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Scritto da nel Internazionale, Numero 116 - 1 Febbraio 2015 | 0 commenti

Il paradosso di Hanoi

Il paradosso di Hanoi

Il popolo di Hanoi è ricco di dignità e coraggio. E’ gente che ha inciso nel proprio dna la travagliata storia di una nazione dallo spirito coriaceo, indistruttibile. Le secolari invasioni cinesi, l’opprimente colonizzazione francese e la crudele guerra contro gli americani sono prove che hanno plasmato i vietnamiti che, alla fine, si sono piegati solamente al grande fantasma che in breve tempo tutto (o quasi) ha divorato: il capitalismo.

Hanoi è una città morfologicamente interessante, un luogo prezioso costellato di laghi e corsi d’acqua. Deve essere stato un posto incantevole prima di pagare a caro prezzo l’inseguimento al modello occidentale. Gran parte degli abitanti ora porta la mascherina antismog, segno di un traffico tremendo, alienante: la capitale del Vietnam conta 6,5 milioni e mezzo di abitanti e 4 milioni di motorini.

Una simpatica e preparata guida turistica raccontava che i grandi problemi che affliggono il Vietnam sono essenzialmente tre: il degrado ambientale, la corruzione e il sempre maggiore divario fra ricchi e poveri. Ecco, il riferimento al capitalismo non vuole qui essere meramente «ideologico», nel senso sprezzante del termine. Ma del tutto pratico: il cosiddetto modello occidentale basato sul consumismo come chiave per il benessere porta con se, ovunque, le medesime controindicazioni.

Hanoi vive il dramma del problema rifiuti. Basta fare un salto un attimo fuori dall’enorme centro urbano per osservare cataste di immondizia ovunque, ai lati delle strade. Dove si notano numerosi roghi di mondezza. Dando luogo ad un paradosso inquietante. Il Vietnam ha infatti un contenzioso (se così si può definire) aperto con gli Stati Uniti per l’uso del tristemente famigerato agente orange durante la guerra. Questo velenoso defoliante ha a sua volta rilasciato diossina nel terreno e nell’aria, entrando nella catena alimentare di  milioni di vietnamiti con conseguenze che si possono immaginare. Probabilmente la popolazione non è consapevole del fatto che ingenti quantità di diossina vengono naturalmente liberate nell’aria bruciando i rifiuti, poiché in gran parte si tratta di plastica.

Ogni giorno, all’alba, nella capitale vietnamita come in tutta la nazione, una marea di gente esce di casa per curare il proprio corpo, prima di recarsi sul posto di lavoro (in genere alle 7 del mattino). Tai chi, jogging, corsi di ballo, stretching, pallavolo, volano… Nei dintorni del lago Hoan Kiem è bene che tutto finisca più o meno prima dell’intensificarsi del traffico, che poi rende l’aria poco gradevole da respirare per il resto della giornata fino alla notte.

La gente ad Hanoi è sempre occupata, non stanno mai fermi. Popolo di lavoratori indefessi, estremamente disponibili e cordiali con il prossimo. Hanno senza dubbio subito l’influenza culturale cinese. Non solo per quel che riguarda gli aspetti personali: la già accennata cura del corpo e il confucianesimo sono lasciti chiari delle dominazioni di Pechino. Ma anche il regime a partito unico, il culto della personalità delle rispettive guide storiche (Mao Tse Tung e Ho Chi Minh), l’irrompere travolgente del consumismo e dell’economia di mercato sono aspetti che, in maniera differente, si sono sviluppati parallelamente nelle due nazioni.

In Vietnam non c’è quindi libertà politica. E’ un regime governato dal solo Partito comunista, che ricorda costantemente, attraverso i media, le epiche battaglie per l’indipendenza. Pare che alla popolazione non importa granché della dialettica politica. Fatti salvi gli oppositori, regolarmente repressi. C’è sviluppo come non mai, dicono, c’è una grande necessità di infrastrutture, bisogna inseguire il benessere occidentale, aumentare la produzione, non c’è tempo per le diatribe politiche. Osservava la succitata guida turistica che, a suo avviso, in questo momento storico un’alternanza alla guida del governo vietnamita non permetterebbe uno sviluppo così lineare e costante; insomma il periodico cambiamento della strategia economica e politica non gioverebbe al Paese.

Hanoi vive quotidianamente il suo paradosso. Si nota che il popolo ha in sé quelle virtù che gli occidentali faticano ad assimilare. Ma contrastano con le esigenze lavorative ed economiche. I templi e le pagode somigliano molto alle nostre chiese in quanto a percezione spirituale: luoghi oscuri dove persino un ateo può notare quanto siano inidonei ad una luminosa ricerca interiore. Del resto anche la religione in Vietnam è vissuta secondo il modello occidentale del crocifisso e della messa alla domenica e poco altro. Solo una minoranza si definisce buddhista praticante, mentre il territorio urbano è disseminato dai tributi agli dei pagani fatti di altarini con offerte materiali: sembrano souvenir.

E’ strano che un popolo con un simile attaccamento alla propria Terra ed alla propria storia dilani così il proprio territorio. Come, del resto, avviene in quasi tutto il globo. Per non cadere nelle trappola delle grandi metropoli del mondo, e venire a capo dei suoi paradossi, Hanoi avrebbe proprio bisogno di un po’ di silenzio. Si risveglierebbe magica.

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