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Scritto da nel Numero 86 - 1 Febbraio 2012, Scienza | 0 commenti

Trasporti low coast

Verte quasi sempre tutto intorno ai soldi. Perché mai dovrebbe sfuggire alla regola la materia dei trasporti? Quale sia l’essenza filosofica del viaggio è difficile dire e probabilmente bisognerebbe partire scindendo il viaggio di “dovere” da quello di “piacere”. Sul primo debbono applicarsi metodiche di intervento politico-amministrativo che abbiano una ratio molto semplice, quale quella di permettere a chi deve muoversi, per lavoro, per esigenze personali, per ricongiungimenti familiari, di farlo comodamente, in tempi ragionevoli ed a prezzi accettabili. Diverso il discorso per il viaggio di piacere che forse affonda le radici in un atavico bisogno di nomadismo, tipico dell’uomo quando le genti non erano stanziali ma si muovevano periodicamente ad esplorare nuovi territori. Su questa seconda tipologia di viaggio occorre un affinamento dell’analisi. In primo luogo va fatto un ragionamento sullo sviluppo parossistico negli ultimi vent’anni dei trasporti low cost, cioè a poco prezzo.

A chi giova? Senz’altro alle compagnie aeree e marittime ma pacchetti simili recentemente vengono proposti anche dalle aziende ferroviarie, pubbliche e private, nonché dai gestori di bus turistici. Giova sicuramente anche agli operatori turistici e al commercio mondiale, di conseguenza alle casse degli Stati. Infine giova alla nostra vanità che viene corroborata dalla possibilità di mostrare i video dei safari africani agli amici o di raccontare al bar quanto sono affascinanti i grattacieli di Shangai.

Partiamo pure dal presupposto della “democratizzazione” del viaggio che viene garantita dai trasporti low cost. La linea difensiva arringherà sostenendo che non era equo che la vista delle meraviglie del mondo ma anche la mondanità delle crociere dovesse rimanere appannaggio dei soli ceti ricchi. Forse è vero ma è discutibile che i concreti processi democratici debbano incentrarsi sulla globalizzazione oltre che delle merci anche dei luoghi geografici. Voglio dire che come ho dubbi sul fatto che fosse necessario scoprire l’avocado per poi non sapere più che sapore hanno le more di rovo, parimenti ritengo controverso che si debba fare rafting nei canyons californiani e non avere mai visto i fiumi sotterranei del Carso.

Mi rendo conto che questa perplessità espressa da un italiano è doppiamente criticabile perché se ci fosse una logica del turismo mondiale forse proprio il nostro paese ha delle peculiarità artistiche inimitabili e meritevoli di essere ammirate dai popoli di tutto il mondo. Cionondimeno sono massimamente sollecitato dalla questione dei viaggi di dovere rispetto a quella dei viaggi di piacere che a mio avviso dovrebbero certo essere incentivati ma a raggio più corto, dunque con una naturale propensione all’economicità. Oppure potrebbero avere un respiro più ampio solo a condizione di avere tempi più dilatati e più consoni alla filosofia dell’esplorazione ed anche in tal caso si avrebbe un fisiologico calo dei costi.

Non si tratta di “protezionismo turistico” ma di riappropriazione dei luoghi geografici propri o confinanti che spesso si sono trascurati in favore del “mordi e fuggi” a basso costo che ci proietta, negli interstizi dei tempi di lavoro, in luoghi lontani e diversi dove non si ha modo e tempo per interagire sociologicamente e per capirne l’essenza, in una sorta di frenetica collezione di istantanee delle bellezze del territorio. Anche dal punto di vista del calcolo economico complessivo mi pare ci possa essere un’equazione a somma zero: se tutti gli italici vanno a Sharm el Sheik ne guadagna l’economia egiziana e ne perde ad esempio quella romagnola o siciliana ed egualmente se tutti gli egiziani vengono a visitare il Colosseo e trascurano le Piramidi gira l’economia romana a discapito di quella delle loro città. E’ una semplificazione ma rende l’idea.

Conservo quindi un approccio dubbioso sia sull’elemento economico globale che su quello psicologico individuale delle modalità low cost e mi rimbomba invece l’elemento della speculazione e dell’arricchimento di chi ce lo ha propinato. Come si può soddisfare la domanda sempre più pressante di low cost una volta innescato il meccanismo? Abbassando sempre più i costi di gestione del trasporto; e considerando che sul principale costo, il carburante, non si può intervenire ed anzi continua a correre verso l’alto, non si può che agire sui costi della manodopera e della sicurezza.

E qui si arriva finalmente al “salga a bordo cazzo” che tanto ci ha colpito in quella triste vicenda della nave Concordia. Chi doveva salire a bordo per salvare il salvabile? Il solo guappo Schettino o forse tutti coloro che dovevano evitare la tragedia, fossero i gestori o i controllori del viaggio?

E’ possibile che quella che un tempo era la classica “evasione” da nababbi sia divenuta alla portata di tutte le tasche? Come può essere avvenuto ciò? Credo che la democratizzazione del viaggio non possa né debba avvenire al prezzo di maestranze sottopagate se non trattate al limite dello schiavismo o di personale di minore professionalità e credo che non basti affidarsi alla fiducia nella tecnologia, trascurando la manutenzione del parco veicolare, perché quando poi dovesse precipitare un aereo o affondare una nave su cui non si è investito in controlli preventivi non sarà sufficiente invocare la stoltezza di un capitano che voleva fare un “inchino” ad un’isola.

E qui si torna a bomba sulla differenza fra viaggi di dovere o di piacere e si apre un nuovo capitolo: ossia vale la pena insistere con una politica del fare viaggiare tutti ovunque a minor costo o vale la pena investire affinchè quelle condizioni di base del viaggio “necessario” siano garantite? E mica voglio affamare gli imprenditori del trasporto aereo, marittimo, ferroviario e su gomma! Prediligerei semplicemente che ci fosse un ripensamento complessivo sul tema della mobilità e che gli indirizzi di politica governativa “riconvertissero” tali aziende, quanto meno a livello di grandi masse di popolazione, su una funzione essenzialmente di pubblico servizio.

Ritengo disdicevole che invece si vada proprio in direzione contraria: dai tempi della privatizzazione delle ferrovie britanniche che precipitarono poi nel baratro, si è puntato su una tipologia di trasporto dove il valore del mezzo meccanico al servizio delle esigenze primarie delle collettività è stato svilito. E dove hanno prevalso logiche, più o meno concorrenziali, di mercato su clientele diversificate anziché su cittadini-utenti. Dunque sviluppo massiccio delle aerovie e delle compagnie low cost, corsa forsennata all’alta velocità ferroviaria, cementificazione del territorio per fare tratte autostradali sempre più dirette ma sempre più care e soprattutto carenza di un piano della mobilità che abbia sostenibilità ambientale e che verta meno sugli affari e più su una filosofia “slow moving”, dove la velocità complessiva sia inferiore e dove invece, grazie ad un ripensamento ed integrazione dei diversi tipi di trasporto e magari grazie anche ad un investimento sulla ricerca che sviluppi nuovi mezzi di trasporto e nuovi propellenti, venga assicurato a tutti di spostarsi, anche in fretta, per le impellenze del quotidiano, senza disagi e senza dissanguamenti monetari.

Per restare alle vicende italiane, quando verrà sanato lo scandalo di uno Stato che non collega più con un unico treno le sue regioni distanti (dal dicembre del 2012 non corrono più lungo lo stivale i mitici Milano-Palermo o Torino-Crotone), quando verranno assicurati i trasporti locali (treni, bus e metro) con veicoli dignitosi che colleghino le città col territorio limitrofo senza ingolfarle di traffico stradale ed inquinanti, quando si metterà mano ad un piano di trasporti fluviali in un paese tutto circondato dal mare e con una vasta pianura solcata da fiumi che potrebbero collegare le città, quando si eviterà di sperperare denaro pubblico per grandi opere che andrebbero a servire una quota esigua della popolazione, allora si potrà anche pensare alla riduzione dei costi delle grandi traversate internazionali o si potrà puntare ad assicurare che il low cost per andare, con mezzi alternativi, da Trieste a Napoli o da Piombino a Civitavecchia non sia il frutto di una coperta corta che scopre altri diritti e tutele ma che sia il risultato di un funzionale ed efficiente sistema di trasporti, dove l’opportunità in più per il cittadino è sostanzialmente derivante dallo sviluppo tecnologico.

Circa le previsioni per febbraio la si può far breve vista la canea che da una settimana tutti i media stanno facendo su un evento che certamente potrà avere anche qualche punta di eccezionalità ma che rimane pur sempre un consueto fenomeno invernale. Direi che si possa sintetizzare così: gran gelo in arrivo e qua e là copiose nevicate. E’ pur vero che in Italia, negli ultimi decenni, ci siamo disabituati alle incursioni gelide, specie di matrice siberiana, però non si sono volatilizzate ed in altri stati europei, anche solo di confine, si sono verificate anche in anni recenti. Si tratterà di capire se saranno intense e perduranti tanto da farci rammentare scenari tipo 1929, 1956 o 1989, oppure se saranno un normale momento freddo di una stagione di per sé fredda.

Butto lì le aree più colpite? A parte la zona alpina e prealpina sia per la neve ma di più per il gelo, citerei: entroterra ligure, Langhe, Monferrato e pianura padana specie a cavallo della via Emilia, aretino-senese, tutte le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo, zone interne di Lazio e Campania per la neve; Friuli, Trentino, Piemonte, Lombardia ed Emilia occidentale, catena appenninica sino alla Lucania per il gelo.

Interessante sarebbe invece poter leggere nella sfera di cristallo circa come evolverà febbraio dopo la prima decade. Se questa è ormai contrassegnata, come sappiamo, da un marcato maltempo con correnti, sia artiche che continentali, che si tufferanno nel bacino del Mediterraneo, sia dalla porta del Rodano che da quella della bora, il che innescherà una miriade di microcircolazioni perturbate un po’ su tutte le regioni italiane, dal weekend dell’11-12 cosa accadrà? Personalmente azzardo una ripresa delle correnti a getto polari che riprodurrebbe così la situazione dei mesi di dicembre e di quasi tutto gennaio, con l’Europa meridionale che tornerebbe ad essere protetta da campi anticiclonici e con sistemi bassopressori, perturbati ma più miti, che tornerebbero a percorrere velocemente l’Europa settentrionale da ovest verso est. Insomma l’orso russo verrebbe ricacciato fra i ghiacci. I modelli matematici già sono flippati a leggere bene la situazione della prima decade che nulla possono nell’indovinare chi sarà vincitore fra vortice canadese e alta pressione russo-siberiana.

Però per ora godiamoci queste splendide giornate di paralisi (della circolazione sanguigna e di quella viaria) ed isteria (specie mediatica) che senza alcun dubbio garantiranno qualche soldino di straordinario a medici e infermieri dei Pronto Soccorso. Speriamo di non essere fra i generosi.

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