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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 94 - 1 Novembre 2012 | 0 commenti

Il Novantatre

Nel suo ultimo romanzo, Quatrevingt-treize, pubblicato nel luglio del 1874 Victor Hugo celebre uomo politico della Francia Ottocentesca quanto lo era come scrittore, ci riporta nel clima della Rivoluzione francese rievocando gli scontri e le lotte della Guerra di Vandea. Il periodo viene principalmente ricordato come una delle fasi più cruenti e sanguinarie del progresso rivoluzionario; proprio nel 1793, anno che dà il titolo al romanzo, la popolazione delle regioni della Vandea insorsero contro il governo rivoluzionario. Hugo sfruttò quindi il clima rivoluzionario sorto in quell'anno, in quella regione, quale ultima grandiosa scenografia su cui imbastire ancora una volta, grazie al suo genio romantico, l'ennesimo intreccio di storie e di personaggi.

Il Novantatré rappresenta un alto momento dell'epoca del Terrore, contrapponendosi negativamente all'Ottantanove di cui ne offuscò e in parte rinnegò i principi e gli ideali di libertà promessi dai primi moti rivoluzionari. L'essenza alla base del principio rivoluzionario appariva dimenticata, negata alla popolazione del 1793.
Il '93 fu un anno particolarmente critico del conflitto rivoluzionario, mentre il movimento rivoluzionario era in cerca di legittimazione e sempre più attuale diveniva la questione del post rivoluzione; nella Vandea, vasta area agricola, si lottava ancora a favore della monarchia contro il movimento anti-rivoluzionario.

Il 1793, anno in cui Hugo celebra la Vandea fu un anno tremendo pesantemente gravato dal Terrore e dal suo operato entro cui si inserisce in un lungo excursus fatto di nomi e luoghi, un formicolare di rifugi, di gruppi di carbonai e contadini nascosti nelle foreste la descrizione della ribelle Vandea.
Per Hugo gli scontri in Vandea rappresentavano l'apoteosi della violenza e seppur era avverso a tale violenza era altresì convinto che questa si fosse originata per mano della Convenzione ma era il risultato del Medioevo prima e della monarchia poi a far del male l'unico mezzo contro il male.
«Le violenze del Novantatré sembrano a Hugo scaturite dalla necessità di liquidare in pochi mesi secoli di oppressione; ora che quella necessità è finita “che l'avvenire è già arrivato” ogni violenza deve cessare e cedere il posto alla clemenza».1

Entrano così in scena personaggi complicati che si muovono ed operano in base ad un codice etico che spesso risulta difficilmente giudicabile, sin dalle prime pagine del romanzo.
Sulla corvetta Claymore fedele alla monarchia, quando un pesante cannone spezza le catene che lo trattenevano, privo di alcuna protezione finisce per uccidere alcuni uomini e danneggiare irrimediabilmente la nave, sino a quando un uomo, lo stesso reo di non averlo assicurato a dovere, ne riesce a bloccare lo sbandamento. Lantenac, a capo della nave, conferisce, togliendola dal proprio petto, una onorificenza al soldato che coraggiosamente è riuscito a bloccare il cannone e poi ne ordina la fucilazione per la sua grave negligenza che ha causato l'incidente.
Lantenac è l'uomo della Monarchia, l'esponente del movimento anti-rivoluzionario, colui che è pronto a condannare e sacrificare ogni cosa per la propria causa. Uomo che onora, ma allo stesso tempo condanna il suo soldato; perdonandolo per l'errore ma non per aver intralciato la causa superiore, la guerra che stanno combattendo.

Sul lato opposto troviamo, tra le file rivoluzionarie, il giovane Gauvain, nipote di Lantenac e ora suo rivale in guerra. Gauvain è anche l'unico personaggio “positivo” del romanzo. Egli è il figlio della Rivoluzione, è l'incarnazione di tutte quelle qualità che i moti del '89 avevano generato: come la rivoluzione ma anche la carità e il senso di giustizia. Tutte qualità che il giovane possiede e lo caratterizzano, lui, come unico spiraglio di luce tra le ombre gettate dal terrore. Eppure il suo essere equo e coraggioso non possono e non bastano a salvarlo. Il giovane infatti, tormentato dal gesto finale del prozio, Lantenac, il quale per salvar tre bambini si è fatto catturare e condannare a morte, sceglie di non lasciar invano questo suo estremo gesto di redenzione e sceglie di liberarlo, condannando così se stesso alla morte.

A togliergli la vita, condannandolo alla ghigliottina, sarà Cimourdin suo precettore in gioventù ed ora strenuo difensore rivoluzionario. A nulla possono i soldati che invano ne implorano la grazia. Ma Gauvain accetta la condanna e al suono della ghigliottina, si ode anche il colpo di rivoltella con cui Cimourdin si è sparato al cuore. Cimourdin è il padre, è l'uomo del futuro, un futuro derivato dalla rivoluzione, per cui è disposto a sacrificare qualsiasi cosa, anche il giovane che gli è caro come un figlio.

Ciò che Hugo ci mostra nel suo ultimo libro non è la sconfitta della giustizia ma un immane scontro che trapassa la rivoluzione «in un affresco epico, le contraddizioni non vengono eliminate, ma rimangono, come nel turbine della vita e della storia; l' ammirazione e il rifiuto del Novantatre' coesistono senza escludersi»2

1 C. Magris, Orrore e grandezza Il sanguinario “Novantatre'”, ”Corriere della sera” cit., p.33.
2 C. Magris, Orrore e grandezza Il sanguinario “Novantatre'”, ”Corriere della sera” cit., p.33.

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