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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 93 - 1 Ottobre 2012 | 0 commenti

L'uomo è natura

Il 6 ottobre è la data che segna un semianniversario. A tre anni e mezzo dal terremoto che sconvolse l'Aquilano, un ritorno in Abruzzo è l'occasione per interrogarsi sul rapporto fra uomo e natura, su come l'uomo influenzi la natura che lo circonda e su come la natura in qualche modo accolga o respinga le modifiche apportate dall'uomo.

Si parte da un problema filosofico. Cosa sono le modifiche apportate dall'uomo? E perché ciò che l'uomo fa dovrebbe essere considerato innaturale? La tendenza di tanti professandi paladini dell'ambiente è quella di operare una distinzione fra bene e male, nella quale la linea divisoria tiene vegetali, insetti e animali (uomini esclusi) nella sfera del bene e gli uomini in quella del male.

La realtà è ben differente. Nel corso di milioni di anni la natura ha modificato se stessa secondo meccanismi di causa-effetto talvolta sovvertiti da fattori straordinari dovuti all'interazione di quegli stessi meccanismi. Exempli gratia, un vulcano erutta e un temporale scroscia: entrambi hanno determinati effetti sull'ambiente circostante, ma il vento e la cenere insieme uccidono anche a grande distanza. Nei corso degli ultimi millenni, peraltro, l'uomo ha contribuito all'evoluzione del pianeta in particolare con opere atte a migliorare la qualità della propria esistenza (lo fanno tutti gli esseri viventi, non solo gli animali, ma anche le piante) e al contempo moderare la violenza della natura stessa. Pensiamo alle dighe sui fiumi che prevengono alluvioni e consentono di coltivare un territorio e di avere una disponibilità regolare di acqua potabile; ma basterebbe pensare alle vie di comunicazione, strade e ponti, tra i primi esempi della grandezza della civiltà umana: zone sicure, che facilitano l'attraversamento in sicurezza e velocità di zone impervie, paludose o insicure per la presenza nascosta di animali predatori (in questo caso, è da dire, umani inclusi).

Pensiamo però anche allo sfruttamento dell'energia prodotta dal pianeta. Oggi lo si fa convertendo la luce del sole, il soffio del vento e la potenza dell'acqua; e sfruttando altre risorse naturali come il carbone, o avvalendosi di reazioni chimiche naturali, come quelle nucleari. Sappiamo che questi modi di creare energia elettrica consentono una vita più lunga, sana e agiata; ma producono inquinamento, e l'inquinamento danneggia noi e l'ambiente. L'evoluzione, insomma, rischia di danneggiare parte di ciò a cui consente di evolversi; ma la natura si discosta da ciò? Non mi pare: la natura fa bene all'uomo se l'uomo fa bene alla natura, ma entrambi sono in grado di assestare colpi letali l'un l'altra. E se anche l'uomo riuscisse a eliminare del tutto la produzione di rifiuti e di danni all'ambiente, un tornado sarebbe sempre pronto a spazzar via tutto. Naturalmente, ciò non sottintende un avallo di comportamenti irresponsabili, ma bisogna essere consapevoli di come l'ineluttabilità del caso distruttivo attenda ogni creatura esistente nell'universo, e ciò è del tutto incontroverso per ogni genere di essere umano, sia che si creda in una o più divinità, sia che si creda nel fato o in altro, sia che non si creda in nulla.

Il terremoto è l'esempio tragicamente ideale di come l'uomo possa intervenire più o meno bene per modificare a suo vantaggio l'ambiente che lo circonda. L'Aquila era una città meravigliosa, meravigliosamente ricostruita a più riprese dopo che numerosi terremoti l'avevano rasa al suolo nel corso dei secoli. Oggi ci avvaliamo di conoscenze scientifiche così alte da essere in grado di costruire intere metropoli resistenti a movimenti tellurici grandemente superiori a quelli che nel 2009 hanno sconvolto l'Abruzzo: è in questi casi che l'intelligenza umana – il più alto scalino raggiunto dell'evoluzione naturale sul pianeta Terra – si mette alla prova di se stessa.

Oggi L'Aquila è distrutta. Questa stupenda città millenaria ha subito numerosissimi crolli, e i danneggiamenti sono stati così vasti e gravi che l'intero centro storico, cuore pulsante dello spirito appenninico e perenne crocevia per gli abitanti di tutta l'Italia centrale, è stato completamente abbandonato. Nessuno vi abita; gli eleganti edifici sono ridotti a scheletri puntellati, le cui porte e finestre sono state messe in sicurezza con croci di travi lignee che da sole segnalano il pericolo. La desolazione di una città annientata è palpabile nel paradosso del silenzio rotto solo dal fischio del vento, come in un bosco; ma non ci si trova in un bosco, ci si trova in seno a quello che fino a tre anni e sei mesi fa era un grande centro abitato.

È vero che L'Aquila è crollata per colpa dell'insicurezza degli edifici antichi? È vero che l'antropizzazione incontrollata (e chi dovrebbe controllarla, se non gli stessi antropoi) si mostra nella capacità di generare pericolo per sé medesima? Non ne sono certo, ma non sono in grado di dire se l'uomo è più buono o più cattivo. Non so se lo è con sé e se lo è con l'ambiente che lo circonda. So che l'uomo è natura, e alcuni uomini sanno mostrare il meglio della natura; so che la natura è vita e morte. Partorisce e uccide, e non è né buona né cattiva.

Come il suo figlio più intelligente e ribelle, l'uomo. Che oggi popola L'Aquila di sera, quando aprono i locali ai piani terra dei palazzi diruti per accogliere i tanti giovani che non si arrendono alla forza violenta della natura e all'incapacità di difendere i suoi simili. Che si vogliono riprendere la città dei loro genitori e dei loro nonni. E che nella semplicità del volersi incontrare proprio lì mostrano con fierezza gli aspetti più belli dell'essere umano: le virtù spirituali. D'altronde, la tenacia è costanza nei pensieri e nell'azione. Perseveranza, incrollabile.

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