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Scritto da nel Internazionale, Numero 92 - 1 Agosto 2012 | 0 commenti

Geopolitica olimpica

Uno degli aspetti più belli delle Olimpiadi, al di là delle gare e delle prestazioni sportive, è senza dubbio la sovraesposizione mediatica di quei paesi che nella normalità vivono in un semi anonimato e che vedono nella cerimonia d'apertura i propri momenti di gloria con la passerella nello stadio. Le delegazioni che sfilano sono un crogiolo di culture, lingue, etnie e storie che si fondono insieme e si raccontano.

A Londra la Grecia, come tradizione, apre la sfilata: la patria delle Olimpiadi è paese precipitato nel baratro della crisi economica. Così come per Spagna, Portogallo e Italia, l'obiettivo di queste delegazioni è il riscatto e distogliere l'attenzione interna dalle preoccupanti situazioni in cui gravano i paesi.
Il Brasile, accolto da un boato, si proietta nel 2016 con le proprie Olimpiadi a Rio, evento che seguirà i Mondiali di Calcio 2014 e una notevole crescita economica.

Sfilano i paesi divisi. La Cina si presenta in tre: la Repubblica Popolare, l'ex colonia britannica Hong Kong e Taiwan. Quest'ultima usa come nome Cina Taipei in seguito alla decisione del CIO del 1979, secondo la quale non può utilizzare i propri nomi ufficiali (Repubblica Cinese e Taiwan) né la propria bandiera. Cipro come sempre solo greca: la Repubblica Turca, non essendo riconosciuta, non invia propri atleti. Corea del Nord e Corea del Sud si presentano nuovamente separate: tra alti e bassi nelle relazioni diplomatiche, sono lontane le immagini di Sidney e Atene in cui un'unica delegazione unita e festosa attraversava lo stadio.

È l'esordio per i paesi rinati sulle macerie delle rivoluzioni arabe: Egitto, Tunisia e Libia, quest'ultima orfana di Gheddafi, un tempo arcinemico del Regno Unito dopo la tragedia di Lockerbie.

Gli Atleti Olimpici Indipendenti sono la delegazione più allegra: solo quattro atleti, 3 uomini e una donna. Il frutto dello scioglimento delle Antille Olandesi avvenuta nel 2010 (confluite nei Paesi Bassi come comuni a statuto speciale e Nazioni Costitutive del Regno) e della costituzione dello stato più giovane, il Sud Sudan, staccatosi dal regime di Khartoum in seguito a referendum nel 2011.

L'Argentina partecipa festosa ma il pensiero va sempre al vecchio conflitto delle Falkland/Malvine che porta a galla le irrisolte tensioni politiche con il paese ospitante.
L'Irlanda saluta i cugini britannici e la Regina in un clima politico sempre più disteso tra i due paesi.
L'Ungheria, campionissima nella pallanuoto, sfila mentre il paese attraversa una degenerazione democratica e istituzionale che preoccupa tutta l'Europa.

La Birmania, o Myanmar, partecipa dopo svolte politiche interne di buon auspicio per il futuro.
La Siria devastata dalla guerra civile vittima del proprio presidente Bashar al Assad e delle titubanze delle Comunità internazionale.
Lo Zimbabwe di Mugabe abbandonato alla follia del proprio dittatore.
La Palestina sfila come squadra olimpica pur non essendo un'entità statuale formalmente costituita.
Israele ricorda sempre la tragedia di Monaco '72.
Il Qatar e i paesi arabi danno spazio alla donne.
Non mancano gli stati africani tra i più poveri del mondo, colpiti da guerre e crisi umanitarie: Burundi, Burkina Faso, Gambia, Liberia, Ruanda, Sierra Leone, … .

E poi i micro stati: Samoa americane, Andorra, Antigua e Barbuda, Bermuda, Isole Vergini, le Cayman, Isole Cook, Dominica, Kiribati, Liechtenstein, Isole Marshall, Principato di Monaco, Nauru, Palau, Saint Kitts e Nevis, San Marino, Tuvalu. Meno di centomila abitanti ciascuno.

Tutti i sudditi del Commonwealth britannico salutano la Sovrana: Antigua e Barbuda, Australia, Bahamas, Barbados, Belize, Canada, Giamaica, Grenada, Isole Salomone, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia, Tuvalu e ovviamente Regno Unito.
L'Olimpiade di Londra, oltre a essere un entusiasmante evento planetario, è in primo luogo una festa in onore della Regina Elisabetta.
Congratulazioni a Sua Maestà che ha saputo convertire il colonialismo imperiale britannico in un mix di lingue, culture, religioni e colori, che mantengono le proprie identità senza confondersi in un melmoso melting pot, a costituire una brillante nazione multiculturale del XXI Secolo.

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