Terremoti dell'animo
Ma che diamine succede in Italia? Il terremoto come la mafia. La Padania, depurata dai miasmi leghisti, si scopre infettata da mali che riteneva un “privilegio” di altre regioni. Si rovesciano tutte le certezze che si erano sedimentate col tempo, manco fossero in balia del timone di uno Schettino qualsiasi. Per rimanere in ambito, un'onda anomala travolge tutto con una velocità impressionante, scomponendo situazioni che parevano immutabili e ricomponendole in una diversa sorprendente fascia costiera.
Non bastassero le mazzette e le corruzioni che squalificano la regione Lombardia, gli scioglimenti delle amministrazioni comunali liguri per infiltrazioni mafiose, il sistema di appalti pilotati delle cooperative emiliane, il crac della bolla debitoria su cui ha poggiato per decenni l'economia del triveneto, ora ci si è messa anche la terra a scuotere le popolazioni del nord. Una terra solitamente placida, ad eccezione della zona carnico-cadorina e della zona appenninica tosco-emiliana, che improvvisamente, in una domenica di maggio, si mette a tremare come una foglia. Sussulta ed oscilla, giusto per non farsi mancare nulla al suo debutto, e lo fa a profondità assai prossime al suolo (circa 7 km), le quali spesso comportano una potente escalation nel rapporto fra scale Richter e Mercalli, ossia fra la magnitudo del terremoto (l'energia sprigionata dal sisma) e la misura dei danni alle cose, alle persone e al paesaggio. Ovviamente in questo rapporto contano, oltre all'intensità e alla profondità, la durata della scossa, la geomorfologia del sottosuolo e la tipologia di costruzioni che insistono sul territorio colpito. E va detto che questi ultimi due fattori una qualche specificità emiliana al sisma l'hanno fornita, in senso non catastrofico.
La meraviglia diffusa ha colto le popolazioni sia per l'atipicità dell'epicentro (nel cuore del triangolo Bologna-Ferrara-Modena) che dovrà contribuire ad una ulteriore riscrittura delle carte sismologiche italiane, sia per il contrasto fra i danni causati alle diverse tipologie di costruzioni. Ci può stare che crollino antichi campanili, torrioni secolari e palazzi d'epoca, ma bisognerebbe chiedersi come mai ora, se erano appunto secoli che resistevano a chissà quante scosse similari. E magari bisognerebbe chiedersi quanto si potrebbe investire nella messa in sicurezza del patrimonio artistico e architettonico anche nella ricca Pianura padana. Ma soprattutto come è possibile, a fronte di uno scenario di abitazioni civili pressoché intatte, che si siano sbriciolati capannoni industriali di poche decine di anni? Ed ecco che torna lo sgomento di non essere migliori, di non essere diversi, di avere assunto negli ultimi decenni i peggiori vizi del resto d'Italia. Il modello padano e nello specifico quello emiliano, costruito con tenacia negli anni da generazioni di cittadini e amministratori, viene polverizzato in pochi istanti dall'orrore delle immagini dei lavoratori morti ammazzati, in un giorno festivo, nel proprio luogo di lavoro.
Un dato per tutti che deve porre interrogativi: anno 1990, terremoto (un po' caduto nell'oblio) a Carlentini in provincia di Siracusa, magnitudo 5.6 (siamo lì), bilancio 17 vittime e 15.000 sfollati; dopo 22 anni, stesso sisma stesso bilancio, in una area del paese ben più avanzata. Per la serie l'esperienza passata non conta nulla e nemmeno la latitudine.
Il sisma diventa dunque terremoto dell'animo perché scuote le coscienze pigre più ancora che le gambe e le braccia e perché agisce su popolazioni che l'avevano vissuto perlopiù in forma solo mediata e mediatica. Ci si scopre d'un tratto fragili, vulnerabili, sloggiati dalle case come extracomunitari dalle baracche o rom dai loro campi. Con questo non si negano affatto la capacità di reazione, il civismo, forse la solidarietà, quanto meno quella familiare, tutti aspetti che caratterizzano gli emiliani; si vuole però sottolineare come il panico da evento imprevedibile sia un mostro trasversale, livellante, che annulla disparità di latitudine e di censo ed anzi che probabilmente sconforta molto più chi è abituato agli agi e alla funzionalità dei servizi di chi ha meno da perdere e combatte quotidianamente con il caos.
Il terremoto ha tolto certezze all'Emilia ma non solo quello sismico, in quanto nelle stesse ore se ne abbatteva uno elettorale. Il cittadino della bassa che si è ritrovato sballottato e privo di riferimenti, fra macerie e tendopoli, somiglia molto da vicino al cittadino della bassa che, incredulo e sfiancato di fronte allo sfacelo dei partiti, ha creato nei ballottaggi un altro terremoto, da Parma a Comacchio, col non voto o col voto al Movimento 5 Stelle. Si direbbe che il gigante d'argilla della sinistra ex comunista abbia patito la botta assestatagli ai fianchi dalla placca adriatica come un pugile alle corde e che tale botta, anziché venire assorbita dal terreno appunto argilloso della pianura, abbia liquefatto il sostrato geologico dell'area, dando vita allo zampillare della sabbia, ma abbia liquefatto al contempo il suo sostrato culturale, dando la zappa sui piedi a chi poco più a Ovest (zona Piacenza) pensava di ripartire dalle proprie roccaforti per tornare con lo scettro del comando in mano. Staremo a vedere a cosa porterà tutto questo sommovimento degli antichi equilibri in una terra che d'ora in poi non sarà più così statica, così in Emilia come di là dal Po, laddove pure il sostrato culturale, di segno opposto, all'insegna dell'egemonia berlusconian-leghista, si sta liquefacendo come una trota in putrefazione o come un maquillage non più restaurabile.
E' piovuto abbondantemente nei giorni successivi alle prime violente scosse; guazzabuglio di temporali, grandinate e clima autunnale. Pare che piova sempre dopo un sisma sulle zone colpite. E ci si dà di gomito a sottolinearlo. In realtà è solo l'emotività di chi segue da casa gli eventi che fa percepire sempre e solo gli accumuli di beffe al danno.
Magari statisticamente potrebbe anche scorgersi una connessione ma direi che sarebbe del tutto casuale. Così come pure va sfatato il luogo comune del vento caldo che precederebbe le scosse. I venti sono un fenomeno tipicamente della bassa troposfera mentre i terremoti avvengono a causa delle faglie geologiche, insomma siamo proprio su piani diversi: sopra e sottosuolo. Altro discorso è un lieve incremento della temperatura che può manifestarsi durante e dopo il terremoto ma mai prima a causa dello stesso (tranne alcune eccezioni per i terremoti vulcanici). Storicamente, ad eccezione del terremoto dell'Irpinia e marginalmente di quello friulano (temperature più alte della norma a causa della presenza di blocchi anticiclonici consolidati), non si registra nessuna importante
corrispondenza tra scossa sismica e caldo anomalo; in Belice nel '68, al momento del sisma, le colline siciliane erano tutte imbiancate dalla neve, che di per sé è anche un fenomeno non molto consueto.
A questo punto la transizione alle previsioni per il mese prossimo è cosa fatta. Si continuerà all'insegna della variabilità primaverile che ha caratterizzato il mese di maggio? Pareva sì, perché i due centri nevralgici che garantiscono il caldo estivo, ossia l'anticiclone delle Azzorre e quello sub-sahariano sembrava volessero latitare. Ma ecco che le ultime proiezioni dei modelli rinfrancano gli amanti della bella stagione. Dei due bischeri sarà, come spesso sta accadendo negli ultimi anni, quello che spancia dall'Africa a far la parte del leone. L'ingresso nel bacino mediterraneo sembra prepotente e, se si eccettua un temporaneo peggioramento al nord fra il 3 e il 6 giugno, si profila una prima metà del mese all'insegna della stabilità e del caldo; quest'ultimo a cavallo del 10-12 potrebbe risultare di proporzioni record ma è da confermare nella sua intensità.
Non bastassero le mazzette e le corruzioni che squalificano la regione Lombardia, gli scioglimenti delle amministrazioni comunali liguri per infiltrazioni mafiose, il sistema di appalti pilotati delle cooperative emiliane, il crac della bolla debitoria su cui ha poggiato per decenni l'economia del triveneto, ora ci si è messa anche la terra a scuotere le popolazioni del nord. Una terra solitamente placida, ad eccezione della zona carnico-cadorina e della zona appenninica tosco-emiliana, che improvvisamente, in una domenica di maggio, si mette a tremare come una foglia. Sussulta ed oscilla, giusto per non farsi mancare nulla al suo debutto, e lo fa a profondità assai prossime al suolo (circa 7 km), le quali spesso comportano una potente escalation nel rapporto fra scale Richter e Mercalli, ossia fra la magnitudo del terremoto (l'energia sprigionata dal sisma) e la misura dei danni alle cose, alle persone e al paesaggio. Ovviamente in questo rapporto contano, oltre all'intensità e alla profondità, la durata della scossa, la geomorfologia del sottosuolo e la tipologia di costruzioni che insistono sul territorio colpito. E va detto che questi ultimi due fattori una qualche specificità emiliana al sisma l'hanno fornita, in senso non catastrofico.
La meraviglia diffusa ha colto le popolazioni sia per l'atipicità dell'epicentro (nel cuore del triangolo Bologna-Ferrara-Modena) che dovrà contribuire ad una ulteriore riscrittura delle carte sismologiche italiane, sia per il contrasto fra i danni causati alle diverse tipologie di costruzioni. Ci può stare che crollino antichi campanili, torrioni secolari e palazzi d'epoca, ma bisognerebbe chiedersi come mai ora, se erano appunto secoli che resistevano a chissà quante scosse similari. E magari bisognerebbe chiedersi quanto si potrebbe investire nella messa in sicurezza del patrimonio artistico e architettonico anche nella ricca Pianura padana. Ma soprattutto come è possibile, a fronte di uno scenario di abitazioni civili pressoché intatte, che si siano sbriciolati capannoni industriali di poche decine di anni? Ed ecco che torna lo sgomento di non essere migliori, di non essere diversi, di avere assunto negli ultimi decenni i peggiori vizi del resto d'Italia. Il modello padano e nello specifico quello emiliano, costruito con tenacia negli anni da generazioni di cittadini e amministratori, viene polverizzato in pochi istanti dall'orrore delle immagini dei lavoratori morti ammazzati, in un giorno festivo, nel proprio luogo di lavoro.
Un dato per tutti che deve porre interrogativi: anno 1990, terremoto (un po' caduto nell'oblio) a Carlentini in provincia di Siracusa, magnitudo 5.6 (siamo lì), bilancio 17 vittime e 15.000 sfollati; dopo 22 anni, stesso sisma stesso bilancio, in una area del paese ben più avanzata. Per la serie l'esperienza passata non conta nulla e nemmeno la latitudine.
Il sisma diventa dunque terremoto dell'animo perché scuote le coscienze pigre più ancora che le gambe e le braccia e perché agisce su popolazioni che l'avevano vissuto perlopiù in forma solo mediata e mediatica. Ci si scopre d'un tratto fragili, vulnerabili, sloggiati dalle case come extracomunitari dalle baracche o rom dai loro campi. Con questo non si negano affatto la capacità di reazione, il civismo, forse la solidarietà, quanto meno quella familiare, tutti aspetti che caratterizzano gli emiliani; si vuole però sottolineare come il panico da evento imprevedibile sia un mostro trasversale, livellante, che annulla disparità di latitudine e di censo ed anzi che probabilmente sconforta molto più chi è abituato agli agi e alla funzionalità dei servizi di chi ha meno da perdere e combatte quotidianamente con il caos.
Il terremoto ha tolto certezze all'Emilia ma non solo quello sismico, in quanto nelle stesse ore se ne abbatteva uno elettorale. Il cittadino della bassa che si è ritrovato sballottato e privo di riferimenti, fra macerie e tendopoli, somiglia molto da vicino al cittadino della bassa che, incredulo e sfiancato di fronte allo sfacelo dei partiti, ha creato nei ballottaggi un altro terremoto, da Parma a Comacchio, col non voto o col voto al Movimento 5 Stelle. Si direbbe che il gigante d'argilla della sinistra ex comunista abbia patito la botta assestatagli ai fianchi dalla placca adriatica come un pugile alle corde e che tale botta, anziché venire assorbita dal terreno appunto argilloso della pianura, abbia liquefatto il sostrato geologico dell'area, dando vita allo zampillare della sabbia, ma abbia liquefatto al contempo il suo sostrato culturale, dando la zappa sui piedi a chi poco più a Ovest (zona Piacenza) pensava di ripartire dalle proprie roccaforti per tornare con lo scettro del comando in mano. Staremo a vedere a cosa porterà tutto questo sommovimento degli antichi equilibri in una terra che d'ora in poi non sarà più così statica, così in Emilia come di là dal Po, laddove pure il sostrato culturale, di segno opposto, all'insegna dell'egemonia berlusconian-leghista, si sta liquefacendo come una trota in putrefazione o come un maquillage non più restaurabile.
E' piovuto abbondantemente nei giorni successivi alle prime violente scosse; guazzabuglio di temporali, grandinate e clima autunnale. Pare che piova sempre dopo un sisma sulle zone colpite. E ci si dà di gomito a sottolinearlo. In realtà è solo l'emotività di chi segue da casa gli eventi che fa percepire sempre e solo gli accumuli di beffe al danno.
Magari statisticamente potrebbe anche scorgersi una connessione ma direi che sarebbe del tutto casuale. Così come pure va sfatato il luogo comune del vento caldo che precederebbe le scosse. I venti sono un fenomeno tipicamente della bassa troposfera mentre i terremoti avvengono a causa delle faglie geologiche, insomma siamo proprio su piani diversi: sopra e sottosuolo. Altro discorso è un lieve incremento della temperatura che può manifestarsi durante e dopo il terremoto ma mai prima a causa dello stesso (tranne alcune eccezioni per i terremoti vulcanici). Storicamente, ad eccezione del terremoto dell'Irpinia e marginalmente di quello friulano (temperature più alte della norma a causa della presenza di blocchi anticiclonici consolidati), non si registra nessuna importante
corrispondenza tra scossa sismica e caldo anomalo; in Belice nel '68, al momento del sisma, le colline siciliane erano tutte imbiancate dalla neve, che di per sé è anche un fenomeno non molto consueto.
A questo punto la transizione alle previsioni per il mese prossimo è cosa fatta. Si continuerà all'insegna della variabilità primaverile che ha caratterizzato il mese di maggio? Pareva sì, perché i due centri nevralgici che garantiscono il caldo estivo, ossia l'anticiclone delle Azzorre e quello sub-sahariano sembrava volessero latitare. Ma ecco che le ultime proiezioni dei modelli rinfrancano gli amanti della bella stagione. Dei due bischeri sarà, come spesso sta accadendo negli ultimi anni, quello che spancia dall'Africa a far la parte del leone. L'ingresso nel bacino mediterraneo sembra prepotente e, se si eccettua un temporaneo peggioramento al nord fra il 3 e il 6 giugno, si profila una prima metà del mese all'insegna della stabilità e del caldo; quest'ultimo a cavallo del 10-12 potrebbe risultare di proporzioni record ma è da confermare nella sua intensità.