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Scritto da nel Numero 93 - 1 Ottobre 2012, Scienza | 0 commenti

Il miele di città

E' definito pronubo, come tanti altri simili, l'insetto alato che chiamiamo ape: è l'elemento mobile che consente la fecondazione di una moltitudine di specie vegetali che non utilizzano altri mezzi, come il vento, per ottenere il passaggio del polline da un fiore all'altro.
L'ape e le sue simili (api selvatiche e bombi) sono diffuse ovunque come specie selvatiche; le attuali varietà, definite imprecisamente domestiche, allevate dall'uomo sono il frutto di selezioni che, esaltandone le qualità (produttività, docilità, riduzione della sciamatura) per ovvia conseguenza ne hanno ridotto la resistenza ai parassiti ed alle malattie, che sono davvero tante. Perfino la stessa lotta, anche biologica, alle patologie apistiche ha avuto come diretta conseguenza la sopravvivenza di organismi patogeni sempre più farmacoresistenti.
Il semplice trattamento con l'acido ossalico (molecola consentita, presente in molti alimenti) ottiene sì la caduta di quelle varroe (acari parassiti) che sono più sensibili alla sostanza, ma seleziona in questo modo quelle più resistenti. E' la selezione dell'ape ai fini di produzione, insieme alla sopra detta selezione inversa degli agenti patogeni con la conseguente sopravvivenza dei più robusti di essi, ad aver causato nel tempo la riduzione ormai generalizzata delle api domestiche; la semplice ed efficace selezione naturale consente invece all'ape, in seguito alla sciamatura naturale ed alla conseguente colonizzazione di luoghi inaccessibili, di ottenere naturalmente di generazione in generazione la famiglia che per caso è resistente alla malattia od al parassita; successivamente, grazie all'accoppiamento della regina con più fuchi in sede di volo nuziale, viene realizzata una salutare mescolanza di geni diversi. In ogni territorio, anche cittadino, sono presenti famiglie di api che continuano a riprodursi libere.
Come per ogni ambiente, anche per gli ambienti frequentati dalle api ogni spazio che si libera può venire occupato da elementi simili; e nel caso dell'ape non è proprio così certo che si possa avverare quanto attribuito (con molti dubbi) ad Albert Einstein, secondo cui se spariscono le api il genere umano è destinato a scomparire in quattro anni. E' sufficiente osservare qualche fioritura per notare ovunque la presenza, oltre che di api comuni normalmente allevate per la produzione di miele (apis mellifera ligustica), di tanti altri insetti impollinatori: in particolare, la lavanda è quasi esclusivamente impollinata dai simpatici, pelosi orsetti volanti gialli e neri, o ruggine, o neri: i bombi.
Non ci si deve dunque preoccupare granché delle cosiddette morie delle api e delle paventate catastrofiche conseguenze: morie in definitiva causate dall'errata selezione di organismi patogeni sempre più robusti o dall'uso di specifici concianti delle sementi, per gran parte delle quali la vendita in Italia è stata opportunamente sospesa. I concianti avvolgono i semi di alcune piante a coltivazione estensiva, e si diffondono nella pianta fino al fiore, che visitato dall'ape trasporta il veleno, destinato ad altri parassiti, nell'organismo del dorato insetto provocandone l'intossicazione.
Se non fosse per l'ormai crescente indebolimento dell'ape, qualunque ambiente sarebbe a lei consono: persino le nostre inquinate città ospitano una tale quantità di essenze floreali che sono già notizia comune l'esistenza di allevamenti sui tetti delle città, in particolare a Parigi; con buona produzione di miele ricavato da pollini e nettari puliti: le api infatti evitano accuratamente qualunque fonte nettarifera che non sia assolutamente pura.

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