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Scritto da nel Internazionale, Numero 95 - 1 Dicembre 2012 | 0 commenti

Il Partito Comunista Cinese tra passato e futuro

Lo scorso novembre hanno avuto luogo due eventi determinanti per gli assetti politici ed economici mondiali dei prossimi anni: le Presidenziali negli Stati Uniti e il 18° Congresso del Partito Comunista Cinese, le due più grandi potenze del mondo alle prese con le sfide della crisi economica e dei nuovi equilibri mondiali.

Il Congresso del Partito Comunista Cinese ha scelto il nuovo Segretario che prende il posto del Presidente uscente Hu Jintao alla guida del paese. Un congresso delicato, segnato dalle feroci polemiche scaturite in seguito ai grandi scandali che hanno colpito la nomenklatura del Partito negli ultimi mesi.
La questione della “corruzione” è stata l’argomento più dibattuto durante l'assise, insieme, e questa è una grande novità, a quella ambientale.
Dopo decenni di crescita sfrenata dell’economia e dei consumi, con la costruzione di imponenti infrastrutture e l’inesorabile ampliamento dei centri urbani, dire che in Cina l’ambiente sia stato trascurato è un eufemismo.
L’establishment cinese è consapevole  dello stupro del territorio fatto in passato, per questo già da due anni si sono avviate norme più rigide in materia di smaltimento dei rifiuti e ben il 5% del PIL è destinato a politiche ambientali.
In tal senso una delle parole d’ordine del Congresso è stata “ecologia socialista”: l'obiettivo è di ristruttrare il sistema industriale in modo efficiente tagliando drasticamente le emissioni.

I cambiamenti attesi non riguardano ovviamente solo l’ambiente. Che direzione prenderà la Cina in ambito economico? Espanderà il Capitalismo di Stato o si aprirà a un’ulteriore liberalizzazione, quest’ultima percepita giustamente come minaccia destabilizzante dello status quo?

Fuori e all’interno del Partito si attendono forti riforme del sistema politico con uno scontro tra il Gruppo Tuanpai e quello di Shangai che riassumono insieme la contrapposizione tra "popolari" ed "elitisti". Il primo  vede tra le sue file il presidente e il premier uscenti provenienti dalla Lega della Gioventù Comunista; il secondo è guidato dall'ottantaseienne ex Presidente Jiang Zemin, capace comunque di piazzare i propri uomini in posti chiave. I Tuanpai vogliono ridurre le distanze tra ricchi e poveri e si oppongono al liberismo per il mantenimento del potere statale nell’economia e finanza, sono però riluttanti verso riforme sui diritti umani; la “cricca” di Shangai è al contrario fortemente liberista . Si aggiungono poi altre correnti: i Principi Rossi, eredi degli eroi della Rivoluzione di Mao; il Gruppo dell’Università Qinghua, professori e tecnocrati vicini al Tuanpai; la Nuova Sinistra, nazionalisti, maoisti e isolazionisti.
Da segnalare comunque una certa "fluidità" all'interno del Partito, con i suoi funzionari che aderiscono ai vari schieramenti in base alla provenienza geografica o percorsi di studio non disdegnando però passaggi da un fronte all'altro.

Il ricambio dei vertici è comunque in atto: dei nove membri del misterioso Politburo (il Comitato Permanente del Partito) sette sono andati in pensione; si constata comunque il mantenimento di una linea di potere conservatrice. Per la guida della Repubblica a Hu Jintao succede il suo vicepresidente Xi Jinping, “principe rosso” vicino al Gruppo di Shangai. Il nuovo premier è il vice di Wen Jiabao Li Keqiang, riformista del Tuanpai.

Come sempre il complesso e delicato equilibrio tra le varie anime del Partito – oligarchia e gerontocrazia – determinerà la politica della Cina e quindi le sorti del mondo nei prossimi anni.

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