento sostiene ora di abbracciare. Inoltre, all'interno dei Forconi si sono già consumate delle rotture. Allora più che di rivoluzionari si tratta dell'ennesima spia del malcontento popolare indirizzata al potere. Che farebbe bene a prestare più attenzione all'economia reale che alla finanza, se vuole scongiurare proteste più serie e pericolose.