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Scritto da nel Internazionale, Numero 87 - 1 Marzo 2012 | 0 commenti

Happy, cold country

Non avrei mai creduto che scrivere un articolo sul meteo mi potesse dare tanti problemi. E pensare che il meteo è l'argomento di ripiego di ogni conversazione che stagna. Ogni volta che si sta parlando con qualcuno e non si sa più che cosa dire c'è l'immancabile «Oh ma hai visto che bella giornata oggi? Fa proprio caldo eh? Altro che la settimana scorsa» e via così. Ma se ti trovi a doverne scrivere seriamente, se sei obbligato a dare un senso a queste conversazioni e a concentrarti solo sul “meteo”, allora tutte le carte vengono mischiate, un colpo di vento porta via tutto e ti ritrovi a fissare la finestra inebetito per un'ora senza toccare penna.
Eppure di tempo in questi giorni ne sto parlando parecchio. In questo momento mi trovo in Danimarca, uno dei paesi più freddi d'Europa. E' il più a sud tra i paesi scandinavi ma non per questo è il meno freddo. Qui il meteo sembra rivestire un'importanza particolare per tutti quanti. Ogni volta che si parla con un danese di qualsiasi argomento si va immancabilmente a finire a parlare di meteo. Di tempo. Sarà perché sono italiano e quindi “straniero” e il punto di appoggio più facile su cui far leva per iniziare una conversazione con qualcuno che non conosci e che non parla la tua lingua è anche qui il tempo; ma anche tra di loro i danesi parlano spessissimo di meteo. Innanzitutto perché il meteo in questo paese è una vera a propria scommessa. Non si sa mai come ci si deve vestire per uscire. Un momento c'è un sole fantastico che sembra quasi volerti baciare la fronte e accompagnarti per mano ovunque tu vada ed un momento dopo si scatena il diluvio universale a devi aggrapparti ad un albero per non essere trascinato via dal vento. In secondo luogo, questo particolarissimo clima, storicamente, culturalmente, economicamente, è uno dei fattori più importanti che hanno influenzato e influenzano tutt'oggi la vita quotidiana dei danesi e con i quali, volenti o nolenti, hanno dovuto imparare a convivere.
Non potevo scegliere periodo migliore per venire in Danimarca. L'inverno danese è qualcosa di folle. Mark Twain disse che l'inverno più rigido che avesse mai vissuto era stata un'estate a San Francisco. Evidentemente Twain non aveva mai trascorso un inverno a Copenhagen.
«Voi ragazzi dovete essere pazzi per venire in Danimarca a gennaio» mi dice Erik, un ragazzo danese che studia alla RUC, l'università nell'antica capitale della Danimarca, Roskilde. «Di solito l'inverno qua dura 2 mesi e in questi due mesi la gente praticamente si barrica in casa. Non è tanto la temperatura rigida che dà fastidio, ma il vento gelido che viene direttamente dal mare. Ma ad aprile il tempo è sublime.» Continua cercando di riscaldarsi respirando nel cavo delle mani. La sciarpa tirata fin sopra al naso e le spesse lenti degli occhiali appannate gli danno un'aria buffa ma allo stesso tempo lo rendono l'immagine perfetta per descrivere l'inverno danese.
Roskilde è una delle più antiche città della Danimarca e la sua fondazione è legata a doppio laccio al suo clima rigido. Fondata intorno al 980 d.C. da Aroldo I, detto Dente Azzurro, Roskilde si trova nel centro dell'isola della Selandia e si affaccia su un fiordo che nei mesi invernali diventa una gigantesca distesa di ghiaccio. L'idea di Aroldo era probabilmente quella di costruire un mercato che fosse centrale e facilmente difendibile dagli attacchi dei nemici e, a giudicare dalle carcasse di navi vichinghe ripescate dal fondo della baia negli anni sessanta, il fiordo di Roskilde si è rivelato il posto perfetto. Immaginate la reazione dei predoni quando, arrivati armati fino ai denti e pronti a mettere a ferro e fuoco la città, si ritrovarono intrappolati su una gigantesca pianura di ghiaccio, completamente scoperti e a portata di tiro. Dev'essere stata una sensazione davvero spiacevole.
Le temperature d'inverno possono crollare anche di venti gradi sotto lo zero, creando un paesaggio quasi onirico e sospeso nel tempo: tutto è bianco e lucente ed ogni specchio d'acqua, anche il più esteso e trafficato, inevitabilmente si solidifica. Passeggiando per le strade di Copenhagen si ha quasi la sensazione di trovarsi già al polo nord: i tipici canali della città sono ricoperti da una spessa coperta di ghiaccio, frastagliata a spezzettata in sezioni regolari che fanno quasi pensare ad un gigantesco mosaico.
Nonostante il clima rigido e proibitivo, i danesi sono famosi in tutto il mondo per essere “le persone più felici del mondo”. E ne vanno molto fieri, ho scoperto. Secondo una ricerca di Forbes del 2010 sulla felicità dei cittadini dei vari paesi del mondo, la Danimarca è risultata essere la prima, seguita a ruota dagli altri paesi scandinavi e dall'Olanda. Naturalmente non è facile quantificare e fare un indice di qualcosa come la “felicità”, un concetto troppo ampio e sfaccettato. In questo sondaggio si parla più di soddisfazione che di felicità. I danesi sono soddisfattissimi della propria vita, del proprio lavoro, del proprio governo e dei servizi che ricevono, pur vivendo nel paese europeo dove si pagano più tasse. «Qui tutti pagano, senza distinzioni. La tassazione media sullo stipendio in Danimarca è circa del 43%» mi racconta Erik mentre torniamo al campus universitario. La neve cade fitta e il vento che ulula rende difficile capire bene il suo inglese dal forte accento danese. «E' pesante, si. Mio padre non sorride quando va a pagare le tasse, certo! Ma, ad esempio, né io né i miei fratelli abbiamo mai dovuto pagare un soldo per studiare e con tutti i servizi che riceviamo dallo stato abbiamo la certezza che quei soldi verranno spesi bene.»

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