Astensionismi a confronto
Le elezioni regionali del 25 novembre scorso hanno fornito due dati statistici significativi. Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica la Calabria è più «rossa» dell’Emilia Romagna. Se al sud si è imposto con il 61% dei voti il candidato del centrosinistra Mario Oliverio, in terra emiliano romagnola ha prevalso Stefano Bonaccini, esponente del Partito democratico, «solamente» con il 49% delle preferenze. L’altro dato sorprendente (e preoccupante) riguarda l’affluenza alle urne: in Calabria al 44% (meno 2 punti rispetto alle europee di maggio e meno 15 rispetto alle regionale del 2010) mentre in Emilia Romagna ha appena toccato il 38% (meno 32 punti rispetto alle ultime europee e meno 30 rispetto alle regionali 2010).
Innanzitutto è bene sgombrare il tavolo da qualsivoglia dubbio: la Calabria non si è per nulla spostata a sinistra, come incautamente ed in maniera improvvida sostenuto da superficiali analisti. Semplicemente il neo governatore Oliverio è stato sostenuto da un’accozzaglia di liste (ben 8) e fazioni, con tanto di bacino di voti al seguito, che hanno permesso al centrosinistra di ottenere un successo così netto. Dopo la fallimentare legislatura Scopelliti e la sconfitta del renziano Gianluca Callipo alle primarie di coalizione contro lo stesso Oliverio, nei mesi che hanno preceduto le elezioni una massa informe è saltata sul carro del futuro vincitore, non esclusi politici che hanno gareggiato quattro anni addietro nelle fila del centrodestra.
Scorrendo i nomi dei candidati alla carica di consigliere, si possono individuare impresentabili, faccendieri della politica e trasformisti senza scrupoli, alcuni dei quali, purtroppo, sono riusciti ad entrare nel civico consesso regionale. Neppure dall’altra parte c’è stato spazio per il rinnovamento: i consiglieri di minoranza di centrodestra (nelle tre liste a sostegno di Wanda Ferro, la candidata a presidente scelta direttamente da Berlusconi) hanno solamente badato ad ottenere il pass per trascorrere altri 5 anni in assemblea.
Il risultato è un Consiglio regionale, ancora una volta, di basso livello. I calabresi hanno perso l’ennesima occasione di cambiamento anche se è giusto valutare l’opera di Oliverio, politico di lungo corso (è stato parlamentare, sindaco di Cosenza e presidente della provincia bruzia), fra qualche tempo, verificando l’attendibilità delle sue (tante) promesse di rottura con il passato elargite in campagna elettorale.
In Emilia Romagna si è trattato di una competizione elettorale veramente particolare e caratterizzata da diverse variabili che ne hanno svuotato l’essenza. Si è partiti dall’indagine che ha riguardato il presidente uscente Vasco Errani che, per la verità, avrebbe fatto bene a non candidarsi per un terzo mandato già di per se, secondo il parere di taluni, illegittimo. Poi si è passati per gli scandali delle spese pazze dei consiglieri regionali, corredati da 41 avvisi di garanzia per peculato per una somma totale che si aggira sui 2 milioni di euro. Infine, c’è stata la spaccatura fra il presidente del Consiglio Renzi e la Cgil: ciò ha sicuramente frustrato la consueta mobilitazione in campagna elettorale del sindacato rosso che, in Emilia Romagna, è decisamente radicato fra i lavoratori.
Tutto ciò ha determinato una campagna elettorale in sordina, quasi sottovoce, in Emilia Romagna come anche, per certi versi, in Calabria dove pochissimi sono stati i comizi elettorali. Sull’affluenza alle urne, in entrambi i casi, ha inciso la sfiducia dei cittadini nei confronti dei governanti. Che si può interpretare in maniera diversa nelle due regioni al voto. In Emilia Romagna l’astensione può essere stata l’espressione di un certo malcontento nei confronti del Partito democratico e di Renzi, nonché di un ceto politico regionale che ha deluso profondamente con i succitati scandali. In Calabria le emergenze non si contano più (rifiuti, sanità, ambiente, lavoro, legalità) e il non voto, più che una presa di coscienza della popolazione sul malaffare predominante e dilagante, pare generato da una certa rassegnazione ed indifferenza.
In entrambi i casi il dissenso dei cittadini nei confronti della classe politica si è espresso senz’altro con l’astensionismo. Non più, quindi, come avvenuto alle ultime nazionali ed europee, con la preferenza al Movimento Cinque Stelle. Anche questa fattispecie potrebbe essere stata causata da differenti motivazioni. L’Emilia Romagna rispecchierebbe di più le dinamiche nazionali: Grillo e Casaleggio non convincono più e inciderebbe maggiormente questo aspetto che la valutazione dei singoli candidati territoriali. In Calabria il Movimento Cinque Stelle era ed è spaccato e logorato al proprio interno. Inoltre, la qualità generale dei candidati pentastellati calabresi ha lasciato molto a desiderare e la campagna elettorale è stata alquanto scialba.
In conclusione, questa mini tornata elettorale evidenzia un momento di interdizione di tutta la politica italiana che, nelle varie formazioni che la animano, fatica a trovare una propria e ben definita dimensione. Il Partito democratico somiglia sempre più ad una variante della Democrazia cristiana mentre a sinistra manca terribilmente un soggetto in grado d’inglobare i vari partitini ed anche gli scontenti del Pd. A destra non si comprende come l’unica strada da seguire sia quella della costituzione di un Partito popolare d’impronta europea che faccia calare il sipario su Berlusconi, Alfano, Forza Italia, Ncd e Udc. Il buon risultato della Lega in Emilia non può far pensare, seriamente, che Salvini prenda in mano il centrodestra italiano. Non è insito in un partito territoriale uno sviluppo di questo tipo. Né tantomeno sarebbe auspicabile. Il Movimento Cinque Stelle andrà incontro ad una scissione, oramai nell’aria. Con Grillo rimarranno i puristi che potrebbero continuare a raccogliere un voto di protesta. I futuri scissionisti, invece, potrebbero rappresentare la grande novità di questa turbolenta fase politica. La prossima legge elettorale dovrebbe tener conto di questi possibili sviluppi del sistema partitico italiano.